venerdì 29 novembre 2019

Rompe il naso alla compagna, la lega al letto e la stupra: l’orrore a Roma. Arrestato un giovane straniero


Roma, un’altra violenza di un immigrato. Ha preso a pugni la compagna, rompendole il naso, poi l’ha immobilizzata sul letto legandola con il nastro adesivo, infine ha abusato sessualmente di lei. Il 26enne colombiano, che si è reso responsabile delle violenze proprio la notte del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, è stato arrestato dai carabinieri della stazione di Fiano Romano.

Le accuse sono maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e lesioni personali aggravate. È stata proprio la donna, una 26enne cittadina dell’Ecuador che ha chiamato il 112 richiedendo aiuto perché il suo compagno l’aveva aggredita, violentata e percossa. Portata presso il pronto soccorso dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma, alla vittima aveva un trauma cranio-facciale con frattura delle ossa del naso e contusioni con ecchimosi multiple al volto. La prognosi è stata di 30 giorni.
La donna portata al sant’Andrea di Roma
Ai carabinieri ha raccontato che il compagno colombiano, dopo averla fatta entrare nella camera da letto con una scusa, l’aveva colpita con dei pugni al volto. Poi l’aveva gettata sul letto, immobilizzata con del nastro adesivo sulle mani e sulle caviglie e aveva abusato sessualmente di lei. Fortunatamente la donna è riuscita a scappare e a chiamare i carabinieri.

I militari, dopo aver arrestato l’autore della inaudita violenza, stanno ricostruendo l’intero vissuto della coppia.
Allo scopo di garantire alla vittima tratta in salvo di uscire per sempre dall’incubo di una relazione con un uomo violento e pericoloso e scongiurare conseguenze più gravi. Su disposizione dell’autorità giudiziaria di Rieti, l’uomo è ora in carcere.

Bimba rom di 5 mesi trovata morta nel campo: i genitori l’hanno lasciata morire di fame, indagati per maltrattamenti



Sono ufficialmente indagati per maltrattamenti in famiglia i genitori della neonata di appena cinque mesi trovata morta in un campo nomadi di Roma. La procura capitolina, infatti, ha aperto un fascicolo a carico dei due, procedendo per “morte come conseguenza di altro reato”. Saranno ora le indagini dell’Arma dei Carabinieri della Compagnia Roma Eur, e l’autopsia disposta dal pubblico ministero, a chiarire con certezza le cause della drammatica morte dell’infante

Infatti, come riportato dall’agenzia stampa Adnkronos, non si esclude che la dipartita della piccola possa essere legata a gravi problemi di malnutrizione, ipotesi che rientrerebbe appunto nella fattispecie del reato di maltrattamenti in famiglia, contestato alla madre e al padre della bambina.

La tragedia si è verificata nella baraccopoli capitolina di via Candoni, uno degli accampamenti più noti e popolosi della Città Eterna. I familiari hanno chiamato i soccorsi e quando il personale dell’ambulanza del 118 è arrivata sul posto ha cercato, purtroppo senza riuscirci, di rianimare la neonata con un massaggio cardiaco e con le strumentazioni mediche. Insieme al personale medico-sanitario del 118 sono giunti sul posto anche gli uomini della Benemerita.

Molte le zone d’ombra sulle quali gli inquirenti sono chiamati a fare luce. Al momento, secondo la prima ricostruzione effettuata, la neonata (venuta al mondo quest’estate, nel mese di giugno), avrebbe accusato un malore durante la notte tra mercoledì e giovedì. Attorno all’alba, la chiamata dei genitori al numero unico per le emergenze. Ogni tentativo di rianimazione è stato vano e la bimba è stata dichiarata morta alle ore 6:55 di oggi, giovedì 29 novembre. Il corpo, dunque, è stato trasferito in ospedale per essere sottoposto all’autopsia del medico legale.

Nessuna ipotesi, al momento, viene esclusa. Nel mirino degli inquirenti i genitori della piccola, sotto indagine della Procura per maltrattamenti.

Quella di via Candoni è una situazione al limite, assai problematica per l’amministrazione Raggi. Il Campidoglio, infatti, ha disposto un controllo h24 del territorio in questione, vista l’opera di bonifica del terreno effettuata dal Comune di Roma. Il campo nomadi, peraltro, sorge a un tiro di schioppo da un deposito Atac.

