sabato 9 novembre 2019
Ora il PD vuole censurare pure i talk-show. Serracchiani: “Basta ospitare esponenti di estrema destra o li disertiamo”
Quello che e’ accaduto nel corso della trasmissione Dritto e Rovescio su Rete4 dove un personaggio inquietante di estrema destra si e’ permesso di lanciare gravi minacce agli altri ospiti, in particolare in questo caso contro una donna coraggiosa e contro i carabinieri, usufruendo di una vetrina nazionale e’ incredibile e inaccettabile. In trasmissioni come queste, dove invitano personaggi del genere, il Pd non deve mandare piu’ nessuno dei suoi rappresentanti”.
Cosi’ in una nota le deputate democratiche. FASCISMO. SERRACCHIANI (PD): DISERTEREMO PROGRAMMI TV CHE INCITANO A ODIO – “Noi non accettiamo questi toni e queste minacce nei confronti degli ospiti. Per questo ho proposto, assieme alle colleghe del @pdnetwork, di disertare queste trasmissioni televisive che incitano all’odio e alla violenza.
È ora di finirla”. Lo scrive su twitter Debora Serracchiani, deputato e vice presidente del Partito Democratico, in relazione ai momenti di tensione vissuti ieri durante la puntata di “Dritto e Rovescio” e la rissa sfiorata tra il vignettista Vauro e un ospite del programma.
TV: ZINGARETTI CON SERRACCHIANI, ‘MAI PIU’ DEM IN TALK CHE INCITANO ODIO’
Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha condiviso la proposta via twitter di Debora Serracchiani. La vicepresidente dem, dopo la rissa sfiorata nella trasmissione ‘Dritto e rovescio’, ha proposto di disertare “trasmissioni che incitano all’odio e alla violenza”.
venerdì 8 novembre 2019
L’Anpi continua a fomentare l’odio: “Salvini non può venire alla fiera, è pericoloso”. Lui: “Ci vado, è un mio diritto”
Alta tensione tra l’Anpi e Matteo Salvini. Tra l’associazione partigiani e il leader della Lega le occasioni di scontro non sono mai mancate negli ultimi anni. Ma adesso in queste continue scintille si innesta un nuovo elemento: il voto alla Regionali in Emilia Romagna a gennaio.
Una sorta di ultima spiaggia per il governo giallorosso in picchiata totale nei consensi. Salvini si sta spendendo in tour elettorale senza sosta per sostenere la candidata alla guida della Regione, Borgonzoni. In questo tout però c’è una tappa che ha fatto e farà parecchio discutere. Salvini ha infatti intenzione di recarsi domenica prossima alla sagra di Sant’Arcangelo di Romagna per incontrare gli elettori.
Il “no” dell’Anpi a SalviniUna scelta che però ha irritato e non poco l’Anpi che con la presidente della sezione di Rimini, Giusi Delvecchio di fatto “bandisce” Salvini dalla piazza per la festa di San Martino: “L’annuncio di Salvini, di volere attraversare la piazza nel momento clou della festa assieme alla candidata alla presidenza alla regione un po’ ci inquieta, non fosse altro per la confusione di quei giorni poco compatibile con la passeggiata di personalità che girano con la scorta e per le inevitabili resse di ammiratori e non che si potrebbero creare“.
Poi la posizione dell’Anpi si fa fin troppo chiara e c’è la richiesta di rinviare l’arrivo di Salvini: “Come associazione nazionale partigiani d’Italia – ha proseguito, invitando a rinviare la visita – vorremmo fare un appello al suo ‘senso di sicurezza’ che tanto ha infuso nelle nostre menti in questo periodo: com’è possibile conciliare la calca delle persone che transitano sotto le corna dell’Arco clementino con la ‘passeggiata’ di un onorevole scortato dalla polizia, che scatena vortici di folla al suo passaggio? Non sarebbe più utile che il momento di passerella politica si svolgesse in un clima di maggiore sicurezza per Lei e per chi La circonda?“.
