lunedì 11 novembre 2019

L’ultima follia del governo “anti-italiano” giallorosso: authority per garantire i “diritti” dei migranti


Nonostante che ultimi anni abbia perso smalto, il Partito democratico ha continuato a dimostrare una notevole efficacia quando si è trattato di ideare tecniche salvavita e metterle in pratica. E adesso i vertici del Pd sanno bene che tra qualche mese si potrebbero ritrovare di fronte alla prova di elezioni politiche che rischiano di essere rovinose e di privarli di altre quote significative di consensi. Accaparrarsi qualche poltrona in più allora, e di durata pluriennale, potrebbe essere funzionale a garantire i propri supporter. Soprattutto quelli che operano nell’ambito dell’accoglienza ai migranti.

Ed ecco allora che prende forma la tentazione di dare vita a un’authority per l’immigrazione: un commissario, due sub commissari e segreterie accluse che, senza depotenziare il ruolo del ministro dell’Interno, si occuperebbero della supervisione sulla gestione dei migranti nelle singole realtà locali e andrebbero a colloquiare di rimpatri in Africa e di ricollocamenti in Europa.

All’interno del centrosinistra poi, questo sogno nel cassetto dei Dem potrebbe ricucire almeno in parte i rapporti con Matteo Renzi affidando a uno dei suoi una poltrona da sub commissario. Un’altra invece spetterebbe senz’altro a Leu poco favorito dal governo Conte due.

Inoltre i vertici dell’authority per l’immigrazione, come quelli di qualsivoglia altra realtà similare di Stato, avrebbero una durata pluriennale – almeno 3 anni – che garantirebbe a enti benefici, cooperative e onlus che schiacciano l’occhio a sinistra, di mantenere in piedi buona parte dei loro affari. Sui tempi di attuazione però non si sa granché: potrebbe essere subito dopo l’approvazione della legge di Bilancio o addirittura con qualche emendamento cucito ad arte all’interno dello stesso dispositivo che un tempo si chiamava Finanziaria. In ogni caso quel disegno dev’essere assolutamente realizzato prima delle elezioni che per il Pd rischiano di trasformarsi nel baratro.

 È vero che il ministro Luciana Lamorgese proprio qualche giorno fa ha ribadito esplicitamente che non esiste – anche data la stagione – alcuna emergenza sbarchi. Comunque, i commissari si andrebbero ad occupare di un indotto funzionale al sistema di gestione degli immigrati che rimarrebbe come valore aggiunto al Pd anche in caso di elezioni anticipate a primavera prossima.

E soprattutto per la gestione dei centri di accoglienza in Emilia e Calabria dove la capitolazione a fine gennaio con le elezioni regionali è assai probabile. Mentre il Partito democratico studia come ritagliarsi nuove poltrone per cercare di gestire le pratiche degli ultimi stranieri sbarcati, ci pensa il ministro dell’Interno a potenziare il coordinamento dei nuovi arrivati.

È stata avviata la ricerca di 20 nuovi funzionari, da ingaggiare con contratto biennale, che dovrebbero servire ad abbreviare i tempi di attesa per la concessione del diritto all’asilo, il controllo nel Paese di provenienza e i legami con familiari e congiunti in Italia. Impegno di spesa calcolato in 43mila euro l’anno di stipendio e un ulteriore costo di 1.717.760.

Tunisino ubriaco colpisce in faccia la barista: i clienti tentano il linciaggio



Ubriaco fradicio, il tunisino colpisce in faccia una barista di Montecarotto (Ancona), minaccia un assessore ed un consigliere comunale e poi viene salvato dal linciaggio da parte dei presenti intervenuti in soccorso della donna. Il colpevole si trovava all’interno del “Bar Caffè Agorà” di piazza del Teatro durante la serata dello scorso venerdì quando, senza alcuna ragione apparente, ha aggredito la giovane banconiera.