Il cosiddetto “piano nomadi” del Campidoglio si sta rivelando un flop: infatti, secondo una recente relazione, appena una famiglia su dieci è riuscita a lasciare gli insediamenti nonostante i bonus previsti dal Comune, secondo una manovra fortemente voluta dalla sindaca del Movimento 5 Stelle Virginia Raggi.

giovedì 28 novembre 2019

Da Nord a Sud spuntano manifesti con la faccia di Boldrini. La sinistra delira: “Vigliacchi attacchi razzisti”


In molte città italiane, da nord a sud, sono comparsi curiosi manifesti con il volto di Laura Boldrini. Sotto la faccia dell’ex presidente della Camera campeggia una scritta: “Pensa come vuoi ma pensa come noi”. Sembra chiaro lo spirito ironico e il richiamo al pensiero unico dominante. Nessuno ha però rivendicato l’azione e sui manifesti non vi sono simboli politici.

C’è soltanto uno strano occhio, che evoca quello del Grande Fratello che tutto vede. E poi un’altra scritta, in corsivo e tra virgolette. Una frase che potrebbe aver pronunciato qualche esponente politico particolarmente ansioso di aprire porte e accogliere tutti: “Gli immigrati ci offrono uno stile di vita che presto sarà molto diffuso tra tutti noi”.
Misteriosa e ironica protesta
Si tratta dunque di una provocazione e allo stesso tempo di una protesta contro chi vorrebbe approvare lo ius soli? Alla base del manifesto, proprio all’altezza dello strano occhio che riecheggia il 1984 di George Orwell, c’è anche un’altra scritta: “Ministero della verità”. Anche in questo caso dunque sembra che gli autori del gesto abbiano voluto lanciare una frecciata a coloro che si ritengono gli unici detentori di una sorta di verità assoluta e per questo insindacabile. Fatto sta che in rete si leggono reazioni di ogni tipo, tra approvazioni, indignazioni e interpretazioni più disparate, in alcuni casi piuttosto bislacche.
Le reazioni indignate
Ad esempio a Udine il consigliere comunale Cinzia Del Torre ha subito intravisto del ‘sessismo’ e ha voluto segnalare alla Digos i manifesti: “A tre giorni dalla Giornata contro la Violenza sulle Donne, si dimostra, ancora una volta che i peggiori attacchi, vigliacchi perché anonimi, anche in politica, sono rivolti alle donne, ha dichiarato Del Torre. Cosa ci sia di sessista è arduo dirlo.

 “E’ stato un vile e ignobile atto vandalico – ha dichiarato invece Arcangelo Riccardi, consigliere del comune di Villachiara (Brescia) – un insulto all’onorevole Boldrini e a tutti quanti ritengono che il fenomeno dell’immigrazione debba essere gestito responsabilmente, garantendo al contempo sicurezza ed accoglienza”. La Repubblica si spinge oltre e parla di “campagna razzista contro Boldrini che in queste ore sta apparendo in diverse città d’Italia”.

I manifesti sono senza dubbio misteriosi, ma una cosa è certa: la sinistra è andata in tilt anche stavolta.

Smascherato il traditore Conte: “Le banche tedesche e francesi ringraziano, così il premier ha fregato l’Italia”



Così Giuseppe Conte sul Mes ha fregato il Parlamento. Il direttore del Tempo Franco Bechis nel suo editoriale ripercorre 6 mesi di trattative segrete sul Fondo Salva Stati culminato nella maxi-rissa alla Camera, mercoledì pomeriggio. Leghisti e deputati di FdI, sottolinea Bechis con una punta d’ironia, “qualche ragione per essere un pizzico alterati” ce l’avevano.

Come ammesso in Commissione Finanza al Senato dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, l’Italia “non avrà alcuna possibilità di modificare la bozza del Meccanismo Europeo di stabilità”, un testo che “ribadisce le regole dell’austerity che hanno messo in ginocchio l’Italia negli ultimi dieci anni e più e non concede il ricorso al fondo salva stati o al fondo salva banche a chi non è in regola con il debito pubblico”.

Identikit perfetto dell’Italia, insomma. Gualtieri ha scaricato la colpa sul governo precedente (cioè Conte, che insieme al suo predecessore Tria ha gestito il dossier in Europa, tenendo all’oscuro il Parlamento italiano nonostante una risoluzione della maggioranza lo vincolasse a riferire in Aula su qualunque modifica al testo, figurarsi un voto vincolante), e soprattutto assicura che l’Italia non avrà mai bisogno di ricorrere a quel fondo. Bechis, però, lo smentisce categoricamente.

