venerdì 27 settembre 2019

Il corteo dei “gretini”? È la solita piazza dell’odio di sinistra: studenti leghisti cacciati a Milano, scontri a Palermo


Sfilano in piazza per il clima sulla scia del richiamo planetario della “Greta dei miracoli” ma poi cacciano i ragazzi non allineati. Nel giorno del Friday For Future in alcune città gli studenti della Lega sono stati fischiati e allontanati dal corteo studentesco come se la tutela dell’ambiente e le mobilitazioni ecologiche fossero “roba loro”. A Palermo, invece, una trentina di persone vestite di nero ha cercato di spezzare il serpentone che sfilava per il centro della città provocando tensioni e cariche da parte della polizia con fuggi fuggi generale.

 A dare la notizia della discriminazione degli studenti del Carroccio è stato il deputato e coordinatore federale della Lega Giovani, Luca Toccalini: «Solidarietà ai ragazzi della Lega cacciati dal corteo per l’ambiente a Catania e insultati a Milano e Forlì. A differenza della sinistra e dei sindacati ci siamo presentati in tante piazze italiane senza bandiere di partito, ma nonostante questo una certa parte politica a suon di chiacchiere vuole intestarsi una battaglia che non è loro, ma di tutti i cittadini. Ringrazio i tantissimi giovani che ci hanno incitato a non mollare, insieme a loro nelle prossime settimane costruiremo un manifesto per l’ambiente con proposte concrete per il Paese».

 Al corteo di Palermo invece ci sono state tensioni: la polizia ha acquisito alcuni filmati degli scontri avvenuti all’incrocio tra piazza Castelnuovo e via Ruggero Settimo. Secondo una prima ricostruzione, sembra che un gruppo di giovani appartenenti all’estrema destra siano arrivati con un loto striscione, tutti vestiti di nero, ma invitati ad andare via da un altro gruppo vicino agli antagonisti. Sono così partiti gli insulti e anche qualche scontro fisico tra manifestanti. Ma senza conseguenze. L’intervento dei poliziotti in tenuta antisommossa ha evitato che la situazione degenerasse.

L’ex grillina Silvia Vono: “O vai dallo psicologo o ti iscrivi al M5S”. “È il partito del no, ha ragione Salvini”


Da sostanziale sconosciuta a donna di copertina. Si parla di Gelsomina Silvia Vono, ormai ex M5s. Uno dei molti grillini in fuga, ma la prima ad essere passata con Matteo Renzi ed Italia Viva, massimo tradimento per Luigi Di Maio e compagnia cantante. Calabrese di Soverato, 50 anni, la Vono si è insomma resa protagonista del più improbabile dei salti.

E, ovviamente, è balzata agli onori delle cronache. Oggi, venerdì 27 settembre, si confida in un’intervista al Giornale, in cui esordisce rivelando come nel M5s “in tanti mi hanno mostrato la loro stima” dopo l’addio. Dunque la bordata a Di Maio, il quale ha detto di voler chiedere 100mila euro di risarcimento a chi lascia i pentastellati: “Credo sia una clausola vessatoria”, taglia corto (e in una seconda intervista al Corriere della Sera parla esplicitamente di “ricatto“).

E la Vono, sul M5s, picchia durissimo. Quando le chiedono perché abbia mollato il partito, spiega: “Non è mai esistita una vera organizzazione di gruppo, si continuava ad andare avanti facendo ragionamenti da partito di opposizione, loro non hanno mai avuto un’idea di governo”. Ancor più clamoroso, quando la senatrice afferma che “su questo sicuramente ha ragione”: e ad aver ragione è Matteo Salvini quando dice che il M5s è “il partito del no”.

Ma il passaggio più corrosivo è quello in cui viene interpellata su quel che accade durante le sempre più movimentate riunioni tra i parlamentari e il capo politico, Di Maio: “Non bisogna fare riunioni solo per ascoltare le lamentele e poi andarsene via, come se nulla fosse – premette -. Per scherzare dico che se uno deve parlare dei suoi parlamentari può andare dallo psicologo oppure iscriversi al M5s“, sottolinea. Infine, Silvia Vono spiega di essere andata con Renzi perché “ha dimostrato visione, lungimiranza, coraggio”.