Colpita al volto dal magrebino, la donna è stata immediatamente soccorsa da numerosi avventori, che hanno tentato in ogni modo di bloccare il nordafricano. Nella zuffa che si è venuta a creare, tra quest’ultimo ed i presenti sono volati insulti, botte e spintoni, cosa che ha inevitabilmente attirato l’attenzione di alcuni passanti all’esterno del locale.

Tra questi anche un consigliere comunale ed un assessore di Montecarotto, che avevano appena concluso una seduta nel vicino municipio. Accorsi per verificare cosa stesse accadendo nel bar, i due sono stati aggrediti verbalmente dal magrebino, che ha rivolto in modo intimidatorio un pungo chiuso in loro direzione.

Prima che la situazione potesse degenerare e che gli uomini intervenuti in difesa della barista linciassero il responsabile, sul posto sono giunti i carabinieri della stazione locale. La presenza degli uomini di ben due pattuglie non ha comunque contribuito a placare l’ira del tunisino, che ha anzi continuato a provocare i presenti insultandoli pesantemente.

Portato via giusto in tempo dagli uomini dell’Arma, il facinoroso è stato semplicemente allontanato dal posto, e non risultano ancora provvedimenti presi nei suoi confronti, visto che le indagini sono in corso.

La giovane barista, che fortunatamente non ha avuto necessità di ricorrere alle cure del pronto soccorso, è stata sentita dagli inquirenti, così come i testimoni presenti nelle fasi calde dell’aggressione da parte dello straniero.

domenica 10 novembre 2019

Ilva, Conte alza bandiera bianca e si arrende agli indiani: si tratta per i 5.000 esuberi e per ripristinare lo scudo



«Siamo pronti a trattare anche sugli esuberi». Il governo Conte alza bandiera bianca: non esiste alcun piano B. Se Arcelor Mittal, grazie allo scellerato voto parlamentare (con l’avallo del medesimo governo) contro lo scudo fiscale, si può agevolmente sfilare, e mollare definitivamente la patata bollente della ex Ilva, la maggioranza Pd-Cinque stelle non sa come evitare la catastrofe industriale.

Dunque, bisogna cedere alle condizioni poste dal colosso siderurgico franco-indiano. E il messaggio in questo senso arriva direttamente dal premier Giuseppe Conte, secondo quanto rivelava ieri Huffington Post: il capo dell’esecutivo, durante l’incontro in prefettura a Taranto venerdì sera, avrebbe ammesso che l’unica strada praticabile è quella di riavviare la trattativa con Arcelor Mittal, mettendo sul tavolo concessioni pesanti.

Non solo il maxi-sconto sull’affitto, già ipotizzato (si parla di dimezzare la cifra della proposta iniziale da 1,8 miliardi), ma anche gli esuberi. L’azienda ne ha annunciati 5mila, il governo starebbe lavorando ad una bozza di controproposta: 2.500 esuberi, da tutelare attraverso la cassa integrazione. In cambio, la multinazionale dovrebbe impegnarsi a «ritirare tutti gli atti e le procedure avviate, compresa quella al tribunale di Milano, relative al disimpegno e alla restituzione dell’impianto tarantino allo Stato».

E, ovviamente, sul tavolo va messo anche il ripristino dello scudo penale per dipendenti e nuovi gestori, anche se è un impegno che fa tremare le vene ai polsi di Conte, perché farlo votare dalla sua maggioranza e in particolare da quel Vietnam impazzito che è il partito dei Cinque stelle può rivelarsi esiziale per le sue sorti. Gigino Di Maio ha già minacciato la crisi, in caso di ripristino. E anche Arcelor Mittal sa bene che le promesse del premier in questo senso non hanno grande attendibilità. Il Pd insiste, con il capogruppo Delrio: «È stato un errore offrire quel pretesto, ora occorre ripristinare lo scudo».

Ma è necessario riportare la multinazionale al tavolo di Palazzo Chigi, si spera tra domani e martedì. A qualunque costo: le ipotesi di nazionalizzazione, di cui si sproloquia a vanvera da più parti della maggioranza, non sono fattibili, né esistono altri potenziali investitori. Mettere in fuga Arcelor Mittal sarebbe un segnale spaventoso di inadeguatezza e inaffidabilità del Paese.