Innanzitutto, ricorda il direttore, fu il grillino Stefano Patuanelli (oggi ministro dello Sviluppo) a chiedere lo scorso giugno di “fermare la riforma del Mes, che crea inaccettabili disparità di trattamento fra Paesi nell’accesso ad eventuali aiuti finanziari”. Ma Conte, spiega Bechis, “se ne fregò allegramente. Sapeva che lo avrebbe fatto, ma disse di si alle condizioni che poneva la maggioranza del Parlamento perché non aveva il coraggio di ribattere, poi ha detto di si a tutti gli altri e manco gli è venuto in mente che forse dopo avrebbe dovuto confessare la sua disobbedienza alle Camere. Così è saltato fuori tutto solo adesso”.

Risultato, il Mes così concepito aiuterò le banche tedesche e francesi grazie ai soldi dati dall’Italia terzo finanziatore che, viceversa, non potrebbe attingervi perché gravata da un grande debito pubblico. “Siamo donatori di sangue e non potremmo mai riceverne nemmeno in pericolo di vita”. Insomma, è la conclusione: “Il Conte uno si è saldato con il Conte due e ce l’ha Mes in quel posto“.

“Meloni bestia, sgorbia, demente, feccia”. Ecco l’odio e gli insulti choc delle sardine contro la leader di FdI



Doveva essere un “popolo di persone normali” che non odiano, che amano “la bellezza, la non violenza verbale e fisica”. Eppure anche nel banco di sardine più chic che ci sia, le mele marce non mancano.Anzi. Mentre nel manifesto si attaccano i populisti che rovesciano “bugie e odio” sugli italiani, i seguaci di Santori&co. riempiono di insulti chi non la pensa come loro. Per la precisione, Giorgia Meloni. Finita in un vortice di offese non proprio da pesciolini educati.

Succede che un paio di giorni fa nel gruppo Facebook l’Arcipelago delle Sardine un utente pubblica un commento sulla proposta della leader di Fratelli d’Italia di destinare il 5×1000 al fondo per i rimpatri degli immigrati irregolari. L’emendamento alla manovra non piace (c’era da aspettarselo) alle sarde nostrane, che si scatenano in una discussione non certo edificante. Nel post si parla di “proposta oscena” che porterà il Belpaese alla “barbarizzazione”.

Fin qui, nulla di male. La critica politica è legittima. Anzi: sana espressione di democrazia. Discorso diverso per i commenti che ne scaturiscono. Le sardine si lasciano andare ad un profluvio di insulti che neppure nei peggiori bar de Caracas. “Una demente”, scrive qualcuno. “Una pazza da manicomio”, fa eco un un altro utente. E poi giù con “bestia”, “Gollum”, “mer…”, “sgorbia”, “spregievole”, “feccia” e via dicendo. Non manca neppure la richiesta di processarla come i nazisti a Norimberga. Che educazione.

Va chiarito che la pagina in questione non è quella ufficiale delle 6mila sardine. Si tratta di un gruppo parallelo da 160mila membri col cuore in Puglia. Tra gli amministratori appare Davide Carlucci, sindaco di Acquaviva delle Fonti ed esponente di Italia in Comune. Al movimento dell’ex grillino Pizzarotti appartengono anche altri due amministratori dell’Arcipelago delle Sardine: Grazia Desario e Michele Abbaticchio, sindaco di Bitonto, vice-coordinatore nazionale del partito con cui si è candidato alle europee.

È stato lo stesso Carlucci, dopo le polemiche sugli insulti alla Meloni, a chiedere scusa con un breve post e promettendo di cancellare le offese. L’Arcipelago delle Sardine si proponeva di cambiare l’Italia per lasciarsi alle spalle “la stagione del fasciopopulismo sovranista”. Qualcosa però dev’essere andato storto.

In realtà non siamo stupiti. Intendiamoci. Giorgia Meloni non è nuova ad attacchi del genere e non ne è esente neppure Salvini. L’accaduto dimostra, se ve ne fosse bisogno, che focalizzare l’attenzione solo “sull’odio populista” è miope. Oltre che sbagliato. A Repubblica, allora, aggiungiamo allora quest’altro suggerimento: nella rubrica contro la violenza verbale (ovviamente xenofoba e sovranista), si parli pure di questo. Che è odio sardinesco.

