domenica 12 luglio 2020

Tra 2 giorni il nuovo Dpcm per rovinare l’estate agli italiani: così il dittatore Conte si “sigilla” alla poltrona



Di Valentina Dardari – Mancano due giorni al nuovo Dpcm che servirà a rinnovare le misure di sicurezza di contenimento del coronavirus: data prevista il 14 luglio. E intanto chi di dovere starebbe pensando di cambiare qualcosa, magari aggiustare qua e là le norme vigenti fino a questo momento. Prorogato il divieto di entrata in Italia da chi arriva da 13 Paesi contenuti nella black list e norme chiare per evitare assembramenti. Martedì prossimo toccherà al ministro della Salute Roberto Speranza spiegare davanti al Parlamento i provvedimenti che il governo intende prendere. In programma c’è anche la proroga dello stato d’emergenza e la legittimazione delle restrizioni delle libertà personali, come chiesto dal Presidente della repubblica Sergio Mattarella.
Ecco le norme anti coronavirus
Alle mascherine nei luoghi chiusi non potremo rinunciare, mentre ai guanti sì. Anche perché questi ultimi rischiano di fare peggio se utilizzati in modo sbagliato. Permane l’obbligo di lasciare le proprie generalità nei luoghi pubblici che conserveranno i nostri dati per 14 giorni. Sarà ancora necessari a la sanificazione dei luoghi, la presenza del disinfettante per igienizzare le mani e i termoscanner per la rilevazione della temperatura corporea quando si entra in centri commerciali e uffici. Per quanto riguarda le discoteche e le sale da ballo ci sarebbe una novità. La riapertura era prevista per lo scorso martedì, sembra invece che il governo, almeno per quanto concerne i balli al chiuso, voglia prorogare il divieto fino a fine mese. Speranza ha sottolineato che “se le Regioni decideranno di farlo autonomamente, possono eliminare le restrizioni ma dovranno assumersene le responsabilità”. Insomma, a loro rischio e pericolo. Della stessa idea Francesco Boccia, responsabile delle Regioni, secondo il quale spetta alle regioni decidere a seconda dell’andamento della curva epidemica del coronavirus.
Rischio sanzioni salate a stabilimenti e locali
Il divieto di assembramento permane ovunque, sia tra i locali della movida che in spiaggia. Pronte a fioccare le multe a chi non rispetterà le leggi vigenti, sia al mare che in città. Stabilimenti balneari e locali nel mirino delle forze dell’ordine quindi. I primi devono rispettare il distanziamento previsto tra ombrelloni, sdraio, bagnanti. In caso contrario parte la sanzione. Idem per i locali e ristoranti che dovranno continuare a controllare gli accessi ad aperitivi, pranzi e cene. A questo riguardo potrebbe presto arrivare una nuova circolare del Viminale. Su fiere, eventi e sagre il dibattito è ancora aperto. A tal proposito domani, lunedì 11 luglio, dovrebbe arrivare il parere del Comitato tecnico scientifico. Intanto il ministro della Salute sarebbe dell’idea di evitare grandi assembramenti, ma anche di scaricare il barile alle regioni.

Così se sbagliano la colpa è solo loro. Voli vietati per chi entra in Italia da 13 Paesi: Armenia, Bahrein, Bangladesh, Kuwait, Oman, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord e Moldova, Brasile, Cile, Panama, Perù e Repubblica Dominicana. Anche se vengono utilizzati voli triangolari. Gli italiani che rientrano da questi Stati possono farlo, ma devono mettersi in quarantena. Isolamento di 14 giorni anche per chi arriva dagli Stati Uniti.

sabato 11 luglio 2020

“Basta con la Chiesa di sinistra che tradisce il Vangelo”: rivolta silenziosa dei cattolici contro le eresie di Bergoglio



Di Francesco Boezi – La base cattolica preferirebbe che la Chiesa cattolica evitasse di fossilizzarsi sulle tematiche economico-sociali. Il che non significa non occuparsi del “popolo”, bensì continuare a porre accenti, ma soprattutto sulle questioni di natura spirituale. Come se il resto, compresi i bisogni materiali, venisse da sé. Citando le parole che il cardinal Walter Brandmueller ha rilasciato a IlGiornale.it tre anni fa, si direbbe in sintesi che “la Chiesa tradisce il Vangelo se preferisce la politica a Dio”.

Quello è anche il pensiero di buona parte dei fedeli. “Chiesa” è un concetto che si presta male alle sintesi ed alle banalizzazioni: non tutti i consacrati, in questi ultimi anni, si sono appiattiti sul “progressismo”. Esistono emisferi ecclesiastici che hanno elevato un vero e proprio muro per contrastare l’avanzata del relativismo, che è un’anticamera del progressismo. Ma è l’atteggiamento diffuso a preoccupare: il fatto di andare incontro al mondo. La “Chiesa in uscita” – una delle indicazioni di papa Francesco – , viene percepita in contrasto con la “minoranza creativa”, che è invece un’espressione, una speranza, ratzingeriana. Due strategie differenti, per due esiti che possono a loro volta differire.