Anche dal Pd c’è chi, come il sindaco di Milano Beppe Sala, dice apertamente che la trattativa va ravviata subito, e da una posizione di evidente debolezza: «Dobbiamo trattare e dobbiamo accettare una parte di riduzione del personale. Quello che viene chiesto è eccessivo, ma se non si accetta un po’ di riduzione del personale non se ne esce». «Bisogna tenere i nervi saldi e costringere Mittal a sedersi al tavolo della trattativa», conferma il responsabile economico dei Dem. Un messaggio severo al governo arriva dal commissario Ue Paolo Gentiloni: «In queste materie i patti vanno rispettati: questo riguarda sia il gruppo Arcelor Mittal che le istituzioni italiane». A fare il Rodomonte resta solo l’improbabile Gigino: «Arcelor Mittal non se ne potrà andare indisturbata». Sai che paura.

Quanto è troppo, è troppo: “Chef Rubio cacciato dall’emittente televisiva Discovery Channel”



Quando è troppo è troppo. Ed è troppo da parecchio tempo. Si parla di Chef Rubio, il cuoco dal delirio e dall’insulto facilissimo, il quale ormai impazza da mesi sui social dove sparacchia a casaccio, contro politici (Matteo Salvini in primis) ma anche contro i poliziotti uccisi a Trieste, per esempio. Intollerabile.

E stando a quanto rivela il critico Dominique Antognoni, ripreso da Dagospia, sarebbe troppo anche per Discovery, l’emittente che ospita il suo programma, Unti e Bisunti.

Su www.dominiqueantonioni.it, infatti, in poche e stringate righe, si legge: “Chef Rubio è stato amorevolmente accompagnato alla porta da Discovery Channel. So anche il nome del sostituto, però una notizia buona alla volta. Oggi godiamoci questa. Cin cin.

Comunque al suo posto ci va un vero e proprio chef. Auguriamo al figuro…”. Insomma, Chef Rubio cacciato. E no, neppure ad Antognoni piaceva più di tanto, almeno a giudicare dalle poche righe scritte online.

Adesso è ufficiale, la manovra di PD e M5S è una stangata sulle tasche degli italiani: più tasse per 6,1 miliardi



Lo hanno smentito ogni santo giorno fino a oggi. Quando si sono dovuti arrendere ai freddi numeri. Ora è ufficiale: nella manovra si nasconde la più classica delle stangate. Firmata dal governo giallorosso, uno dei più assistenzialisti di sempre. Il ddl di bilancio in discussione in Parlamento dopo l’ok in Cdm vale 34,8 miliardi di euro, di cui 20,1 in deficit. Ma la cifra che spaventa sul serio è un’altra. 6,1 miliardi: è il valore delle nuove tasse introdotte dal premier Conte e dall’Armata Brancaleone dem-pentastellata.

Nel dettaglio, il ddl prevede interventi così suddivisi: maggiori spese correnti per 6,2 miliardi di euro, cui si aggiungono le spese in conto capitale per altri 4,1 miliardi. Pesante il conto delle minori entrate, che contribuiscono sul totale della manovra per altri 24,5 miliardi. Il totale della manovra, dunque, arriva a 34,8 miliardi di euro, finanziata per 5,9 miliardi da maggiori entrate tributarie ed extratributarie, altri 7,2 miliardi dalle minori spese correnti e 1,6 miliardi dalle minori spese in conto capitale per un totale di 14,7 miliardi di euro. Tutto il resto, 20,1 miliardi, non ha coperture e sarà finanziato in deficit. Un peso scaricato tutto sulla collettività e sulle future generazioni.