Bufera giudiziaria su Matteo Renzi. La villa, il mutuo e il prestito di 700mila euro: ora indaga l’antiriciclaggio



Chi ha dato i soldi a Matteo Renzi per comprasi la villa che fu della famiglia Puccini? È anche a questa domanda che i pm della procura di Firenze stanno cercando di rispondere. L’acquisto dell’immobile, oltre 275 metri quadrati di salotti, camere, bagni e terrazze con altri 1.600 metri quadrati di giardino intorno, è finito nelle carte dell’inchiesta sulla Fondazione Open che, dopo aver visto indagato il presidente Alberto Bianchi, si è abbattuta sugli imprenditori che per anni hanno finanziato l’ex premier dalla sua ascesa nel Partito democratico al referendum costituzionale del 2016. Parte di quei soldi, come anticipato ieri dall’Espresso, sarebbero andati a coprire proprio l’acquisto dell’immobile nella prestigiosa Pian de’ Giullari.
Il mutuo per comprare la villa
“Il Pd chieda al suo ex segretario Renzi spiegazioni sulla Fondazione Open. Io mi auguro che non ci sia nulla di irregolare, ma ormai il danno è fatto”. Parlando con Repubblica, l’ex tesoriere dei Ds Ugo Sposetti mette Renzi con le spalle al muro e non gli lascia ampi margini di manovra. “Se guidi un partito, se poi vai a Palazzo Chigi, e se hai una Fondazione per la tua attività politica, una spiegazione ci vuole”. All’ondata di accuse, però, l’ex premier replica alzando un muro insormontabile e minacciando una raffica di azioni civili con cui si pagherà il suo “meraviglioso mutuo da un milione di euro”.

Nelle prossime ore presenterà, infatti, due denunce penali e due denunce civili contro chi ha violato il segreto bancario e contro chi oggi ha scritto “delle cose incredibili” sul suo conto. Nell’inchiesta sulla fondazione nata nel 2012 per sostenere le sue iniziative politiche (tra cui anche la Leopolda) e usata, secondo gli inquirenti, come “cassaforte” fino al 2018, quando l’avvocato Bianchi l’ha chiusa, è infatti finito il “prestito” per l’acquisto della villa di via Pietro Tacca, a pochi passi da piazzale Michelangelo.
Il prestito da 700mila euro
“Ho chiesto un prestito a un carissimo amico perché per cinque mesi non avevo quella disponibilità”, ha spiegato questa mattina lo stesso Renzi ai microfoni di Radio Capital. “Che però questa roba esca in questo modo, come avvertimento dopo quello che ho detto sul vulnus alla democrazia, dovrebbe farvi sobbalzare, perché non ho fatto niente di illegale. Di che cosa stiamo parlando?”. Gli inquirenti, però, non la pensano così. A suo tempo, infatti, era stato detto che un mutuo acceso con il Banco di Napoli era servito a coprire 900mila euro.

L’immobile, però, gli era costato 1,3 milioni di euro. E ora si parla di un “prestito anomalo”. Il punto è capire chi glielo ha fatto. Secondo L’Espresso, arriverebbe dai fratelli Maestrelli, già finanziatori della Fondazione Open, che attraverso il conto dell’anziana madre Anna Picchioni gli hanno permesso di coprire la caparra di 400mila euro con quattro assegni da 100mila euro l’uno. Un’altra ipotesi, come spiega Fabrizio Boschi sul Giornale oggi in edicola, potrebbe essere che il leader di Italia Viva abbia prelevato i soldi “direttamente dalle casse della Fondazione Open”.
La nomina dell’amico-finanziatore
Ai microfoni di Radio Capital Renzi ha assicurato che quanto fatto è “tutto regolare trasparente”. Un prestito da “un carissimo amico”, appunto. “Niente di illegittimo, c’è un atto formale, una scrittura privata, un bonifico“. Eppure, come riporta il Corriere della Sera, questa operazione è stata segnalata già un anno fa dall’Unità antiriociclaggio (Uif) come “sospetta”.

Nello stesso calderone sarebbero poi finiti pure gli accertamenti sulle carte di credito messe a disposizione della fondazione Open a parlamentari come Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Marco Carrai. E non solo. Nel mirino degli inquirenti ci sarebbe, infatti, anche la nomina di Riccardo Maestrelli nel consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti. A farla, nel 2015, era stato nominato proprio dal governo presieduto da Renzi.

mercoledì 27 novembre 2019

Ong, l’ammiraglio De Felice: “Il tribunale dei ministri parla chiaro. Ora il governo blocchi gli sbarchi dei migranti”



La decisione del tribunale dei ministri di scagionare l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per aver negato lo sbarco alla Alan Kurdi della Ong Sea Watch crea un precedente fondamentale sulla gestione degli sbarchi e smonta il castello di carte costruito da inquirenti e filo immigrazionisti per spalancare i porti alle Ong.