Per quanto le scelte, negli ultimi tempi, siano apparse coraggiose: la posizione della Conferenza episcopale italiana contro la proposta di legge Zan-Scalfarotto è cristallina. I vescovi italiani pensano che una legge contro l’omofobia non sia necessaria, in specie nel caso comporti “derive liberticide”. La base cattolica, in contemporanea con le leggi promosse dagli ultimi esecutivi, ha operato da pungolo, sanando il gap ed il silenzi per mezzo della piazza. Le istituzioni ecclesiastiche – anche del Vaticano – si sono fatte sentire meno rispetto a qualche decennio fa.

Dalla gestione dei fenomeni migratori, alla simpatia provata per le “sardine”, passando per il globalismo e l’ambientalismo alla Greta Thunberg: la Chiesa cattolica ha operato una manovra che l’ha portata verso sinistra. Non è lecito parlare di un “abbraccio”, mentre parrocchiani, associazioni laiche ma vicine agli ambienti ecclesiastici, e singoli cattolici sono soliti rifiutare queste “collateralità”. Qualcuno parla anche apertamente di un dovere: scardinare la presunta intesa tra le alte sfere del Vaticano ed il Partito Democratico (idem per il MoVimento 5 Stelle). Per quanto la Chiesa cattolica e le sue autorità non vengano quasi mai criticate in pubblico, poi, è facile constatare la presenza di un sentimento popolare che cerca di aggiustare il tiro.

Le parole puù dure contro la Zan-Scalfarotto, da parte ecclesiastica, sono state pronunciato dal cardinal Camillo Ruini e dall’arcivescovo Giampaolo Crepaldi. Il secondo, da Trieste, ha diramato una nota in cui prende una posizione tanto precisa quanto allarmata: “Desidero esprimere tutta la mia preoccupazione a riguardo del Disegno di Legge di contrasto all’omofobia e alla transfobia, fortemente criticato dalla CEI in maniera tempestiva e chiara, ma anche da altri tra cui conosciute femministe, perché si tratta di un’iniziativa legislativa che mette a rischio la libertà di espressione”. Ma sia Ruini sia Crepaldi vengono spesso associati alla “vecchia guardia”. Quella che si era ritagliata spazi importanti sotto il regno di Joseph Ratzinger e che ora fatica a dettare la linea, che è espressa da altri alti ecclesiastici. Questo vale sia per la bioetica sia per altri ambiti. La Zan-Scalfarotto non è casuale: è nata negli ambienti politici che reggono il governo giallorosso.

La base cattolica confida dunque in un maggior dialogo con le forze di centrodestra? In qualche modo sì. Soprattutto nella misura in cui una dialettica con Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si riveli utile nella difesa di quelli che il cardinal Camillo Ruini usa definire “valori cattolici fondamentali”. Le piazze pro life di questi anni, a partire dal Family Day, non hanno sposato in pieno la causa dell’opposizione, almeno non in maniera organica, ma hanno sempre contrastato la linea dei governi progressisti. Perché quello percorso dal centrosinistra in bioetica, tranne che per i “cattolici adulti”, non può che essere un “pendio scivoloso”. Si può dire lo stesso degli alti consacrati? Crediamo che interrogare la base sia il modo per comprendere ed approfondire lo stato delle cose.
“La Chiesa non può essere di destra o di sinistra”
L’Ecclesia non è un partito, non ragiona da partito e non può essere indagata alla stregua di un partito. La Chiesa cattolica, però, entra spesso e volentieri nel dibattito che riguarda i temi del contemporaneo. L’avvocato Luca De Netto, una delle anime della base, chiarisce subito: “La Chiesa non può essere né di destra, né di sinistra, come non può sposare o peggio adeguarsi alle realtà mondane, perché, come insegna il catechismo, è nella storia, ma nello stesso tempo la trascende. La Chiesa è ad un tempo visibile e spirituale, società gerarchica e corpo mistico di Cristo. È una, formata di un elemento umano e di un elemento divino, e pertanto sarebbe assurdo ricondurla a logiche che riguardano un sistema dell’organizzazione della comunità umana, tra l’altro relativo, storico, altamente criticabile e sempre mutevole”. Però qualche problema esiste. Altrimenti De Netto non affermerebbe che “…semmai, possiamo registrare una sintonia, da parte di un certo clero e di organizzazioni legate al mondo “cattolico”, con le idee della cosiddetta sinistra, e ciò deriva da cause ben precise che passano dall’influenza di Hegel in certi teologi, dall’opera di Lemmaneis, Maritain e di Mounier, dal cedimento dei cattolici al liberalismo, dall’assurda idea di poter trovare intese con il marxismo o persino di “cristianizzarlo”, questione denunciata già nei decenni passati da molte intelligenze, tra cui Augusto Del Noce”.