E ancora: “Insieme a Italia Viva sosterrò il governo guidato da Conte, che ritengo un uomo preparato e libero”. E quando le chiedono conto del grande malumore su cui si vocifera tra gli eletti pentastellati, conferma: “C’è moltissimo malessere”. Insomma, come si dice da più parti, i grillini in fuga già nei prossimi giorni potrebbero crescere. E parecchio.

Salvini: “Berlinguer avrebbe schifo per questa sinistra. Conoscono più banchieri che operai”. E il PD impazzisce


«Berlinguer avrebbe schifo per questi di sinistra che conoscono più banchieri che operai». Così, su questa frase di Matteo Salvini, pronunciata durante un comizio in Umbria a San Feliciano, sì è subito scatenato l’inferno. Salvini non ti permettere.
«Berlinguer? Salvini si sciacqui la bocca»
Il pensiero espresso dall’ex ministro dell’Interno non fa una grinza, ma il merito del discorso interessa ben poco a un Pd che certo non sarebbe piaciuto a Berlinguer.
Inizia il senatore Franco Mirabelli, vicepresidente del gruppo dem. «Salvini non si deve permettere neppure di citare Enrico Berlinguer, un uomo che credeva nell’Europa, nella necessità di difendere la democrazia liberale e di affermare la legalità.

Principi che sono l’opposto di ciò che Salvini predica e pratica». Prosegue la litania il senatore del Pd, Roberto Rampi: «Prima di parlare di Enrico Berlinguer qualcuno dovrebbe sciacquarsi la bocca.

Quando avrà la dignità e la statura di un’unghia di Berlinguer ne riparliamo». Offese su offese, un’altra giornata da collezione per Salvini.
Salvini: «Sono convinto che se Berlinguer venisse qui…»
«Liberiamo prima l’Umbria, poi tocca alla Toscana. E lì tra Renzi e la Boschi ci sarà da divertirsi», aveva detto Salvini partecipando a vari incontri con i cittadini in vista delle regionali nelle quali la Lega, con il centro destra, sostiene la candidatura di Donatella Tesei.
«Incontro persone che mi dicono che hanno votato per una vita a sinistra per tradizione per cultura, perché votava il papà, il nonno. Però io sono convinto che se oggi venisse in Umbria Berlinguer avrebbe schifo di quelli che si dicono di sinistra che conoscono più banchieri che operai, che conoscono più finanzieri che pescatori e artigiani». Quindi il diluvio di insulti.

Suicidio di Stato, duro attacco di Sgarbi a Bergoglio: “Possibile che non dica nulla in difesa della vita?”


“Possibile che il Papa non dica nulla a difesa della vita? Possibile che non abbia nulla da dire sulla sentenza della Consulta che apre le porte al ‘suicidio di Stato’. Non possiamo lasciare che a decidere della vita sia un Tribunale con una sentenza di morte!”. Vittorio Sgarbi si pronuncia così contro la sentenza sul Fine vita, tirando in ballo con vis polemica Papa Francesco.

La Corte Costituzionale ha giudicato non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale – a determinate condizioni – “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili”.

 Una delibera che il critico d’arte non vede di buon occhio. Motivo per cui si rivolge a Papa Francesco, che ancora non ha pronunciato parola a riguardo, nonostante in passato “si sia accanito contro l’accanimento terapeutico”.


Migranti, Grecia e Spagna non firmano il patto di Malta. Altro che svolta, Conte ha preso in giro gli italiani


La stampa e l’informazione anche televisiva italiana ha completamente censurato la notizia, perchè è politicamente “mortale” per il governo Conte e per Conte in persona, dato che fa cadere di schianto tutta la montagna di bugie e omissioni raccontate sul vertice di Malta, spacciato per essere una “svolta” della Ue rispetto la questione migranti.

Sì, una svolta contro il muro.
L’intesa siglata da Germania, Francia, Italia e Malta, che prevede la ridistribuzione volontaria nei paesi europei dei migranti soccorsi nel Mediterraneo, si e’ scontrata con il netto rifiuto di due Stati chiave: Spagna e Grecia.