A spiegarci come funziona la Legge del mare è l’ammiraglio Nicola De Felice: “Se, ad esempio, una nave di una Ong olandese e battente bandiera olandese prende a bordo immigrati illegali in acque Sar libiche, gli immigrati vanno trasportati nel Paese della nave, che è l’Olanda. Secondo punto: il porto sicuro più vicino, se non è Tripoli, è uno dei tanti porti sicuri della Tunisia. E comunque se le Ong tengono gli immigrati a bordo 10-15 giorni in attesa di sbarcare in Italia, andassero nel Paese di provenienza.

La Ocean Viking è una nave da 76 metri, di tremila tonnellate, con a bordo medici e ogni struttura necessaria per la lunga navigazione: può tornare benissimo da dove è venuta, in nord Europa. Oppure andassero in Francia: ad Ajaccio, in Corsica, ci arrivano in 12 ore”. De Felice quindi punta il dito contro i giallofucsia: “La domanda viene spontanea: come mai il governo attuale continua a far sbarcare le navi Ong battenti bandiere di altri Stati in Italia? Alla luce della decisione del tribunale dei ministri, è il governo Conte bis che non si sta attenendo alle direttive internazionali“.

Ammiraglio, ci spiega come funziona con lo Stato di bandiera delle navi? “Ogni nave, mercantile o militare, pubblica o privata, ha una bandiera a riva. Che non è una bandiera di cortesia, non è uno straccio, bensì sancisce la dipendenza sostanziale dallo Stato che consente all’imbarcazione di navigare. Senza quella bandiera, la nave non può navigare. Questo è un concetto fondamentale: significa che vale l’ordinamento giuridico dello Stato che consegna quella bandiera a quella nave. Quando una nave viene iscritta al registro delle navi di un singolo Stato – da noi si chiama Rina, Registro italiano navale – deve rispondere alle leggi di quello Stato, anche in caso di infrazioni penali. Chi detta legge a bordo è lo Stato di bandiera”.

Questo in pratica che significa? “Significa che una nave è territorio giuridicamente riconosciuto di quello Stato che ha permesso alla nave di avere quella bandiera a bordo”.

Quindi quando degli immigrati presi in mare salgono a bordo di una nave battente bandiera tedesca, entrano in territorio tedesco? “Esattamente. Ai sensi dell’articolo 13 del Regolamento di Dublino e della Legge del mare delle Nazioni Unite – Unclos, United Nations Convention on the Law of the Sea – del 1982, sottoscritta da oltre 200 Nazioni, tra cui l’Italia, successivamente ratificata dal Parlamento italiano”.

E’ questa la legge a cui fare riferimento? “Sì, a livello internazionale è questa. Poi per quanto riguarda gli immigrati illegali, che sono questi che pagano per essere trasbordati dall’Africa all’Italia, fa testo il Trattato di Dublino, che poi si è trasformato in regolamento”.

Che cosa dice il regolamento? “Definisce chi deve assumersi la responsabilità di dare protezione internazionale ai migranti, qualora loro chiedessero asilo politico. In tal caso è la nave stessa che accoglie la richiesta di asilo. Perché il regolamento di Dublino sancisce che se ne occupa il Paese Ue dove viene effettuato il primo passaggio illegale, che sia a terra, in mare o in cielo. Prendiamo il caso di Carola Rackete e della Sea Watch: in quel caso doveva risponderne l’Olanda. E’ vergognoso che la nave alla fine sia sbarcata in Italia”.

Quindi la dicitura “porto sicuro” a cui si attaccano alle Ong è un cavillo per sbarcare in Italia? “Sì, e peraltro non regge. Perché la stessa Legge del mare dice che in caso di naufraghi – che non sono certo gli immigrati illegali che vengono strutturalmente trasbordati in Italia – una qualsiasi nave ha l’obbligo di prestare soccorso. E ripeto, stiamo parlando di naufragio: nave colata a picco. Ebbene, se c’è una nave che ha a bordo dei veri e propri naufraghi – e non siamo in queste condizioni – deve andare al posto più vicino, per prestare i soccorsi sanitari ai naufraghi. E non perché deve avere asilo politico. E’ chiara la differenza?”