“Io ho il diritto di andare”A questo punto l’attacco a Salvini è abbastanza diretto. E arriva la risposta di Salvini: “Domenica sarò in Romagna, ho visto che l’Anpi non gradisce la mia presenza, ma siamo in democrazia e quindi se Salvini ritiene andare alla fiera di San Martino a Santarcangelo di Romagna è suo diritto, come qualsiasi altro cittadino, se siamo in democrazia“. E questa polemica arriva proprio nella giornata in cui Salvini ha rischiato di essere aggredito, mettendosi al riparo da un contestatore solo grazie all’intervento degli agenti della scorta. La posizione dell’Anpi di fatto accende ancora di più le tensioni sul leader della Lega che da qualche giorno è sempre più nel mirino degli haters con minacce e insulti. La richiesta di un “rinvio” della visita di Salvini da parte dell’associazione partigiani non aiuta a portare quella serenità necessaria all’interno di una campagna elettorale che si annuncia di fuoco.
Tasse, Ilva e porti aperti: Giuseppi Conte non ha più la fiducia degli italiani. In due mesi ha perso 11 punti
Sono passati soltanto due mesi e tre giorni da quando il governo giallorosso ha giurato di fronte a Sergio Mattarella. Anche se sembra un’eternità, il 5 settembre è proprio lì, dietro l’angolo. Ma perché sentiamo così tanto pesanti queste settimane? Perché ci sembrano così infinite? Perché il governo dell’inciucio, ancor prima di insediarsi, già litigava. Il Pd e M5S non sono mai andati d’accordo su nulla. Anzi, su una cosa erano (e sono) concordi: non far salire il centrodestra al governo e impedirgli – assolutamente – di eleggere un presidente della Repubblica “sovranista”. Ma a parte questa parentesi, ogni giorno hanno un pretesto per dirsene quattro.
Se prima il motivo della discordia era il taglio dei parlamentari, poi è diventato quello dell’immigrazione. Ricordate quando Luigi Di Maio diceva di non voler abolire i decreti Sicurezza di Salvini, mentre il Pd voleva farlo subito? Quante se ne sono dette? Ma non è finita qui. Perché i problemi e i fronti di scontro si presentano giorno dopo giorno. All’emergenza immigrazione, infatti, ha fatto seguito la manovra economica. Pd e M5S non riuscivano a trovare la quadra. Uno voleva una cosa, l’altro cercava di imporre l’opposto. Ma nonostante avessero obiettivi a cui mai avrebbero anche potuto rinunciare, hanno dovuto abbassare la testa e fare il punto. L’esperienza delle elezioni regionali in Umbria li ha segnati parecchio. Il centrodestra li ha trovolti, gli italiani hanno fatto capire loro che questo governo non rappresenta il popolo, hanno tutti contro. Solo i giallorossi, insomma, si vedono bene al governo e non vogliono staccarsi da quelle poltrone. Non se ne vogliono andare a casa. Ormai è chiaro a tutti.
E, ora, che stanno giocando col fuoco – ci riferiamo all‘Ilva di Taranto – tremano come foglie. Qui si giocano tutto. Anche Sergio Mattarella ha dato uno scossone al premier. O riescono a risolvere questo enorme problema o vanno a casa. Se 5mila dipendenti dell’acciaieria dovessero perdere il posto di lavoro, i gialli e i rossi farebbero davvero una figuraccia. Chi li voterebbe più? Tra l’altro fra qualche mese ci saranno le elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria. E anche quello è un banco di prova importante.
Ma in tutto questo, Giuseppe Conte che fine ha fatto? Il premier ha una bella gatta da pelare. Come succedeva nel suo mandato precedente (alla fine fa sempre un po’ la figura della comparsa. Solo quando deve prendersela con Salvini tira fuori “l’orgoglio italiano”), cerca di fare da collante fra le posizioni piddine e grilline. Ma è molto dura perché le due anime del governo non vanno d’accordo neanche su un tema, neanche su una virgola del programma. E ora che il caso dell’Ilva di Taranto è arrivato a un punto di non ritorno, Conte ha deciso di prendere il toro per le corna, tira fuori il carattere e rivendica una posizione dell’Italia in Europa. Quindi, va in televisione a parlare di piani strategici, di programma di investimento e di cosa ha in mente di fare. Ma nonostante cerchi di sembrare tranquillo, lucido e pacato, c’è qualcosa che lo preoccupa particolarmente: gli ultimi sondaggi. I numeri sono disastrosi.