Esiste insomma una parte di clero che non fa che guardare a sinistra, addirittura in chiave dottrinale. Quasi come se le istanze cavalcate dai progressisti e certi obiettivi culturali di alcune correnti ecclesiastiche coincidessero:“Ma questo tende a ridurre di fatto la presenza viva della Chiesa ad una qualsiasi organizzazione sociale, come se fosse una ONG. Con il risultato di allontanare i fedeli, i quali necessitano di risposte di natura in primis spirituale, mistiche, contemplative e morali”. L’avvocato De Netto fotografa meglio il quadro: “Quello che si avverte con sempre maggior reazione, a livello di base, non è tanto il flirt con quello che viene definito “progressismo”, quanto un vero e proprio rifiuto nei confronti della mondanizzazione, ossia del voler canalizzare in maniera quasi esclusiva il ruolo e la funzione della Chiesa verso la società politica, dando priorità a temi sociali, economici, sindacali, e di qualsiasi altro campo che non sia quello di natura trascendente e metafisico”

Business migranti: toghe rosse, affaristi, mafie e coop esultano per la sentenza della Consulta anti-dl Salvini



Di Adolfo Spezzaferro – Roma, 10 lug – La Consulta boccia la norma del decreto Sicurezza che impediva l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo. Ed è subito festa per gli immigrazionisti filo Ong e tutta la pasciuta filiera del business dell’accoglienza. L’Alta corte giudicando la misura incostituzionale offre un assist a tutti quelli che stanno premendo per cancellare i decreti di Salvini e ripartire alla grande con il business degli immigrati. Sebbene il diretto interessato, l’ex ministro dell’Interno, spieghi che la decisione della Corte costituzionale danneggia gli enti locali e non di certo la Lega, dalle toghe rosse passando per Arci e coop dell’accoglienza è tutto un esultare.
Salvini: “La sentenza danneggia gli enti locali, anche quelli guidati dal Pd”
“La norma contestata dalla Consulta sull’iscrizione dei richiedenti asilo non colpisce al cuore il decreto Sicurezza 1, ma interviene su una norma sollecitata dall’Anci già dal febbraio 2017 in sede di adozione del decreto Minniti”, precisa Matteo Salvini. “La misura inserita nel decreto Sicurezza 1 – ricorda ancora il leader della Lega – non riduce le tutele, ma sgrava il lavoro dei Comuni”. Pertanto, conclude l’ex titolare del Viminale, “la sentenza della Consulta non danneggia la Lega ma gli enti locali, anche quelli guidati dal Pd, che chiede di cancellare tutti i decreti Sicurezza“.
Le coop Arci esultano: “Primo passo verso cancellazione decreti destra xenofoba”
Di tutt’altro avviso le coop dell’Arci: la decisione della Consulta è “il primo passo verso la cancellazione, che da subito abbiamo chiesto raccogliendo decine di migliaia di firme e scendendo in piazza con la campagna ‘Io Accolgo’, dei decreti voluti dalla destra xenofoba per criminalizzare gli stranieri, cancellando i loro diritti per convincere gli italiani che in questo modo saremmo stati meglio noi”. Non paghe e scalpitanti all’idea di ripartire con Sprar e soldi a profusione, le coop dell’Arci se la prendono pure con i giallofucsia: “Se a cancellare quelle norme fosse stata la nuova maggioranza, subito, nell’autunno scorso, senza dover sempre aspettare l’intervento della magistratura, forse la cultura democratica in questo Paese avrebbe ritrovato un punto di riferimento. Purtroppo a quasi un anno di distanza i due decreti sicurezza sono ancora lì, con tutta la loro carica di veleni e di gas mefitici, ad asfissiare la nostra democrazia. Facciamo appello alla maggioranza – conclude l’Arci – affinché si arrivi subito ad un intervento che cancelli questa vergogna dalla nostra legislazione“. Parole che significano per l’appunto: bisogna ripartire quanto prima con il sistema Sprar e il business dell’accoglienza.
Il plauso delle toghe rosse
Pavloviano anche il plauso delle toghe rosse, grandi nemiche dell’allora ministro Salvini e da sempre immigrazioniste convinte. Quella della Consulta è “una decisione importante che interviene su uno degli aspetti più critici del decreto Sicurezza e su una disposizione gravida di conseguenze pregiudizievoli per tantissime persone straniere alle quali, proprio per effetto di tale disposizione, è stato precluso l’esercizio dei diritti fondamentali”, scrivono i magistrati di Area (che ingloba la corrente delle toghe rosse di Magistratura democratica). Le toghe di Area concludono che “in attesa di conoscere le motivazioni della Corte esprimiamo grande apprezzamento per una decisione che riafferma i valori costituzionali della centralità della persona e della sua dignità e il carattere fondamentale dei valori della solidarietà e dell’inclusione sociale”.
I giallofucsia vogliono rimettere su il business dell’accoglienza
Insomma, tutto sembra indicare che il governo giallofucsia – sotto impulso, per l’appunto, della sinistra fucsia – presto procederà con l’abrogazione dei dl Sicurezza e quindi con la cancellazione delle multe alle navi Ong che hanno ripreso a sbarcare clandestini nei nostri porti, il ripristino della mangiatoia Sprar e grandi affari per le coop dell’accoglienza.