Come funziona l’assegnazione del porto? “Innanzitutto bisogna chiarire che esistono in mare delle aree Sar sancite dall’Onu per il soccorso e sono di competenza dei singoli Stati: c’è quella libica, quella maltese, quella italiana. Se queste navi Ong che fanno soccorso in acque Sar libiche si rifiutano di sbarcare a Tripoli, perché dicono che non è un porto sicuro, stanno commettendo una prima infrazione. Perché non rispettano le direttive Onu. A quel punto però potrebbero andare in uno dei tanti porti della Tunisia”.

Sono “porti sicuri”? “I porti sicuri più vicini alle acque Sar libiche non sono certo quelli italiani ma quelli della Tunisia. Ci vanno navi da crociera con migliaia di turisti occidentali ogni settimana. C’è l’imbarazzo della scelta: Sfax, Gabes, Susa, Port El Kantaoui, Gerba, La Goulette. Se qualcuno mi dice che la Tunisia non è sicura me lo deve mettere per iscritto…”

E quindi l’ordinanza del gip nel caso Sea Watch? “Non era corretta, perché faceva riferimento a una dichiarazione dell’Unhcr – che non è l’organizzazione competente per stabilire quale sia un porto sicuro – che peraltro si riferiva alla Libia, e non di certo alla Tunisia. La realtà che sta venendo fuori adesso è che il tribunale dei ministri ha dovuto riconoscere queste regole, ratificate dal Parlamento italiano”.

Estremista di sinistra preparava attentati con bombe rudimentali per bloccare i rimpatri dei clandestini: arrestato



Questa mattina è stato tratto in arresto un anarchico siciliano con sede a Verona. È accusato di aver fabbricato ordigni esplosivi per compiere attentati contro diversi centri di rimpatrio. Ad eseguire l’arresto del 40enne Giuseppe Sciacca – questo il nome dell’anarchico – è stata la Digos di Torino su mandato dell’Autorità giudiziaria del capoluogo piemontese. L’uomo dovrà rispondere dell’accusa di «fabbricazione, detenzione e porto in luogo pubblico di ordigno esplosivo».
Gli attentati
Come si apprende da un comunicato della Questura di Torino, l’arresto e la traduzione in carcere dell’anarchico «rappresenta un corollario dell’operazione “Scintilla” eseguita lo scorso 7 febbraio dalla Digos di Torino e che ha consentito di trarre in arresto sei militanti libertari riconducibili al centro sociale “Asilo”». Lo sgombero del centro sociale «Asilo» aveva poi portato, appunto, all’arresto di sei anarchici.

L’accusa era quella di «aver promosso, costituito, organizzato e partecipato a un’associazione sovversiva (ex art. 270 c.p.) diretta e idonea a influire sulle politiche nazionali in materia di immigrazione mediante la ripetuta distruzione dei CIE/CPR [Centri di identificazione ed espulsione, poi rinominati Centri di permanenza per i rimpatri, ndr] e con sistematici atti di violenza e intimidazione nei confronti delle imprese impegnate nella gestione delle sopra indicate strutture di accoglienza».
Il Dna inchioderebbe l’anarchico
Grazie alle indagini della Digos di Torino, è stato possibile attribuire all’associazione anarchica ben 21 attentati contro diverse strutture disseminate su tutto il territorio nazionale. Tali attentati sono stati perpetrati sia mediante «l’invio di plichi postali esplosivi» sia attraverso la «collocazione di ordigni rudimentali (taniche di benzina con innesco esplosivo) davanti gli uffici di Poste Italiane». E proprio per alcuni di questi attentati sarebbe stato possibile individuare nella persona dell’anarchico Giuseppe Sciacca il fabbricatore degli ordigni.

 «L’individuazione dell’autore dell’attentato – si legge nel comunicato della Questura di Torino – è stata possibile grazie al rinvenimento di un idoneo profilo di DNA sul sistema di attivazione del congegno esplosivo che ha consentito poi a questa Digos di approfondire l’attività investigativa su alcuni militanti d’area vicini alla cellula anarchica investigata e di acquisire diversi profili di DNA, tra cui quello di SCIACCA Giuseppe, che è stato poi comparato con quello rilevato sul plico esplosivo, dando piena corrispondenza dei profili genetici».
I precedenti di Sciacca
Giuseppe Sciacca, che ha già ricevuta una condanna irrevocabile per il lancio di due ordigni esplosivi contro il Comando della Polizia Municipale di Parma risalente al 2008, sarebbe stato inoltre molto attivo anche «in occasione della manifestazione internazionale indetta dal movimento anarchico a Torino per protestare contro l’operazione “Scintilla” e lo sgombero dello storico centro sociale “Asilo”».