L’avvocato del popolo, che aveva un forte gradimento quando c’era il governo gialloverde, sta perdendo giorno dopo giorno punti in percentuale. Gli italiani non si fidano più di lui. La sua parabola discendente è descritta dal nuovo sondaggio elaborato da Swg per il Messaggero. La rilevazione del 4 novembre scorso dimostra che solo il 40 per cento degli italiani si fida di “Giuseppi”. Due mesi fa (2 settembre) Conte aveva un indice di fiducia 11 punti più alto: era al 51 per cento. Un vero e proprio disastro. Il 36% degli italiani, infatti, dice di avere “poca fiducia” in Conte e il 24 non ne ha alcuna.
Il trend estrapolato dai sondaggisti di Swg rispecchia più o meno gli umori dell’elettorato italiano. I numeri, quindi, parlano chiaro e probabilmente anche dalle parti di Palazzo Chigi si sono accorti che bisogna cambiare rotta prima di evitare una crisi di governo irreversibile
“Fascio di m….”: scoppia la rissa a Dritto e Rovescio tra Brasile e Vauro che rischia di prenderle (Video)
Momenti di grande tensione durante la puntata del 7 novembre scorso di Dritto e Rovescio, programma di approfondimento serale di Rete 4.Il confronto tra uno dei personaggi tra il pubblico in studio, introdotto da Paolo Del Debbio come originario della Capitale, e la giornalista Francesca Fagnani, ha fatto alterare il vignettista Vauro Senesi che, davanti alle parole rivolte alla donna, ha affrontato a muso duro l’uomo.
L’argomento affrontato durante la serata è uno dei più caldi degli ultimi tempi. Quando si parla di razzismo e discriminazione il popolo italiano si divide in due fazioni e, ciò che spesso accade nella quotidianità, si è verificato anche negli studi di Rete 4. Paolo Del Debbio, che stava trattando la discussione insieme agli ospiti di Dritto e Rovescio, ha chiesto ad uno dei presenti tra il pubblico, tale “Brasile”, di dire la sua a riguardo.
“Il grande ritorno di “Brasile…”’: con queste parole il volto Mediaset ha presentato il giovane, senza nascondere una certa ironia. “Ci mancava ‘Brasile’…”, ha aggiunto Francesca Fagnani, immediatamente ripresa da quest’ultimo che ha iniziato ad inveire contro di lei in malo modo.
“Partiamo dal presupposto che Roma non è fascista, Roma è casa mia e a casa vige ordine e disciplina. Devi fare quello che ti dico io”, ha spiegato “Brasile”, mentre la Fagnani si domandava in “quale film” le cose funzionassero in questo modo. “In quale film? Te li faccio vedere io i film! Se viene nella mia borgata…”, ha continuato il romano, ma davanti a queste esternazioni il vignettista Vauro è scattato in piedi.
Andandogli incontro a muso duro, gli ha urlato: “Queste sono minacce! Fammelo vedere a me, fascio di merda! Vergognati! Minaccia una donna, ma siamo pazzi?!”. Immediato l’intervento di Paolo Del Debbio che, onde evitare che la situazione degenerasse, ha invitato Vauro a sedersi al suo posto e intimato a lui e “Brasile” di ridimensionarsi. “O vi riprendete, o vi butto fuori tutti e due – ha sbottato il conduttore, sostenendo che la Fagnani non avesse alcun bisogno di essere difesa – . Non ha minacciato niente. La Fagnani si difende da sola, è abituata ai clan Spada, si figuri se gli fa paura “Brasile”
Migranti, il folle piano del ministro Lamorgese per smontare i Decreti Sicurezza di Salvini in tre mesi
Perché le modifiche al Decreto sicurezza siano pronte per il consiglio dei ministri, saranno necessari circa tre mesi. A confermare che i tecnici del Viminale sono al lavoro su indicazioni fornite dal presidente Sergio Mattarella (in particolare sugli aspetti che riguardano le multe alle organizzazioni non governative), è stato il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese: “Sul decreto sicurezza ci sono state segnalazioni da parte della presidenza della Repubblica, io ritengo che bisogna procedere in questi termini e stiamo lavorando su questo ed entro fine anno o al massimo l’inizio del prossimo riusciamo a portarlo in cdm“.