Il ministro Speranza blocca i voli dal Bangladesh, ma i bengalesi arrivano dalla rotta balcanica e nessuno li ferma



Di Costanza Tosi – Il governo blocca i voli ma non basta. Chi scappa dall’inferno non entra soltanto con l’aereo, ma anche della tortuosa via della rotta balcanica. Mentre l’Italia cerca di tornare alla normalità, con la riapertura dei confini la minaccia di una nuova ondata di Covid si fa sempre più pesante. A spaventare, negli ultimi giorni, sono stati i nuovi focolai emersi dopo l’arrivo a Roma di alcuni cittadini provenienti dal Bangladesh. Dalla famiglia di Dacca, positiva al Coronavirus è partito l’allarme e attraverso le autorità che hanno fatto scattare i controlli per intercettare tutti i possibili contagiati provenienti dallo stesso volo i bengalesi risultati positivi ai tamponi sono stati intercettati anche in altre regioni d’ Italia.

In Emilia Romagna, dove sono stati messi in quarantena alcuni cittadini arrivati a Roma e trasferiti poco dopo nel Cesenatico e poi in Toscana, a Viareggio, dove si erano spostati altri due stranieri. “Il governo del Bangladesh è irresponsabile e non riesce a dare risposte: non ci sono tutele per la salute, cure mediche, è il far west”, aveva dichiarato all’AdnKronos Mohamed Taifur Rahman Shah, presidente dell’Associazione Italbangla dopo la notizia dei suoi conterranei risultati positivi al virus.

Così, chi può, cerca di sfuggire al peggio. Questa mattina, alle prime ore dell’alba, una cinquantina di migranti, sono entrati in Italia attraverso la rotta balcanica. Sono stati rintracciati e fermati da Polizia e Carabinieri mentre camminavano lungo viale Palmanova a Udine. Poi, sono stati accompagnati in Questura per l’identificazione. Nessuna donna e pochi ragazzi minorenni, tutti provenienti da Pakistan, Afghanistan e Bangladesh. Oltre alla fotosegnalazione, sono stati sottoposti al tampone per verificare l’eventuale positività al Covid-19. Adesso dovranno rispettare la quarantena all’interno di una struttura idonea in cui resteranno in isolamento fiduciario per 14 giorni. La sfida si fa sempre più difficile, perché se attraverso le compagnie aeree controllare lo stato di salute dei passeggeri pronti ad arrivare nel Bel Paese poteva essere complicato ma fattibile, intercettare i migranti provenienti dalla rotta balcanica è sempre stata impresa più ardua.

Sono in molti secondo Mohamed i cittadini che, dal Bangladesh, stanno cercando di arrivare in Italia. “Chi cerca di scappare dal Bangladesh oggi lo fa per due motivi. Il primo è per tornare sul luogo di lavoro. Il secondo è più preoccupante ed è collegato alla diffusione del Coronavirus nel nostro Paese. E’ anche per questo che qualcuno cerca di fuggire”. Una fuga dalla guerra con il nemico invisibile che, in pochi mesi, ha messo in ginocchio il mondo intero e che adesso, rischia di cancellare i passi avanti fatti dall’Italia nelle ultime settimane in cui il virus sembra aver affievolito la sua carica virale.

L’impennata negli ultimi giorni dei malati correlati ai voli provenienti dal Bangladesh ha fatto sì che, il ministro della Salute, Roberto Speranza, si accordasse con la Farnesina, disponendo la sospensione dei voli in arrivo dal Bangladesh. Così, due giorni fa, i passeggeri a bordo di un aereo arrivato dal Qatar con 135 persone partite da Dacca, sono stati rimandate a Doha, dove era avvenuto lo scalo con lo stesso aereo con il quale sarebbe dovuti atterrare in Italia.

Uno stop necessario, ma che sembra non bastare per bloccare gli arrivi degli stranieri nello Stivale, che pur di scappare dalla guerra contro il virus scelgono nuove rotte per penetrare nei Paesi ormai considerati meno a rischio.

venerdì 10 luglio 2020

A Laura Boldrini la sanatoria di Bellanova non basta, ora vuole regolarizzare tutti: “È un vantaggio”



Di Federico Garau – Con le modifiche ai Decreti sicurezza di Matteo Salvini ormai prossime, anche Laura Boldrini torna a parlare, e lo fa riproponendo uno dei suoi cavalli di battaglia, ossia la regolarizzazione dei migranti presenti sul territorio nazionale. Un tema caro al deputato del Partito Democratico, che da sempre si batte per i diritti degli extracomunitari. In tarda mattinata, dunque, la Boldrini è tornatata all’attacco, postando un suo intervento alla Camera dei Deputati.