Ma il fardello più pesante riguarda certamente l’ammontare dei nuovi balzelli, pari a 6,1 miliardi di euro. Il dossier diffuso dai servizi Bilancio di Camera e Senato svela che tra le maggiori entrate “si segnalano in particolare quelle tributarie relative all’introduzione dell’imposta sul consumo dei manufatti in plastica monouso (Macsi), stimate per circa 1,1 miliardi di euro nell’anno 2020“. Altro non è che la plastic tax, la tassa sugli imballaggi voluta dai 5 Stelle che tanto ha fatto indignare, oltre alle opposizioni, Matteo Renzi e il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, visto che è proprio nella sua Regione che opera il principale distretto italiano degli imballaggi. Tra le altre misure spicca l’abrogazione della flat tax per i redditi delle persone fisiche oltre i 65mila euro (per un totale, tutto sommato risibile, di circa 155 milioni di euro) oltre al differimento della deducibilità, a fini Ires e Irap, per circa 1,3 miliardi.

Se sul testo della manovra si sono registrate spaccature profonde nella maggioranza, figuriamoci ora che il ddl di bilancio è sbarcato in Parlamento. Alla Camera e in Senato, il governo è atteso da un vero e proprio Vietnam. Infatti, entrambe le commissioni Bilancio di Montecitorio e Palazzo Madama sono presiedute da due esponenti della Lega: Alberto Bagnai e Claudio Borghi. C’è da scommettere che le opposizioni faranno di tutto per complicare la vita ai giallorossi. Nel frattempo, la tabella di marcia per la discussione della manovra è già stata tracciata. Come riporta il Corriere della Sera, si comincerà dalle audizioni.

La prima, lunedì, con Abi (banche), sindacati, commercialisti, associazioni delle imprese, dei comuni delle regioni e delle province, Corte dei Conti, Istat e Cnel. La seconda, invece, Banca d’Italia, Ufficio parlamentare di Bilancio e il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Già fissato il termine per la presentazione degli emendamenti, sabato 16 novembre. Tempi abbastanza contingentati in modo da terminare la prima lettura a inizio dicembre e poi inviare il testo alla Camera, dove i vari partiti proveranno ad approvare le modifiche più importanti. Nel mirino, in particolare, le tre tasse a cui hanno dichiarato guerra Renzi e centrodestra: plastic tax e i balzelli su bevande zuccherate e auto aziendali. Dopo di che il testo passerà in Senato per la terza ed ultima lettura. Probabile il ricorso al voto di fiducia per “ammazzare” gli emendamenti delle opposizioni, sicuro il voto entro il 31 dicembre (altrimenti scatta l’esercizio provvisorio).

Le tasse si possono togliere, a patto – avverte il ministro dell’Economia Gualtieri – di trovare le coperture (1,5-2 miliardi di euro). Nello specifico, la plastic tax vale 1,1 miliardi nel 2020 e 1,8 nel 2021. La sugar tax 233 milioni l’anno prossimo e 262 quello successivo, e la tassa sulle auto aziendali vale più di 300 milioni l’anno. Renzi, per abrogarle, vorrebbe cancellare quota 100. Impossibile, secondo Luigi Di Maio. La battaglia è appena iniziata.

Ocean Viking torna a “pesca” e sfida l’Italia. Di Maio ringrazia pure Merkel che ci rispedisce indietro i migranti



Da Berlino, in cui è presente per le celebrazioni dei trent’anni dalla caduta del muro, il ministro degli esteri Di Maio si è lanciato un elogio a tutto tondo del governo tedesco sul fronte immigrazione. “Occorre ringraziare la Germania che è sempre disponibile quando si tratta di ricollocare migranti dalle coste italiane – ha dichiarato il capo politico del Movimento Cinque Stelle, così come riportato da AgenizaNova – Berlino deve essere di esempio ad altri paesi che speriamo possano contribuire a contrastare un fenomeno come l’immigrazione che è epocale e che l’Italia affronta in maniera esclusiva”.

Il riferimento è alla disponibilità data dal governo di Angela Merkel nella ricollocazione di alcuni migranti sbarcati negli ultimi due mesi dalle navi Ong. Pochi per la verità, si parla in media di un 25%, percentuale analoga a quella della Francia. Inoltre, da settembre ad oggi, gran parte degli sbarchi è avvenuta tramite approdi autonomi, degli oltre 3.000 arrivati irregolarmente in Italia in questo lasso di tempo solo in pochi sono scesi da navi Ong.