La questione migratoriaChiarendo i temi della questione migratoria davanti al comitato Schengen, il ministro dell’Interno ha annunciato l’imminente attivazione di 300 nuovi posti nei centri di permanenza e rimpatrio e ha dichiarato: “Sono state anche avviate le attività per la realizzazione di altre strutture, per un totale di 160 posti“. Secondo quanto appreso, il Viminale continuerebbe a puntare sulla bozza di redistribuzione siglata a Malta il mese scorso tra Malta stessa, l’Italia, la Francia e la Germania.
E allarmata dallo stallo delle trattative per la revisione dell’accordo di Dublino, il ministro ha detto: “Altri Paesi dell’Ue stanno manifestando una posizione favorevole all’accordo. L’aspetto volontario è quello che riguarda la rotazione dei porti. Per chi firmerà il pre-accordo, che poi diventerà un accordo definitivo, le quote saranno obbligatorie. Non le abbiamo indicate ora perché non sappiamo quanti Stati parteciperanno“.
“Rinnovare il sistema di asilo europeo”Il titolare dell’Interno ha poi aggiunto la necessità di rinnovare il sistema d’asilo europeo “intervenendo, in ossequio all’obbligo di solidarietà, sul principio del Paese di primo approdo su cui si fonda il regolamento di Dublino“. E ha aggiunto: “Lo stallo del negoziato sulla riforma del regolamento condiziona negativamente anche l’iter delle altre proposte legislative sul sistema comune d’asilo. Il governo spingerà in Europa per un chiarimento a livello politico e il momento appare favorevole“.
Diminuiti i permessi di soggiornoSecondo i numeri forniti oggi, sarebbero in calo le richieste d’asilo e dopo il Decreto sicurezza sarebbe diminuita la percentuale dei permessi di soggiorno per protezione umanitaria, arrivata al minimo storico dell’1%. In base a quanto riferito dal ministro, al 31 ottobre risulterebbero presentate 30.468 domande di asilo, con una diminuzione del 35%. Inoltre, secondo quanto spiegato da Lamorgese, le Commissioni avrebbero esaminato 81.162 istanze, riconoscendo la protezione internazionale nel 18% dei casi, in cui l’11% per status di rifugiato e il 7% per protezione sussidiaria. I no sono stati detti al 66% delle domande e la protezione umanitaria è stata concessa all’1% delle posizioni poste sotto esame.
Il tema rimpatriLamorgese ha poi fornito i numeri aggiornati sui rimpatri, che sono stati quasi 6mila nei primi dieci mesi dell’anno, in aumento a settembre e ottobre, ma sempre meno di un terzo rispetto alle espulsioni firmate dai questori. Secondo il ministro, un tasso di rimpatri insufficiente rischierebbe di “inficiare lo stesso sistema di deterrenza” e per questo l’Italia solleciterà “una più intensa azione della Ue”, sia per la negoziazione di nuovi accordi sia per il rimpatrio dei migranti già presenti. Fornendo numeri precisi, Lamorgese ha spiegato che, nel mese di ottobre, per quanto riguarda la Tunisia, si è registrato un aumento del 60% circa dei rimpatriati, in un arco di tempo in cui ne sono sbarcati 379 e ne sono stati riportati indietro 243.
Gli sbarchi: chi arriva e da doveIl ministro ha specificato anche che delle 9.944 persone sbarcate in Italia dall’inizio dell’anno (il 55,5% in meno rispetto al 2018), 7.510 sono arrivate attraverso “sbarchi autonomi”, individuati quando erano già in porto o a terra. In base a quanto riportano i dati del Viminale, aggiornati al 31 ottobre, si contano 2.826 persone provenienti dalla Libia, 3.491 dalla Tunisia, 872 dall’Algeria e 2.431 da Turchia e Grecia, “con sbarchi diffusi su coste siciliane, calabresi e sarde“.
Le regole alle OngLamorgese, intanto, starebbe valutando eventuali integrazioni al codice di autoregolamentazione per le navu umanitarie varato tre anni fa dall’ex ministro Marco Minniti: “Ho chiamato le ong al Viminale per dare loro delle regole. Non è che possono stare lì, in area sar libica, in attesa di vedere quel che succede. Io penso che il confronto sia sempre utile e poi volevo capire se rispettano il codice Minniti e se è necessario introdurre nuovi elementi: nel caso provvederò poi io a fare integrazioni al Codice“.