“La #regolarizzazione dei migranti presenti sul nostro territorio è a vantaggio di tutti e di tutte perché consente di restituire dignità alle persone, di garantire la legalità e di tutelare la salute collettiva in un periodo di #pandemia”, scrive in calce al video la rappresentante del Pd, che insiste: “Perché allora regolarizzare un bracciante e non, ad esempio, un edile o un cameriere?”.
Insomma, il lavoro del ministro Teresa Bellanova sarebbe incompleto.
“La regolarizzazione va fatta sul serio”, continua nel post Laura Boldrini.“Perché consentire di mettersi in regola solo a chi è irregolare dal 31 ottobre 2019 e non a chi lo è da settimane o mesi prima?”.

Il governo, racconta l’ex LeU, ha accolto una delle proposte contenute nel suo ordine del giorno, firmato anche da altri deputati, impegnandosi, dunque, a garantire una sorta di monitoraggio sulle procedure in atto ed a valutare l’estensione della regolarizzazione anche ad altre categorie. La Boldrini, quindi, si augura che a ciò venga dato seguito.

Intervenendo ieri in Aula, la rappresentante del Pd ha in effetti insistito sul fatto che la cosiddetta sanatoria migranti sia stata inserita nel decreto per tre ragioni: per riconoscere dignità e diritti alle persone che vengono lasciate in condizione di irregolarità proprio per poterle sfruttare meglio, per garantire la legalità laddove invece regnano il caporalato e la mancanza di sicurezza, e per garantire dei livelli adeguati di tutela della salute. Il documento, però, avrebbe delle pecche. “Purtroppo questo documento è stato farcito di limitazioni e di condizioni tali da comprimere anche l’esito dell’operazione“, ha affermato la Boldrini, fornendo anche un esempio: “È come un treno ad alta velocità. Si va a tirare il freno di emergenza per paura che si arrivi troppo presto a destinazione”.

Per rimediare a queste “incongruenze”, ha spiegato Laura Boldrini, nei giorni scorsi aveva presentato in commissione un emendamento, ricevendo però un parere sfavorevole. Da qui la necessità di riproporre la questione mediante un ordine del giorno. Tutto questo per permettere ad “un numero maggiore di persone di accedere alla procedura di emersione. L’obiettivo è chiaramente quello di una maggiore sicurezza, sociale e sanitaria“, almeno a detta sua.


Agrigento, migranti in quarantena liberi di fuggire: poliziotti con le mani legate. “Se lo fa un italiano c’è l’arresto”



Di Giuseppe De Lorenzo – Se un migrante tenta la fuga, va “invitato” a rientrare nel centro di accoglienza. Con fermezza, certo, ma senza mai dimenticare le buone maniere. E comunque senza l’uso della forza né – non sia mai – facendo scattare le manette ai polsi.A Siculiana, in provincia di Agrigento, ha sede l’ex residence Villa Sikania, già trasformato in un centro di accoglienza tra il 2014 e il 2019. Lo scorso ottobre era stato chiuso, ma l’emergenza coronavirus ha costretto le autorità a riaprirlo per garantire ai migranti il distanziamento sociale. Tra loro vi sono anche alcuni stranieri sottoposti all’obbligo di quarantena: dovrebbero rimanere all’interno, senza possibilità di uscire. Almeno fino alla fine dei 14 giorni necessari per assicurarsi che nessuno di loro abbia il Covid.

Ma le cronache raccontano tutt’altra faccenda. A fine maggio un gruppo di tunisini era fuggito nonostante la quarantena obbligatoria, provocando le ire dei residenti, scesi in piazza in segno di protesta. Ma le scappatelle ancora oggi si ripetono giorno dopo giorno, come riferisce al Giornale.it una fonte ben informata, e stanno provocando non pochi problemi alle forze dell’ordine schierate a controllo dell’area. Nell’ultima settimana, quattro agenti sono rimasti feriti nel tentativo di bloccare i migranti usciti da Villa Sikania. E un poliziotto ha pure rimediato la frattura della rotula. Gli stranieri non hanno nulla da perdere, racconta la fonte, quindi si radunano in gruppi di 20-30 persone, puntano i poliziotti a difesa dei varchi e tentano di scavalcare il cancello. “Sanno che alcuni di loro verranno fermati, ma molti se ne vanno. Anche quelli in quarantena”. Un fatto che ovviamente costituisce una potenziale minaccia sanitaria e che investe tutta la Sicilia: episodi simili si registrano su tutta l’isola, come a Pozzallo (dove 7 tunisini sono riusciti a darsela a gambe) o a Comiso (47 migranti scappati).