Dunque, quella solidarietà tedesca oggi tanto decantata da Luigi Di Maio nella realtà appare poco incisiva e non certo risolutiva. Ma non è soltanto per questo che gli elogi del ministro degli esteri hanno destato non poche perplessità. A guardare bene i numeri infatti, a fronte della disponibilità data da Berlino per accogliere non più del 25% arrivati in Italia da navi Ong, la Germania è tra i paesi europei quello che spedisce indietro verso i nostri confini il maggior numero di migranti espulsi.

Soltanto nel 2018 i tedeschi hanno rispedito in Italia 2.848 migranti, nei giorni scorsi il quotidiano Die Welt ha parlato di un accordo secondo cui Roma ha risposto positivamente alla richiesta di Berlino di avviare ponti aerei per riportare nel nostro paese gli immigrati espulsi. Ecco perché, a maggior ragione, gli elogi odierni di Di Maio sono apparsi quanto meno “strani”.

Per di più, il ministro degli esteri nelle scorse settimane è stato tra i meno entusiasti delle mosse del suo stesso governo sulla redistribuzione. Mentre infatti Conte e Lamrogese hanno salutato positivamente le intese, poi rivelatesi un bluff, trovate nel vertice di Malta (organizzato peraltro su spinta tedesca), Di Maio ha insistito sulla possibilità invece di concetrarsi sul programma per rimpatri più veloci.

Un altro motivo per guardare con perplessità a quanto dichiarato oggi dal leader politico del Movimento Cinque Stelle, colto quasi da un’improvvisa vampata di stima e di affetto nei confronti di un governo, quale quello tedesco, verso cui non ha mai rivolto grandi elogi. E questo sia da membro degli ultimi due governi che da capo dell’opposizione.

Intanto, a proposito di immigrazione, è tornata a navigare nel Mediterraneo la nave Ocean Viking, usata dall’Ong francese Sos Mediterranée assieme a Medici Senza Frontiere per soccorrere i barconi in rotta verso l’Europa. Sono gli stessi membri di Medici Senza Frontiere ad aver annunciato su Twitter nelle scorse ore di aver ripreso con le operazioni di ricerca di migranti in difficoltà nelle aree del Mediterraneo centrale.

La Ocean Viking è partita da Marsiglia in questo sabato, verosimilmente tra un paio di giorni potrebbe essere nelle zone interessate dal flusso migratorio. La nave di Sos Mediterranée è, tra quelle delle Ong, la più attiva negli ultimi mesi. Da settembre in poi per quattro volte è approdata in Italia: la prima volta a Lampedusa, la seconda a Messina, ad ottobre invece è stata fatta attraccare prima a Taranto, lo scorso 16 ottobre, a fine mese a Pozzallo.

Lo sbarco a Lampedusa dello scorso 14 settembre ha rappresentato, tra le altre cose, il primo caso relativo ad una nave Ong affrontato dal nuovo esecutivo giallorosso. In particolare, la richiesta di approdo della Ocean Viking con 82 migranti a bordo è stata la prima del genere pervenuta al Viminale dall’insediamento del Conte II.

Sul nuovo possibile caso Ocean Viking, nelle scorse ore è intervenuto l’ex ministro dell’interno Matteo Salvini: “L’Ocean Viking torna nel Mediterraneo centrale per prendere a bordo degli immigrati da portare sempre e solo in Italia – ha affermato il segretario leghista – Il ministro Lamorgese che intenzioni ha? Vieterà l’ingresso o assisteremo all’ennesimo sbarco di una ong?”

Vignetta razzista di Vauro: “Per essere italiani non basta nascere in Italia, bisogna essere str**i come loro”



Ennesima caduta di stile di Vauro Senesi, che torna a far parlare di sé con una delle sue vignette polemiche. Stavolta il fumettista toscano attacca direttamente gli italiani e, con l’intento di sostenere lo Ius Soli, mostra un chiaro esempio di “razzismo al contrario”. Senesi si era da poco lasciato alle spalle il feroce scontro in diretta su “Diritto e Rovescio” con Massimiliano Minocci, alias “Er Brasile”, ma è riuscito a tornare nuovamente alla ribalta.