La chiusura dei centri di detenzione libiciParlando del Memorandum Italia-Libia, Lamorgese ha dichiarato che saranno apportate modifiche e ha spiegato: “Prima di arrivare alla chiusura, che richiederà un po’ di tempo, miglioreremo le condizioni di vita soprattutto con il rispetto dei diritti umani“. Lamorgese ha poi fatto sapere che da parte di Fayez al Serraj esiste una disponibilità in tal senso.
Il PD non vuole cancellare Lenin: resta la via dedicata al padre dei Gulag e dei 20 milioni di morti innocenti
La richiesta era stata presentata un mese fa perché “nel 2019 in nessuna parte del mondo dovrebbe essere intitolata una via a un dittatore”. Principio validissimo, ma a quanto pare applicabile solo ad alcuni. A Bologna infatti la via dedicata a Vladimir Il’ič Ul’janov Lenin non si tocca.Nonostante il voto del Parlamento europeo che equipara nazismo e comunismo. v La denominazione risale al 18 aprile del 1970 ed è “merito” della giunta comunale guidata dall’ex sindaco Guido Fanti. Da allora il padre del marxismo-leninismo campeggia tra le vie cittadine, senza possibilità di revisione. Nel 2012 ci provò un privato cittadino, inutilmente. La commissione toponomastica rigettò la richiesta all’unanimità, giustificando la decisione con il rischio di perdere “la storicità dei luoghi” e di comportare “disagi per i cittadini residenti e per le attività” commerciali. Caso chiuso? Non proprio.
Perché Umberto La Morgia, consigliere a Casalecchio di Reno, e Riccardo Nucci, eletto a San Venanzo, hanno provato a smuovere le coscienze di un’Emilia-Romagna “costellata in molte delle principale città da vie intitolate a Lenin, Tito e altri dittatori asiatici”. I due consiglieri ritengono “non consona” nel 2019 la permanenza “di una via dedicata a un dittatore responsabile della sofferenza e morte di milioni di persone”. A supporto della loro posizione portano la risoluzione del Parlamento Ue sulla comparazione tra nazismo e comunismo, in particolare il punto 18 in cui si stigmatizza “la permanenza” di monumenti e luoghi commemorativi “che esaltano regimi totalitari, il che spiana la strada alla distorsione dei fatti storici circa le conseguenze della Seconda guerra mondiale”.
Direte: in occasione dei 30 anni dalla caduta del muro di Berlino ci avranno riflettuto su. Magari valutando che Lenin tutto sommato è il padre biologico di quel regime che ha soffocato l’indipendenza e la libertà di tanti popoli. Invece no. Vladimir non si tocca. A scriverlo nero su bianco è l’assessore ai Lavori pubblici e presidente della Commissione Toponomastica, Virginia Gieri. Cattolica e piddina, l’assessore condivide i ragionamenti sui disagi per i cittadini in caso di modifiche ai nomi delle vie.
Ma si spinge anche oltre, aggiungendo un’analisi sul quel voto degli europarlamentari che “ha diviso le forze politiche” a Bruxelles e “nei singoli stati nazionali”. “Si può dire – spiega – che, ancor prima di essere stata condivisa, non solo nella politica, ma anche nell’opinione pubblica, il testo di questa risoluzione ha generato smarrimento e disorientamento, suggerendo quasi che la storia si possa scrivere all’interno di luoghi come un Parlamento Europeo”. Esatto: smarrimento e disorientamento. Capite? “Prendiamo atto del fatto che non solo la sinistra lascia intendere che esistono dittature buone e dittature cattive, ma anche che il ‘ce lo chiede l’Europa’ è valido solo quando l’Ue dice ciò che è funzionale alla narrazione dei rossi. – attacca La Morgia – Le stragi e le ferite inflitte dal comunismo sono di una gravità che andrebbe riconosciuta a prescindere dalle appartenenze partitiche. Se la nostra identità culturale è antifascista, dovrebbe essere altresì anticomunista“.
Per la Gieri però la risoluzione Ue non può rappresentare “un elemento vincolante” per l’amministrazione. Dunque non c’è bisogno di mettere nel cassetto Viale Lenin. La pensa come David Sassoli, neo presidente dell’europarlamento, quando sostiene che “equiparazioni improprie minano la nostra identità” e che non bisogna “alimentare confusione tra chi fu vittima e chi carnefice”. Eppure di carnefici il comunismo se ne intende eccome. Scriveva Stéphane Courtois nel capitolo introduttivo de Il libro nero del comunismo: “I fatti parlano chiaro e mostrano che i crimini commessi dai regimi comunisti riguardano circa 100 milioni di persone“. Qualcuno potrebbe obiettare che sì, la risoluzione del Parlamento Ue invita a “sensibilizzare, effettuare valutazioni morali e condurre indagini giudiziarie” sui “crimini dello stalinismo e di altre dittature”, senza però citare mai Lenin. Vero.