A rendere ancor più complicata la faccenda ci sono le disposizioni di servizio consegnate dalla questura di Agrigento ai poliziotti schierati a Villa Sikania. Sono state redatte ad aprile, ma sono tutt’ora valide per chi vigila sulla struttura. Nel documento, che ilGiornale.it ha potuto visionare, sono contenute due indicazioni in particolare che suscitano perplessità. La prima, quella che vieta ai poliziotti di avere l’arma pronta all’uso: la pistola e il caricatore devono infatti essere tenuti separati. La seconda, invece, riguarda le modalità di azione per riuscire a prevenire l’uscita e l’allontanamento dei migranti per tutta la durata della quarantena: i poliziotti devono agire con fermezza, ma nel massimo rispetto della dignità umana. Quindi possono solo “invitare” gli eventuali stranieri fuoriusciti immotivatamente dalla struttura a rientrare. Senza però usare metodi coercitivi.

Il risultato è che con molta fatica gli agenti riescono ad opporsi a chi tenta di scappare. Quando 20 o 30 persone cercano di evadere, e la pattuglia di servizio non è in parità numerica, è normale che 2-3 di loro riescano a fuggire. Villa Sikania, peraltro, non è certo stata pensata per chiuderci all’interno delle persone: nasce come residence e le vie per uscire sono infinite. Difficile, se non impossibile, controllare tutti i varchi, soprattutto se al massimo si può usare un “invito” a rientrare. In una occasione alcuni migranti in quarantena obbligatoria sono stati ripresi, hanno opposto resistenza a pubblico ufficiale, sono stati riportati dentro la struttura e per loro non c’è stata alcuna conseguenza reale. “Lei mi insegna – dice la fonte – che se questa cosa la facesse un italiano, per lui scatterebbe l’arresto”.

In Italia è boom di moschee abusive, 9 a Milano. Così si nasconde il pericolo integralismo e terrorismo islamico



Di Fausto Biloslavo – A Milano le moschee «abusive» sono nove e quattro quelle autorizzate. In tutta la Lombardia sarebbero circa 70-75 i centri di preghiera irregolari, ma alla Regione hanno risposto poco più della metà dei comuni. E non città importanti per la presenza islamica come Brescia e Bergamo. «Ancora una volta al centro dell’islamizzazione violenta c’è un luogo di culto abusivo: quello di via Carissimi a Milano, gestito dall’associazione Al Nur» sottolinea l’assessore regionale alla Sicurezza, Immigrazione e Polizia locale, Riccardo De Corato. «Chiediamo la chiusura immediata di tutti i centri islamici abusivi che, come confermano le indagini, sono luoghi al di fuori di ogni controllo anche da parte delle stesse associazioni» spiega l’assessore.

Il convertito italiano, Nicola Ferrara, adepto della guerra santa, frequentava proprio la moschea «abusiva» di via Carissimi in mano ai bengalesi. E all’esterno del centro islamico adescava i giovani per circuirli con la Jihad. «Quattro, cinque ragazzini, anche minori, prevalentemente italiani convertiti» spiega il tenente colonnello Andrea Leo, che guida il Reparto operativo speciale dei carabinieri coinvolto nelle indagini. L’aspetto più strano è che Issa, il nome islamico del talebano italiano, frequentasse una moschea non vicina a casa sua e di riferimento per i bengalesi. Non solo: l’antiterrorismo, secondo informazioni raccolte prima del suo caso, monitorizzava gli ambienti islamici del Bangladesh a Milano almeno dal 2017.

Nel capoluogo lombardo esiste una costola islamista bengalese legata alla Jamat e Islami, una specie di Fratellanza musulmana che tende all’estremismo salafita. Alcuni membri avevano addirittura accusato le autorità di Dacca della strage di turisti, compresi 9 italiani, in realtà perpetrata dai terroristi dell’Isis il primo luglio 2016. Abu Hanif Patwery è la «faccia presentabile» della comunità, in realtà «un finto moderato» secondo gli addetti ai lavori. Grazie alla sua regia i bengalesi hanno manifestato per le vie del capoluogo lombardo a favore dei «fratelli» giustiziati o in carcere a Dacca con l’accusa di terrorismo.

Munshi Delowar Hossain, il presidente del centro islamico frequentato dall’italiano jihadista non aveva informato il Comune della mutazione d’uso dei 200 metri quadrati di via Carissimi registrati come «laboratorio». La polizia municipale ha accertato che si trattava di un ruolo di culto con regolari orari di preghiera. Il Consiglio di stato ha respinto il ricorso dell’associazione Al Nur, che gestisce la moschea abusiva, contro le irregolarità riscontrate dalle autorità. Il comune di Milano ha regolarizzato la posizione di quattro centri di preghiera islamici in via Padova/Cascina Gobba, via Maderna, via Gonin e via Quaranta. Altri nove sono abusivi, ma continuano a venire utilizzati come «moschee». Il 2019 aveva registrato un’impennata delle nuove «moschee» in tutta Italia. Rispetto ai 1251 luoghi di culto islamici nel paese l’obiettivo non dichiarato è di arrivare al doppio. Grazie ai fondi privati e pubblici che giungono da Qatar, Turchia e Arabia Saudita.