Lo scrive il quotidiano El Pais in prima pagina, spiegando che, secondo i governi di Madrid e Atene, il cosiddetto patto di Malta si basa su uno schema che mira, quasi esclusivamente, ad affrontare il problema italiano della gestione dei flussi. Tanto il governo spagnolo che quello della Grecia lo respingono. Voteranno contro alla riunione dei primi d’ottobre durante la quale si dovrebbe valutare quante nazioni dell’Unione europea aderirebbero al piano volontario e della durata di sei mesi, salvo la possibilità di ciascuno stato aderente di sfilarsi in un qualsiasi momento senza dove dare spiegazioni.

Fra i punti piu’ contestati da Spagna e Grecia, le cui cancellerie sono in stretto contatto, riferisce il Pais, quello che stabilisce che si possano smistare in Europa solo i naufraghi salvati in alto mare che chiedono asilo, escludendo cosi’ i migliaia di disperati che arrivano in Spagna e le decine di migliaia fermi in Grecia.

Il Pais fa notare come, dopo quattro anni di scontri a livello dell’Ue, il meccanismo sia stato pensato per offrire solo un aiuto politico al nuovo fragile governo italiano, ora che il leader della Lega, Matteo Salvini, è stato mandato all’apposizione.

Il Pais conclude ricordando che questo “accordo di Malta” produrrebbe una profonda frattura tra nazioni come Spagna e Grecia e il resto della Ue, se venisse usato solo per “aiutare” politicamente il governo italiano.

giovedì 26 settembre 2019

Islam, Delmastro disintegra Fiano: “Stai a cuccia, sottomesso. La nostra civiltà cristiana va difesa”


Ha scatenato una certa bagarre, nell’aula di Montecitorio, l’intervento del deputato di FdI, Andrea Delmastro, contro l’accordo bilaterale tra Italia e Qatar.

Il partito di Giorgia Meloni è stato l’unico a votare no alla ratifica, sottolineando che quel documento, più che come un accordo, si connota come un atto di sottomissione culturale, un cedimento a quella strategia di «soft power» che più di tutti proprio il Qatar, insieme all’Arabia Saudita, «ha messo in campo per l’islamizzazione dolce dell’Occidente, dell’Europa, dell’Italia». Una strategia contro la quale l’Italia, attraverso le azioni di alcuni suoi esponenti politici, ha già dimostrato di avere bassi anticorpi.
«La Boldrini in moschea col velo e in ciabatte dal Papa»
Delmastro, nel suo intervento, ha citato come esempi la copertura delle statue nude dei musei capitolini in occasione della visita del presidente dell’Iran e il velo di Laura Boldrini per la visita in moschea. «Viviamo – ha commentato il deputato di FdI – in un Paese dove una ex presidente della Camera trova normale andare per rispetto in moschea a Roma con il velo, ma quando va dal santo Padre mette ai piedi qualcosa che è poco più di una sciatta ciabatta».

Un rilievo che ha scatenato la reazione furibonda di Emanuele Fiano e Filippo Sensi del Pd, da pochi giorni diventati compagni di partito di Boldrini.
Delmastro replica alla furia Pd: «A cuccia»
I due hanno iniziato a urlare all’indirizzo di Delmastro, che poi è stato tacciato di essere un «sessista» e un «fascista», con la solita tecnica della sinistra per deviare l’attenzione da argomenti che le sono scomodi. «Vergogna sei un sottomesso, noi non siamo sottomessi, non alzare la voce con me.

A cuccia, sottomesso», è stata la replica di Delmastro, che si è rivolto anche alla presidente di turno, Maria Edera Spadoni, chiedendole «di farlo accucciare da buon sottomesso». «Non ci tapperete mai la bocca, noi difendiamo la nostra civiltà e la crisitanità», ha avvertito Delmastro tornando poi a mettere in guardia contro «l’accelerazione dell’islamizzazione dolce della nostra società».

Tre feroci torturatori e stupratori a bordo di Sea Watch: “Lamorgese ha imposto il silenzio sulla notizia”


Poco più di una settimana fa sono stati arrestati tre trafficanti di esseri umani accusati di torturare i migranti in un campo di detenzione libico.