In uno dei suoi ultimi lavori, ripostato su Twitter dalla giornalista Maria Giovanna Maglie, si vedono una donna di colore ed il suo bambino parlare di Ius Soli e dei requisiti necessari per essere considerati dei veri italiani.

“Per essere italiani non basta nascere in Italia”, spiega la madre al figlioletto. “Bisogna anche diventare stronzi come loro!”.

Parole sconcertanti quelle che Vauro fa pronunciare alla protagonista della sua vignetta, mostrata dalla Maglie al popolo di internet. “Primo premio alla #vignettarazzista del giorno. Ps. Smettere di invitarlo in TV, tanto non è vero che alza lo share?”, ha commentato la giornalista, lasciando la parola agli utenti di Twitter.

Sotto il post i messaggi carichi di livore da parte di numerosissimi utenti. “Questo non è razzismo contro italiani?”, si domanda qualcuno. “Questi comunisti razzisti non vengono contemplati nella commissione di Segre? Dare dello s….o a 60 milioni di Italiani, comprese istituzioni, non é reato?”, chiede ancora un utente. C’è poi chi suggerisce di cambiare direttamente canale alla vista del vignettista, chi annuncia la propria intenzione di presentare querela, e chi ride, affermando che Senesi fa solo aumentare i consensi del leader della Lega Matteo Salvini.

“Perché, non sono abbastanza stronzi quando menano un controllore perché sprovvisti di biglietto? Quando scippano, quando spacciano, quando si impongono con la scusa, se no sei razzista etc etc?”, è l’amara provocazione di un altro utente. “Vauro è solo un verme. Crede di poter fare qualunque cosa, anche pubblicare immagini blasfeme. Sono stufo di questa mancanza di rispetto”, si legge in un altro post. “Non dovrebbe avere più spazio né sui giornali né negli studi televisivi. Perché il suo è odio, che usa per attaccare e offendere. Ora basta”.


sabato 9 novembre 2019

Finalmente Mattarella l’ha detto: “La caduta del muro è la sconfitta del totalitarismo comunista”. Bravo presidente



Al Quirinale si devono essere arrabbiati di brutto per la trasmissione del messaggio del presidente Mattarella sul trentennale del muro di Berlino. E lo stesso titolo del Secolo d’Italia di qualche ora fa non faceva che registrare un dato davvero amaro. Mattarella, con la sua tradizione politica, sembrava aver dimenticato la radice comunista dell’oppressione a Berlino Est.
Mattarella accusa il totalitarismo comunista
Invece no, Mattarella non è Napolitano e finalmente dal sito del Colle è uscito fuori il comunicato “vero” del Colle senza amnesie di carattere storico. Perché ora, e giustamente, si fa riferimento nel terzo capoverso alla “sconfitta del totalitarismo comunista“.

Parole che recuperano pienamente il senso del nostro corsivo che lamentava qualunque riferimento a quell’ideologia folle, che provocò tantissimi martiri tra quanti tentavano di raggiungere in quegli anni drammatici la libertà nella parte occidentale della città.

 Da parte del Quirinale non c’è stata per fortuna sottovalutazione. E se anche quella frase era saltata nella stesura originaria, averla rimessa e fatto notare, significa che c’è una sincera partecipazione alla riconquista della democrazia grazie agli eventi che ruotarono attorno a quel 9 novembre 1989. E se vogliamo la “correzione” è ancora più significativa. Un chiarimento apprezzabile.
Un messaggio riconciliante
Del resto, ci era apparso assolutamente strano che proprio per la sua storia politica Mattarella potesse contraddire una formazione culturale fieramente avversa al comunismo. E leggere la nuova formulazione del messaggio è davvero riconciliante per chi non ha mai smesso di denunciare il carattere sanguinario dell’ideologia comunista, recentemente riconosciuto persino dal Parlamento Europeo con una votazione che ha fatto saltare i nervi a più di un fazioso di casa nostra.