Secondo gli inquirenti, infatti, l’anarchico «era nel “blocco nero” dei libertari “intercettati” in questa via Aosta e successivamente denunciati per il possesso di diverse decine di caschi, maschere antigas, mazze, bottiglie con liquido infiammabile, biglie e bocce di ferro, abbigliamento per travisarsi e medicinali per lenire gli effetti dei gas lacrimogeni, materiale che sarebbe stato altrimenti utilizzato per devastare la città e creare problemi di ordine pubblico».

Nonostante i continui allarmi della stampa mainstream su fantomatici «ritorni del fascismo», vengono invece confermati i timori sulla scena dell’anarco-insurrezionalismo, che i servizi segreti, nel loro ultimo rapporto, avevano definito come «l’espressione più insidiosa» dell’area della sinistra estrema.

Sbarchi fuori controllo, ma a Fico non basta: “Corridoi umanitari. Combattiamo paura e razzismo restando umani”



“Il compito di un Paese civile è quello di salvare tutte le vite umane in pericolo. Ogni volta che questo non avviene è un terribile dolore, e un grande fallimento.

Questa bambina è stata salvata dalla Guardia Costiera, strappata dalle onde con coraggio dai nostri uomini che ringrazio. Come ringrazio il medico che l’ha curata a bordo della motovedetta”.

Lo scrive su Facebook il presidente della Camera Roberto Fico, che posta il video della Guardia Costiera in cui si vede il salvataggio in mare di una bimba di un anno.

“Davanti alle tragedie del Mediterraneo – aggiunge – non basta il cordoglio: serve l’impegno a salvare vite, unito a un lavoro serio sui corridoi umanitari perché chi ha diritto di protezione non deve rischiare la vita per venire in Europa.

E l’Europa deve alzare la testa, riscoprire la propria forza e la propria umanità. Combattiamo paura e razzismo restando umani, sempre”.

martedì 26 novembre 2019

Nei Tribunali viene prima il migrante: le cause dei cittadini italiani vengono rinviate al 2022



Una valanga di rinvii in Tribunale, anche di due anni. Arrivederci al 2021. Il motivo? “La trattazione prioritaria per legge delle cause di protezione internazionale”.Cioè, prima vengono gli immigrati. Poi tutte le altre cause.È questo il sunto del decreto datato 22 novembre 2019 e firmato dal presidente della seconda sezione civile della Corte di Appello di Bologna.

 Un documento che ilGiornale.it ha avuto modo di consultare e che ha attirato l’attenzione di qualche avvocato. Nel testo si legge: “Dato atto che l’incremento della cause di protezione internazionale (conseguente alla assegnazione alla seconda sezione civile della maggior quota del 70% delle sopravvivenze a far data dal 2.05.2018) ha ulteriormente appesantito il già rilevante carico decisorio dei consiglieri della seconda sezione”, allora è necessario “il rinvio” delle udienze fissate per il 2, 10 e 17 dicembre 2019. Si tratta di 44 cause.

In molti casi il primo grado si era chiuso, pensate, nel lontano 2012. Tra pochi giorni i malcapitati avrebbero avuto la loro udienza, invece nisba: tutto rimandato al 2021, in certi casi anche ad ottobre 2022. Esatto: tra tre anni. Non bastano i già infiniti tempi della giustizia nostrana. Ora ci si mettono pure i migranti. Va dato atto che la “colpa” di tali rinvii non è del presidente Maria Cristina Salvadori. Per carità. C’è una legge (quella Minniti-Orlando) che garantisce ai ricorsi degli stranieri contro il diniego dell’asilo una sorta di autostrada perché va gestita “in ogni grado in via d’urgenza”. “La trattazione prioritaria per legge delle cause di protezione internazionale – si legge infatti nel decreto bolognese – impone inevitabilmente il differimento delle altre numerose cause già fissate per la precisazione delle conclusioni”.