Come sono arrivati in Italia? Sul barcone (ong Sea Watch) niente di meno che di Carola Rackete. Secondo fonti attendibili riportate dal Giornale il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese avrebbe imposto il silenzio sulla notizia, forse per non dare un assist al predecessore Matteo Salvini, peraltro indagato dopo la querela di quella che lui aveva definito “viziatella tedesca”.

 A sostenere tale decisione anche il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio. Approdati con la capitana tedesca, Mohammed Condè, detto “Suarez”, originario della Guinea, 27 anni, Hameda Ahmed, egiziano, 26 anni e Mahmoud Ashuia, egiziano, 24 anni.

I tre beccati dalla Squadra mobile di Agrigento pare fossero a bordo dell’imbarcazione anche al momento in cui a bordo salirono i parlamentari Pd che gridarono allo scandalo perché l’ex titolare del Viminale non autorizzava l’ingresso in porto.

A incastrare i malviventi sono stati i migranti sbarcati a Lampedusa dalla nave Mediterranea, che avevano raccontato le indicibili torture subite a Zawya, tra violenze sessuali e condizioni di vita disumane.

La Polonia avverte Conte e l’Ue: “No redistribuzione. Noi accogliamo chi ha la nostra cultura e l’identità cristiana”


La Polonia si chiama fuori dalla redistribuzione dei migranti che vorrebbe l’Europa. Perché il governo di Varsavia accoglie solo chi condivide, con i polacchi, lingua, tradizioni e cultura. A dirlo, mandando un chiaro messaggio agli alti papaveri dell’Ue, è Anna Maria Anders, la nuova ambasciatrice polacca a Roma.

 Intervistata da La Stampa, la diplomatica spiega: “L’Ue vuole la redistribuzione, ma noi non cambiamo il nostro punto di vista. Varsavia fa già tantissimo. In Polonia ci sono due milioni di ucraini di cui tanti fuggiti da zone di guerra.

E si integrano bene, condividono in parte la lingua, le tradizioni, la cultura”. Insomma, il messaggio è chiaro: Patto di Malta e politica delle quote? No grazie. L’anders tiene il punto e motiva la linea del suo Paese: “Il ruolo del cristianesimo è un collante della nazione polacca. E questo deve essere rispettato.

Per quasi mezzo secolo non abbiamo avuto la possibilità di mostrare le nostre bandiere, di manifestare liberamente, di cantare i nostri slogan e l’inno. Ora abbiamo la libertà di farlo e non è possibile essere liquidati come nazionalisti solo perché sveliamo con orgoglio la nostra identità“.

 Dunque, l’ambasciatrice ha parlato anche dei rapporti con Roma: “L’Italia è il nostro terzo partner economico in Europa, ci sono mille industrie che investono in Polonia”. E sull’esecutivo giallorosso l’Anders rimane cauta, per non dire cautissima: “Il nuovo governo italiano resta un punto interrogativo, vedremo fra sei mesi e valuteremo…”.

Gli italiani non si fidano di Matteo Renzi. Sondaggio disastro: solo il 18% ha fiducia di “Pinocchio”


Italia Viva è appena nata, ma è una novità politica che piace poco, molto poco, agli italiani. Secondo tutti i sondaggi realizzati finora, infatti, il nuovo partito di Matteo Renzi oscilla tra il 3 e il 5%, nei casi più ottimisti.

E c’è un dato che mette paura all’ex segretario del Partito Democratico: quello della (bassa) fiducia che gli elettori hanno in lui. Secondo l0ultima rilevazione condotta da Emg Acqua per Agorà, infatti, la fiducia nel leader di Italia Viva arriva appena al 18%.

È ultimo in graduatoria, guardando dal basso il 40% di Matteo Salvini, il 39% di Giuseppe Conte, il 28% di Luigi Di Maio e il 23% di Nicola Zingaretti. Insomma, male, molto male. La stragrande maggioranza dei cittadini reputa Renzi inaffidabile. In primis, gli elettori del Movimento 5 Stelle, che per il 73% lo considerano poco corretto; mentre l’98% dell’elettorato leghista pensa che Italia Viva non sosterrà fino in fondo l’esecutivo M5s-Pd.