Ma come scriveva Antonio Carioti sul Corriere, “quando Lenin venne colpito dal primo ictus (…) il regime bolscevico aveva già assunto le fattezze totalitarie che il suo allievo e successore Stalin avrebbe poi accentuato”. Lenin fu il maestro di Stalin e vero padre dei Gulag, come denunciava Robert Conquest. Eppure in Italia, ancora oggi, è impossibile toglierlo dalla toponomastica.
Urla, calci, pugni, testate e minacce contro i poliziotti: arrestato 20enne straniero. Ma quanto resterà in carcere?
Stavolta è un peruviano. Sono sempre di più gli immigrati, regolari o meno, che aggrediscono le forze di polizia. Un 20enne peruviano è stato arrestato dalla volante del commissariato della polizia di Busto Arsizio (Varese) per aver colpito e minacciato alcuni poliziotti.
I fatti si sono verificati ieri, quando, poco dopo le 22, la pattuglia è andata verso via Miani. Qui, a quanto si apprende, alcuni cittadini lamentavano il disturbo causato da un gruppo di ragazzi che urinavano in strada. Secondo testimonianze i ragazzi erano visibilmente ubriachi se non peggio. Il gruppo inoltre dava fastidio e lanciava bottiglie di vetro.
Un ragazzo del gruppetto, in sella a una bicicletta, si è diretto frettolosamente verso via Ferrari. Insospettiti, i poliziotti lo hanno seguito e raggiunto. Ma appena il capopattuglia ha aperto la portiera per scendere dall’auto, il 20enne, un peruviano, ha sferrato un calcio.
Facendo sì che la mano del poliziotto rimanesse chiusa tra lo sportello e il montante, per poi darsi nuovamente alla fuga.
Il peruviano in manetteDopo un ulteriore inseguimento, il ragazzo ha avuto la peggio e, dopo aver sferrato altri calci e agli operatori, finalmente ha finito di fare danni. Gli agenti hanno utilizzato anche lo spray al peperoncino in dotazione degli agenti. Non pago e benché ammanettato, il sudamericano ha continuato ad agitarsi durante il trasporto in Commissariato.
Con urla, testate e calci che hanno causato danni alla vettura di servizio. Arrivato negli uffici di via Foscolo, il 20enne infine ha sferrato una ginocchiata al lavabo riservato ai fermati, sradicandolo dalla parete. Non solo: tutto questo con numerosi insulti e minacce con allusioni all’intervento di una “banda”.
Il giovane, con permesso di soggiorno aveva anche precedenti relativial possesso di droga e armi improprie. Alla fine, lo straniero è finito in manette per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato.
Assalto alle coste italiane. Il ministro Lamorgese confessa: “Record di sbarchi fantasma a settembre e ottobre”
Luciana Lamorgese adesso non può negare l’evidenza ed è costretta ad ammettere che sulle coste italiane sbarcano sempre più immigrati irregolari. “Dall’inizio dell’anno al 4 novembre sono stati registrati 7.510 sbarchi ‘autonomi’ o ‘fantasma’, vale a dire migranti che arrivano autonomamente sulle coste italiane e che vengono individuati quando sono già in porto o a terra”.
Il dato evidenzia un “aumento” rispetto all’anno precedente: in tutto il 2018 sono stati infatti registrati 6mila sbarchi autonomi. A dirlo è stato proprio il ministro dell’Interno al Comitato Schengen.
L’ammissione del ministroSecondo Lamorgese la “tendenza all’aumento” è stata registrata fin da aprile 2019, ma “c’è stato un picco a settembre e ottobre”. In pratica da quando è in carica il governo giallofucsia si è verificato il “picco” di cui non esita a parlare il ministro. Finalmente dunque il titolare del Viminale si è accorto di questa drammatica realtà.
E dire che a metà ottobre sembrava di tutt’altro avviso, manifestando un certo senso di irrealtà: “Non credo si possa parlare di un’escalation di sbarchi – disse Lamorgese alla Camera – sulla base del dato relativo al solo del mese di settembre“.