L’obiettivo era quello di accelerare le decisioni che ingolfano i Tribunali. Ma in questo caso ha prodotto un altra conseguenza: il sorpasso dei migranti e il rinvio delle altre cause. Il problema non è solo delle corti di Appello. A gennaio il presidente della Cassazione, Giovanni Mammone, aveva lanciato l’allarme: un aumento “inatteso” nel 2018 dei ricorsi civili in terzo grado in materia di protezione internazionale (+512,4%). David Ermini, vicepresidente del Csm, parò addirittura di “emergenza”. In fondo il sistema è ormai acclarato: l’immigrato sbarca, presenta una domanda di asilo e poi attende di essere convocato dalla Commissione territoriale.

Questa lo ascolta, valuta la sua istanza e poi decide: status di rifugiato, protezione sussidiaria o diniego. In caso di bollino rosso, però, lo straniero ha tempo per presentare un ricorso in primo grado. Fino alla riforma del 2017 era possibile presentare ricorso in Appello in caso di sentenza negativa, ora solo in Cassazione. Resta il fatto che nei Tribunali le istanze dei richiedenti asilo da giudicare sono ancora molte. E così non resta che rinviare al 2022 i cittadini che attendono giusti.

Scandalo sui rimpatri, il governo PD-M5S butta 4,7 milioni per tenerci i clandestini. 1 milione solo in pubblicità



Per convincere gli immigrati a tornare a casa propria il governo giallorosso ha impegnato quasi 5 milioni di euro in una nuova campagna di informazione (solo per la pubblicità oltre un milione).Da qui alla fine del prossimo anno l’esecutivo darà un aiuto finanziario a chi vorrà lasciare l’Italia. Non è bastato il costosissimo flop dell’ultimo triennio (quasi oltre 11 milioni per 773 stranieri rimpatriati).

Pd e Cinquestelle ci riprovano pensando questa volta di essere più fortunati e mettendo in piedi un nuovo progetto che invita i migranti a fare una telefonata al numero verde 800200071, lasciare i propri dati allo scopo di essere richiamati e iniziare un percorso conoscitivo. Che siano migranti economici, richiedenti asilo, immigrati con protezione sussidiaria o tutelati da protezione internazionale non fa differenza, tutti potranno ricevere assistenza per il rilascio dei documenti di viaggio, copertura dei costi di voli e treni, fino a un ulteriore contributo economico per essere facilitati a un inserimento socio-lavorativo nel proprio paese. Che sia in Egitto, Tunisia, Marocco, Ghana o Niger.

Questi i benefit: 400 euro per le spese vive dei primi mesi e altri 3.000 euro per iniziare un’attività agricola o commerciale. Ma sarà davvero così? Se i risultati futuri replicheranno quanto avvenuto in passato saranno soldi buttati al vento. Dal 2008 al 2018 sono stati avviati e conclusi 35 progetti per oltre 15 milioni di euro (come si evince dai documenti del dipartimento Libertà civili e immigrazione del Viminale). Al contempo l’Italia vanta ancora circa 600mila cittadini stranieri presenti senza titolo. Che sia questo il motivo di tanto impegno o che siano mutate le condizioni del rimpatrio non è dato saperlo, rimangono però certezze sui risultati sanciti dall’Oim, l’Organizzazione Internazionale per l’immigrazione, che ha conteggiato quanto effettivamente realizzato in questi ultimi tempi.

Il Cies di Elisabetta Melandri (Onlus nata a Roma nel 1983 per contrastare il razzismo, ndr), sorella della più nota Giovanna, per il rimpatrio di 122 stranieri ha incassato 939.922 euro, quando ne avrebbe dovuti rimpatriare 270; il Cir di Roberto Zaccaria (Consiglio italiano per i rifugiati nato nel 1990, ndr) per 130 rimpatri, e anche lui a fronte di 270 sulla carta, ha incassato ben 1.079.988 euro; il Gus, Gruppo umana solidarietà (attiva dal maggio 1993), megacoop umbro marchigiana ha ottenuto 800mila euro per 100 immigrati a fronte di 174; quanto invece all’Arci Napoli che ha gestito il progetto del comune di Giugliano in Campania non si hanno notizie certe sui 21 stranieri rispediti a casa propria per 800 mila euro: «non si sa nulla di questi assistiti» scrivono nel rapporto valutativo.

E infine la stessa Oim ha garantito il rimpatrio di 326 immigrati per 8 milioni di euro. Senza contare che intraprendere il percorso di adesione al proprio rimpatrio mette il migrante in una condizione di legalità, pure se non è in regola con il permesso di soggiorno. Già perché a chi ha voglia di tornare a casa sarà garantito da un lasciapassare speciale che gli consentirà di rimanere in Italia legalmente fino alla partenza.

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