Infine, i suoi stessi ex elettori, per il 42%, credono che dell’ex segretario dem non ci si possa fidare. L’istituto demoscopico diretto da Fabrizio Masia valuta Italia viva al 4,3% delle indicazioni di voto, sintomo che l’operazione politica di Matteo Renzi è partita col freno a mano tirato.

La folle clausola del patto truffa di Malta: sospensione della ripartizione se aumentano i flussi dei migranti


C’è una clausola nel documento sui migranti, che è stato sottoscritto dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese a Malta, che rischia di trasformarsi in una vera e propria fregatura per l’Italia Nel caso in cui i flussi dovessero farsi massicci, i Paesi che hanno aderito al piano di ripartizione, potranno infatti chiamarsi fuori e lasciare tutto il peso della gestione degli arrivi al nostro Paese.

Certo, non è l’unica, pesantissima falla di un’intesa che non è stata affatto pensata per arginare l’emergenza immigrazione ma per far ripartire il business dell’accoglienza, ma è senza alcun dubbio quella più smaccatamente anti italiana.

Che l’accordo di Malta, cinque paginette in tutto che dovranno essere ratificate il prossimo 8 ottobre, faccia acqua da tutte le parti, è apparso chiaro sin da subito. Non a caso, una volta avuto in mano il testo, a Bruxelles hanno immediatamente messo le mani avanti sottolineando più volte che “il meccanismo è su base volontaria”. Una puntualizzazione importantissima per far capire che è tutto campato per aria e che non c’è la fattiva volontà di aiutare l’Italia nella gestione dell’emergenza immigrazione. “Non è un accordo obbligatorio, né legislazione comunitaria – hanno spiegato all’agenzia Agi fonti europee vicine al dossier – non sarà legalmente vincolante”.

Oltre all’Italia Germania, Francia e Finlandia, che hanno già sottoscritto l’accordo, Portogallo, Belgio, Irlanda e Lussemburgo avrebbero già fatto capire alla Commissione europea di essere disposte a parteciparvi. Il punto è che, non essendo “vicolante”, non rischiano nulla a fare un passo avanti. Come si legge nel documento, infatti, “ogni Stato membro può sempre offrire un posto alternativo di sicurezza su base volontaria”. “Nel caso di uno sproporzionato aumento della pressione migratoria in uno degli Stati partecipanti, calcolato in relazione ai limiti delle capacità di accoglienza, o ad un alto numero di richieste per la protezione internazionale – si legge ancora – un posto di sicurezza alternativo sarà proposto su base volontaria”.

Nessun obbligo, insomma, solo buoni propositi. E tra le pieghe del documento, i cui dettagli sono “ancora vaghi” dal momento che si limitano solo a enucleare le “grandi linee” del meccanismo temporaneo, è già stata inserita una exit strategy che lascerà tutto il peso della ripartizione dei migranti sulle spalle degli italiani. Questa è stata, infatti, pensata solo per sei mesi che ovviamente potranno essere rinnovati, ma che potranno essere interroti non appena l’afflusso dovesse farsi eccessivo. In questo caso, gli Stati membri potranno infatti persino uscire dal patto in men che non si dica. Come rivela l’Ansa, il documento di Malta lo dice chiaro e tondo: se “nei sei mesi il numero dei ricollocati dovesse aumentare in modo sostanziale, gli Stati che partecipano si riuniranno per consultazioni. Durante le consultazioni – continua – il meccanismo potrà essere sospeso”.

L’unico effetto vero si avrà sulle partenze. Le organizzazioni non governative hanno già intravisto l’opportunità di poter riprendere le proprie incursioni nel Mar Mediterraneo. Dopo che il governo giallorosso ha riperto i porti chiusi dall’ex ministro Matteo Salvini, il documento di Malta mette nero su bianco la volontà di imprimere una forte discontinuità con quanto fatto sin qui dal leader leghista. Sebbene nella bozza i firmatari si siano impegnati a evitare che il meccanismo temporaneo di ripartizione “non apra nuove strade irregolari verso le coste europee” e non creai “nuovi fattori di attrazione”, la linea morbida, che di fatto accantona la lotta all’immigrazione clandestina, riaprirà i viaggi della speranza.