E’ auspicabile che tutti ora si sentano rappresentati dalle parole del Colle, anche a sinistra, smettendola di coprire le nefandezze compiute proprio nel nome del comunismo. Chissà se magari se ne pentirà anche chi esaltò i carri armati in Ungheria. Che poi è stato il predecessore di Mattarella.

Berlino libera… si ma da cosa? Neanche oggi Mattarella riesce a pronunciare la parola “comunismo”


Presidente Mattarella, ma nemmeno oggi riesce a pronunciare la parola comunismo? Bello, bellissimo (per non incorrere nel vilipendio…) il messaggio alla camomilla del presidente della Repubblica italiana per il trentennale dell’abbattimento del muro di Berlino.

Ma limitare il tutto ad “un’Europa libera da barriere e totalitarismi” è davvero triste, perché non dà il segno del cambiamento reale. Sarebbe stato sufficiente ricordare l’apostolato di Papa Giovanni Paolo II, ma di questi tempi sembra non andare più di modo. Oppure, il coraggio di Mikhail Gorbaciov e della sua perestrojka, ne sarebbe bastato solo un pizzico per celebrarlo. Berlino è libera da trent’anni perché 500 morti nel passaggio da est a ovest sono caduti per la libertà.

Mattarella dimentica chi opprime i popoli dell’Est oggi

A Mattarella è sufficiente ricordare in un messaggio davvero scarno quegli eventi, assieme al monito, il solito, che serve a sollecitare un’”Europa senza più muri di divisione e di odio”. E già, di questi tempi chissà a chi si riferisce… Presidente, è proprio quest’Europa a mettere sotto i suoi piedi i popoli che al comunismo si sono ribellati. Le legga le cronache dell’Est di oggi, altro che odio. E’ Bruxelles che sembra diventato il peggiore nemico di polacchi, ungheresi e di tutti coloro che mettono la sovranità nazionale in cima alle loro politiche. Perché è libertà. Ieri dalle armi, oggi da un’economia decisa a tavolino dai burocrati europei.
Nemmeno Napolitano….
Nel momento in cui persino il Parlamento europeo ha il coraggio di mettere sullo stesso piano – finalmente – nazismo e comunismo – da Mattarella ci saremmo aspettati un identico riconoscimento della realtà storica. Bene. ricordare quei ragazzi del 9 novembre 1989 che picconavano il muro, male, malissimo, dare l’idea di dimenticare chi perse la vita e chi gliela tolse con un’oppressione durata troppo a lungo. Ma dall’Italia col torcicollo ideologico non possiamo aspettarci di più probabilmente. C’è una sinistra che non ha ancora digerito quella nuova storia e ha contaminato persino chi doveva stare dall’altra parte. Eppure, Napolitano non sta più al Colle.

I luoghi del terrore comunista che la sinistra non vuol vedere: memoriali ricordano il sacrificio di 100 milioni di persone



I 100 milioni di morti del comunismo sono ricordati in tutta Europa e nel mondo fino in Cambogia martoriata dal genocidio ordito dai khmer rossi. Non occorre andare lontano per visitare i luoghi della memoria delle atrocità comuniste. Sull’altopiano carsico, che domina Trieste, sorge la foiba di Basovizza diventata monumento nazionale nel 1992. Un ex pozzo minerario, luogo simbolo della pulizia etnica dei partigiani di Tito, che a guerra finita hanno gettato migliaia di italiani nelle cavità carsiche.

A Budapest si può visitare la «Terror Haza», la casa del terrore ricavata nell’edificio che fu sede della polizia segreta del regime comunista ungherese. E ancora prima dei nazisti e dei loro alleati locali. In Croazia, nella Dalmazia settentrionale, rimane com’era il lager di Goli Otok, l’isola Calva. Un altro terribile luogo della memoria dove venivano internati, torturati e speso uccisi i comunisti fedeli a Mosca, non in linea col maresciallo Tito.