Solo dal 2013 al 2017 la Fondazione caritatevole del Qatar ha investito 25 milioni di euro per i centri islamici in Italia. Molte delle associazioni musulmane hanno sede in appartamenti privati, negozi, garage, magazzini, che non potrebbero venire utilizzati come moschee. Centri abusivi di culto dove si annida il pericolo della serpe jihadista. Le regioni più a rischio rimangono la Lombardia, il Lazio e il triangolo pericoloso è sempre quello di Milano-Brescia-Bergamo. I centri islamici abusivi, però, si stanno insediando anche in provincia. In Lombardia, Lazio e Campania si concentrano il 60% delle 12.034 intercettazioni dell’antiterrorismo dal 2005 al 2017. Solo in Lombardia i «bersagli» sospetti monitorati, nello stesso periodo, sono stati 4567.

Danilo Toninelli dà di matto e delira: “Salvini e Meloni all’ergastolo multiplo. Ve la fate sotto, eh?” (Video)



Danilo Toninelli, re indiscusso delle gaffe, ora è completamente fuori controllo. Non bastava aver accusato Matteo Salvini, ora fuori anche dal governo, di aver impedito la revoca delle concessioni del nuovo ponte di Genova ad Autostrade. Adesso il grillino ci ricasca. Anzi, torna ad insultarlo in modo osceno, dopo gli insulti altrettanto osceni della vigilia.

“Se in Italia ci fosse una pena per le ca***te, le fake news, Meloni e Salvini prenderebbero l’ergastolo multiplo – delira sul suo profilo Facebook con tanto di video -. Oggi Salvini ha detto che non è sua la responsabilità della mancata revoca ai Benetton: ma dove stava Salvini quando era al Governo? Abbiamo fatto riunioni su riunioni per decidere, a Conte doveva essere dato l’indirizzo politico e Salvini non partecipava perché se la faceva sotto“.

 Ma ecco che l’ex ministro dimentica due piccoli dettagli che smentiscono quanto da lui sbandierato. Primo tra tutti, dalla tragedia del ponte Morandi sono passati ben due anni. Due anni in cui il Movimento 5 Stelle a parole prometteva di revocare la concessione ad Aspi senza però mai passare ai fatti. Secondo punto, forse ancora più ridicolo per Toninelli, la lettera svelata dull’Huffington Post. La missiva parla chiarissimo: “Le basi per il Ponte di Genova ai Benetton le ha messe Danilo Toninelli“. E quindi non resta che dire: che figuraccia.

giovedì 9 luglio 2020

Imperia, scaglia sassi e sputa addosso ai carabinieri al pronto soccorso. Marocchino torna subito in libertà



Di Fabio Marinangeli – È arrivata la condanna per il marocchino di 41 anni che, il 25 marzo scorso, in preda ai fumi dell’alcool, aveva sputato addosso ai carabinieri. Dieci mesi di carcere senza la condizionale. L’aggressione aveva avuto luogo al pronto soccorso di Imperia, dove lo straniero diceva di sentire dolori in varie parti del corpo.
L’improvvisa aggressione da parte del marocchino
All’improvviso il 41enne aveva dato in escandescenze. I sanitari non riuscivano a calmarlo in nessun modo e lui li insultava. Non aveva più freni. Perciò infermieri e medici avevano chiesto l’intervento dei carabinieri.
L’intervento dei militari al pronto soccorso
I militari erano giunti immediatamente al pronto soccorso. La situazione era di pericolo. Per salvaguardare l’incolumità del personale sanitario e dei pazienti che erano in attesa di ricevere assistenza, avevano tentato di bloccarlo. Non era facile, ci sono riusciti dopo vari tentativi. Ma il marocchino gli aveva sputato addosso.
Dal marocchino sassi e sputi contro i carabinieri
I carabinieri, a quel punto, l’avevano condotto all’esterno della struttura sanitaria. Ma lui, in preda alla furia, ha ripreso ad aggredire i carabinieri tentando di colpirli con un sasso, sputandogli contro e insultandoli. Vista la gravità dei fatti in un momento così delicato per la salute pubblica il giudice nel convalidare l’arresto aveva previsto la custodia cautelare in carcere. Ma ora, dopo il verdetto del tribunale, il marocchino è stato, comunque, rimesso in libertà in attesa della sentenza definitiva.

Sarno, nigeriano appena scarcerato torna a violentare dopo una settimana: “Desidero una donna”



Di Nicola Sorrentino – Finisce a processo con il giudizio immediato, quasi una settimana dopo il suo primo arresto per violenza sessuale. Al quale ne era poi seguito un altro, in una città differente. Questa la richiesta della Procura di Nocera Inferiore nei riguardi di un nigeriano senza fissa dimora, di 38 anni, che sarà giudicato in virtù di elementi indiziari chiari ed evidenti, raccolti nella fase precedente al primo arresto, con la formula del rito immediato.