Per poi aggiungere: “L’incremento numerico in effetti c’è stato ed è riconducibile anche all’ultimo mese di ottobre, ed è legato all’aumento degli sbarchi autonomi, che non risulta un fenomeno nuovo“.
Un fenomeno sicuramente non nuovo ma in continuo aumento, che dunque palesa l’incapacità dell’attuale governo di far fronte all’emergenza in questione. Il ministro dell’Interno, riguardo al numero complessivo degli sbarchi, oggi rivela poi che dall’inizio dell’anno al 7 novembre sono arrivati 9.944 migranti, il 55% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Nello specifico: dalla Libia sono arrivate 2.826 persone, 3.491 dalla Tunisia, 872 dall’Algeria e 2.431 dalla Turchia e dalla Grecia tramite “sbarchi diffusi su coste siciliane, calabresi e sarde”. Il problema è che il governo giallofucsia è in carica soltanto da settembre e proprio da allora c’è stato un sensibile incremento di sbarchi autonomi di clandestini.
Criticarono duramente Mattarella sui social: 39 indagati, in 9 rischiano 15 anni di carcere. Toghe scatenate
Nove persone che avevano attaccato sui Social il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella rischiano ora il processo penale. La Procura di Palermo ha, infatti, chiuso l’indagine sui nove. E si appresta a chiedere il rinvio a giudizio per loro.
Nel maggio 2018, secondo la Procura di Palermo, avrebbero insultato pesantemente e, addirittura, scritto minacce di morte all’indirizzo del Mattarella. E ora i nove sono accusati di attentato alla libertà, offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubblica. E anche di istigazione a delinquere. Accuse pesanti che possono prevedere condanne fino a 15 anni di carcere.
Fra i tanti post sui Social contro il capo dello Stato, presi in esame dal pm Calogero Ferrara c’era quello di un utente che scrisse «…hanno ucciso il fratello sbagliato», proprio riferendosi all’omicidio di Piersanti Mattarella. Un altro post contro Mattarella recitava: «Ti hanno ammazzato il fratello, non ti basta?».
La rivolta social contro Mattarella per l’incarico a CottarelliLa Procura di Palermo aveva, inizialmente, iscritto 39 utenti social nel registro degli indagati. Ma per 30 di questi i magistrati sono in attesa dell’identificazione da parte di Facebook. E gli altri nove, già identificati, ora rischiano il processo.
Il sostituto procuratore di Palermo, Calogero Ferrara aveva ricevuto dalla Digos i dati di identificazioni degli autori di quelle che i pm ritengono essere minacce e insulti rivolti a Sergio Mattarella. La rivolta social contro il capo dello Stato avvenne dopo che Mattarella aveva affidato l’incarico per la formazione del governo all’economista Carlo Cottarelli.
Un gesto che aveva trovato, ovviamente, subito il favore della sinistra. Pronta a cercare di rimettere le unghie sulle poltrone e sul potere
In quel frangente, mentre si levavano voci fortemente critiche contro Mattarella, la polizia postale aveva avviato un monitoraggio su siti web e social. Obiettivo: segnalare all’autorità giudiziaria tutti quei comportamenti e dichiarazioni contro il presidente della Repubblica. La Procura, con il coordinamento dell’aggiunto Marzia Sabella, ha poi proceduto un anno mezzo fa, sulla base delle segnalazioni della polizia, all’iscrizione di tutti gli utenti Social identificati, nel registro degli indagati. Ora la chiusura dell’inchiesta.
giovedì 7 novembre 2019
Caso Segre, Saviano fuori controllo: “La propaganda xenofoba di Salvini è un problema per la democrazia italiana”
Roberto Saviano attacca Matteo Salvini anche sul caso di Liliana Segre, la senatrice a vita alla quale è stata assegnata la scorta dopo i troppi insulti e minacce: “La politica sovranista usa l’odio antisemita come carburante. Liliana Segre è sotto scorta e Salvini minimizza”.
E ancora: “La propaganda xenofoba di Salvini è il problema che la democrazia italiana non ha la forza di affrontare: ciò che è accaduto alla senatrice Segre ne è la prova”. Peccato che il leader della Lega abbia detto esattamente questo: “Anche io ricevo minacce, ogni giorno.