A Tirana gli albanesi hanno voluto ricordare lo spietato regime di Enver Hoxha con il «museo della sorveglianza segreta» ricavato in un edificio che era stato sede della Gestapo e poi della sicurezza dello Stato comunista. Non poteva mancare a Berlino il museo della Stasi, in una delle sedi originarie della polizia segreta della Germania Est, con tanto di celle e sistemi di ascolto e intercettazione. Varsavia non dimentica il massacro di massa degli ufficiali polacchi nelle fosse di Katyn. Fino all’arrivo di Gorbaciov studiavamo sui testi di storia al liceo, che la strage era nazista e non ordinata da Stalin.

In tutti i Paesi dell’Est che hanno aderito all’Europa unita sorgono luoghi di ricordo dei crimini del comunismo, ma le scuole non li inseriscono nei percorsi della memoria. I paesi baltici sono i primi a non dimenticare gli orrori del Novecento. A Vilnius, la capitale della Lituania, c’è il «museo delle occupazioni» ricavato nell’ex quartier generale del Kgb, ma ricorda anche la repressione nazista. In Lettonia si ricordano i crimini dei due totalitarismi nell’edificio costruito dai sovietici per il centesimo anniversario della nascita di Lenin. In Estonia hanno aperto al pubblico le celle nella prigione del Kgb.

La Russia, nonostante le stelle rosse sulle torri del Cremlino e il mausoleo di Lenin, non dimentica i milioni di morti del comunismo. A Mosca «il muro del dolore» le vittime dello stalinismo. Alla periferia della capitale, il poligono di Butovo era disseminato di fosse comuni al 1938 al 1950. Nel 1931 Stalin fece saltare in aria la maestosa cattedrale di Cristo salvatore. Il 19 agosto 2000 la cattedrale è stata riedificata com’era all’inizio e viene visitata ogni giorno dai turisti come simbolo di rinascita dai crimini di Stalin e del comunismo.

Dall’altra parte del mondo, a Phnom Penh, è impossibile dimenticare i campi della morte dei khmer rossi, che hanno sterminato tre milioni di persone. Il genocidio viene ricordato nell’ex Ufficio sicurezza S 21, la punta dell’iceberg dei lager cambogiani. Il museo è inserito dall’Unesco nell’«Elenco delle Memoria del mondo».

Ora il PD vuole censurare pure i talk-show. Serracchiani: “Basta ospitare esponenti di estrema destra o li disertiamo”



Quello che e’ accaduto nel corso della trasmissione Dritto e Rovescio su Rete4 dove un personaggio inquietante di estrema destra si e’ permesso di lanciare gravi minacce agli altri ospiti, in particolare in questo caso contro una donna coraggiosa e contro i carabinieri, usufruendo di una vetrina nazionale e’ incredibile e inaccettabile. In trasmissioni come queste, dove invitano personaggi del genere, il Pd non deve mandare piu’ nessuno dei suoi rappresentanti”.

Cosi’ in una nota le deputate democratiche. FASCISMO. SERRACCHIANI (PD): DISERTEREMO PROGRAMMI TV CHE INCITANO A ODIO – “Noi non accettiamo questi toni e queste minacce nei confronti degli ospiti. Per questo ho proposto, assieme alle colleghe del @pdnetwork, di disertare queste trasmissioni televisive che incitano all’odio e alla violenza.

 È ora di finirla”. Lo scrive su twitter Debora Serracchiani, deputato e vice presidente del Partito Democratico, in relazione ai momenti di tensione vissuti ieri durante la puntata di “Dritto e Rovescio” e la rissa sfiorata tra il vignettista Vauro e un ospite del programma.

TV: ZINGARETTI CON SERRACCHIANI, ‘MAI PIU’ DEM IN TALK CHE INCITANO ODIO’

Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha condiviso la proposta via twitter di Debora Serracchiani. La vicepresidente dem, dopo la rissa sfiorata nella trasmissione ‘Dritto e rovescio’, ha proposto di disertare “trasmissioni che incitano all’odio e alla violenza”.

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