 I fatti che lo riguardano risalgono alla notte tra il 29 e il 30 giugno scorso, a Sarno. Dopo aver scavalcato la recinzione di un centro sportivo, l’uomo si era denudato, attirando l’attenzione del titolare della struttura. Non riuscendo a comunicare con l’extracomunitario, che parlava solo inglese, si era fatto raggiungere dalla sua ragazza, che insegna appunto inglese, allo scopo di capire cosa volesse lo straniero.

Dopo essersi rimesso i pantaloni, il nigeriano aveva spiegato di essere senza lavoro e senza una casa. E di trovarsi in una situazione di grossa difficoltà, spiegando anche di «desiderare una donna». Dopo aver pronunciato quelle parole, aveva allungato la mano e toccato il seno della ragazza. Il fidanzato di lei aveva a quel punto allertato i carabinieri, che giunti sul posto avevano disposto lo stato di fermo per l’africano, con l’accusa di violenza sessuale.

Quando era comparso dinanzi al gip, per l’interrogatorio di garanzia, l’uomo aveva ammesso di aver toccato quella ragazza, spiegando di trovarsi in una situazione emotiva precaria. Il giudice, ravvisando la «tenuità» del fatto, lo aveva scarcerato, firmando il nulla osta per l’espulsione. Essendo il 38enne senza fissa dimora. In passato, era stato già segnalato per episodi simili, sempre a Sarno, fino ad essere ospitato in un convento gestito da frati francescani nella località di Foce. Su di lui, tuttavia, pendeva già un decreto di espulsione.

La Guardia Costiera sale a bordo della Sea Watch e la sequestra: “Mette a rischio migranti ed equipaggio”



Di Agostino Corneli – Disposto il fermo amministrativo per Sea Watch 3. Come riporta AdnKronos, dopo un’ispezione dei militari della Guardia Costiera a bordo nella nave battente bandiera tedesca, sono state riscontrate “diverse irregolarità di natura tecnica e operativa tali da compromettere non solo la sicurezza dell’unità e dell’equipaggi ma anche delle persone che sono state e che potrebbero essere recuperate a bordo”.

Oltre a questo norme di sicurezza, secondo quanto riportato dai militari sarebbero state riscontrate anche delle importanti “violazioni alle normative a tutela dell’ambiente marino”.

Tanto è bastato per gli uomini della Guardia Costiera per dichiarare lo stato di “fermo amministrativo” per la nave ormeggiata a Porto Empedocle, e che nei giorni scorsi è salita agli onori della cronaca per aver attraccato nel porto siciliano dopo il periodo di quarantena dei migranti sulla Moby Zaza. Sono stati 211 i migranti fatto approdare in Italia dalla Sea Watch 3: tutti soccorsi vicino alla costa libica.

Secondo le note della Guardia costiera, il fermo “permarrà fino alla rettifica delle irregolarità rilevate in sede ispettiva e, per alcune di esse, sarà necessario l’intervento dello Stato di bandiera che detiene la responsabilità della conformità della nave rispetto alle Convenzioni internazionali e alla legislazione nazionale applicabile”. Quindi dovrà essere la Germania a rispondere delle violazioni della nave Sea Watch per quanto riguarda le leggi che regolano il traffico marittimo.
Ong sottoposte a fermo
Non è la prima volta che le navi delle Ong vengono sottoposte a fermo amministrativo. A maggio era stata la volta della Aita Mari e della Alan Kurdi, con la reazione rabbiosa da parte delle organizzazioni non governative, che avevano gridato allo scandalo per quello che gli operatori delle navi ritenevano “una pura molestia per fermare gli sforzi di salvataggio in mare di civili”. Frasi che però non tenevano conto delle irregolarità riscontrate a bordo delle navi. Irregolarità che, questa volta, sono state invece ritrovate a bordo della Sea Watch. Irregolarità rinvenute anche nel 2019 (ben 32) che obbligarono la nave a rimanere ferma nel porto di Catania.
I controlli della Guardia Costiera
I controlli della Guardia costiera sono ovviamente di routine. I militari italiani intervengono sempre in caso di navi battenti bandiera straniera per verificare la regolarità della posizione delle imbarcazioni e dal momento che questi mazzi vengono usati come veri e propri taxi del mare per trasportare uomini e donne recuperati in mare, è chiaro che il profilo della sicurezza sia particolarmente importante. Ma evidentemente il rispetto delle regole non è propriamente in cima all’agenda delle ong che si occupano di questo tipo di missioni. La loro idoneità è stata riscontrata diverse volte, ma queste navi continuano imperterrite nel loro lavoro di trasporto di centinaia di uomini da una parte all’altra del Mediterraneo, nonostante questo significhi – come dimostrato anche dalla Guardia costiera – mettere a rischio anche l’incolumità delle persone salvate, oltre che quelle dell’equipaggio.

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