Le minacce contro la Segre, contro Salvini, contro chiunque sono gravissime”. Non esattamente propaganda xenofoba e antisemita… Ma mister Gomorra forse non quelle parole non le ha volute sentire.
Movimento 5 Stelle allo sfascio: 20 deputati pronti a passare con la Lega di Salvini. Sarà la fine del Conte bis
Il conto che gira in Transatlantico è di venti. Venti deputati del M5S sarebbero pronti a fare un gruppo autonomo per sostenere un governo di centrodestra, nel caso in cui il 26 gennaio cadesse l’ ultima roccaforte rossa, l’ Emilia Romagna. Perché tutti danno per scontato che, se cadesse l’ ultima regione rossa, come in una partita di bowling cadrebbero tutti gli altri birilli. Cioè il governo Conte. Di questo, ormai, si parla ossessivamente nel corridoio davanti all’ Aula: cosa accadrà dopo il 26 gennaio. Se cade l’ Emilia, è la tesi trasversalmente diffusa, addio Conte 2. Ma le elezioni, no. Anche se in molti le invocano, in pochi credono che ci saranno.
«Ormai ci siamo abituati ai tre governi per legislatura», rifletteva un disincantato deputato dem: «Prodi, D’ Alema, Amato; Letta, Renzi, Gentiloni». Secondo questa tesi, al Conte 2 potrebbe succedere un governo Franceschini (o chi per lui). Ma è un disegno che, seppure accarezzato da tanti, presenta molte difficoltà. Potrebbe, il presidente Sergio Mattarella, dare il via a un altro governo degli sconfitti, ancora più sconfitti di quelli che a settembre hanno tenuto a battesimo il Conte 2? Complicato. Da qui, l’ altra possibilità: un governo di centrodestra, che dia la chance di govrnare a chi sta vincendo una dopo l’ altra le elezioni nel Paese. E in questo modo sarebbe salva anche la riforma che taglia i numeri dei parlamentari, che salterebbe in caso di voto anticipato.
Ma, per farlo, i numeri attuali di Lega, Fdi e Forza Italia non bastano. Soprattutto alla Camera. Servirebbero, dunque, dei passaggi di parlamentari dall’ attuale schieramento a quello del centrodestra. Ipotesi di cui, nelle commissioni, si parla apertamente. «Nella mia, i grillini mi hanno già detto che sarebbero pronti a passare con la Lega, se il Conte 2 cadesse», confida un deputato azzurro. E non è una eccezione. Il clima che si respira, soprattutto tra i pentastellati alla prima legislatura, è di disillusa stanchezza. «Ma hai visto Fioramonti?», si sfogava un deputato grillino con altri colleghi, ieri, nel cortile di Montecitorio. «Dice che non sapeva nulla delle norme inserite nella legge di bilancio. Così facciamo oltretutto la figura dei peracottari…».
Ci si è messa la vicenda Ilva, lo stop and go sulla plastic tax, i continui litigi con il Pd, il ruolo straripante di Matteo Renzi («Sta facendo quello che prima faceva Salvini», si dice nel M5S, «e noi rimaniamo schiacciati come al solito»). Un piano inclinato che molti osservano con preoccupazione. E soppesando le varie exit strategy. Ma siccome salvare la legislatura è un imperativo, primum vivere, aumentano i peones pentastellati che ammiccano, riservatamente, ai colleghi della Lega. Soldati in sonno, ma pronti a emergere quando sarà necessario. Dentro Forza Italia già si parla addirittura di distribuzione dei ministeri.
Del resto è un momento particolarmente volatile in tutti i gruppi. Renzi continua in modo massiccio a tentare peones e non solo: l’ altro giorno Pier Camillo Padoan ha detto di sentirsi «più in sintonia» su certi temi con il partito dell’ ex premier. E da qualche tempo anche il Pd ha cominciato a rispondere per le rime. Ieri Renata Polverini è stata avvicinata da pezzi grossi del Pd, così come Deborah Bergamini. «Dobbiamo reagire all’ attivismo di Renzi, qualche passaggio non sarebbe male», si ragiona tra i dem. La campagna acquisti, insomma, ferve. Da una parte e dall’ altra. Poi, come nel Risiko, chi avrà più carrarmati, al momento giusto vincerà.
Iscriviti a:
Post (Atom)