A nulla, infatti, varranno le regole che l’intesa si ripropone di dare alle navi messe in mare dalle ong. Queste dovranno “essere registrate secondo la legge nazionale dello Stato di bandiera” e, laddove è possibile, saranno registrate come “imbarcazioni per il salvataggio”. Sarà lo stato di bandiera, poi, ad assicurarsi che “siano qualificate in modo adeguato ed equipaggiate per condurre tali operazioni”. Niente di più. Per il resto potranno andare avanti a fare quello che vogliono. Anche perché i dem e i Cinque Stelle hanno già fatto sapere che presto smantelleranno i decreti Sicurezza. A quel punto tutto sarà pronto per una nuova maxi ondata.

Vuole distruggere la Ferrero e non apre le scuole: ecco il nuovo “Toninelli” del governo giallorosso


Dopo l’uscita di scena di Danilo Toninelli, la storia e il governo ci offrono un nuovo eroe, il suo sostituto: il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti. Non era stato ancora nominato e aveva già rilasciato un’intervista al Corriere della sera che era una minaccia, ma anche una speranza: «Se entro Natale non si trova un miliardo per l’università sono pronto a dimettermi». Nella stessa intervista arricchiva il dibattito con l’idea più sconclusionata di sempre, la tassa sulle merendine, perché «così finanzio la scuola e stili di vita sani».

 Assecondato da Giuseppe Conte, non solo Fioramonti non ha ritrattato ma, ieri, alla Stampa, ha rilanciato: «Il business delle merendine fattura miliardi. Non è un caso che l’uomo più ricco del Paese sia un produttore di merendine». Faceva riferimento a Giovanni Ferrero e alla sua impresa che premia i dipendenti, esporta l’Italia nel mondo e la consola con il suo cioccolato. In breve, dopo le merendine, vuole toglierci anche la Nutella. Si pensava dunque che fosse tutto e invece era ancora poco. Da ministro ha proseguito annunciando il primo Fioramonti Act, la legge che ogni studente ha sempre sognato di notte: «Ho dato mandato di redigere una circolare che inviti le scuole a considerare giustificate le assenze occorse per la mobilitazione mondiale per il clima».

L’appuntamento è fissato per venerdì 27 e per la prima volta scendere in piazza sarà premiato mentre entrare a scuola sarà punito. Ebbene, un giorno bisognerà capire chi ha scoperto questo docente di Economia dell’università di Pretoria in Sudafrica, ma per due anni anche assistente parlamentare di Antonio Di Pietro. Insomma, che c’azzecca Fioramonti con la nostra scuola e, soprattutto, come gli rimane il tempo per parlare di qualsiasi cosa tranne che di quella? Per Marcello Pacifico, presidente del più tosto sindacato degli insegnanti, l’Anief, questo è l’anno dell’emergenza, della più grande «supplentite» mai registrata. «Mancano 60mila docenti di sostegno e abbiamo superato il record di supplenti del 2011 che era di 105mila.

Quest’anno saranno 240mila». Nessuno lo dice, ma mentre il ministro interviene, in ogni scuola c’è un preside che si supera. A Roma, all’istituto Villaggio Prenestino, gli insegnanti erano così pochi che chi la dirige, suo malgrado, ha dovuto tirare fuori una soluzione alla Fioramonti: gli insegnanti mancano? Studenti, uscite prima. All’ingresso della scuola materna Santa Maria Goretti, ancora a Roma, ad attendere i bambini, nel loro primo giorno, non c’era un «nuovo umanesimo» ma la solita putrescente immondizia. E che ne pensa Fioramonti di Ustica? Al momento, mancano cinque bidelli, tre assistenti amministrativi. Gli studenti sono 115 e tutti pronti a protestare, ma per riaprire la scuola che, nella piccola isola, è come salvare il pianeta (per loro giustifica ed encomio nostro).

A Bagnoli, all’istituto Madonna Assunta, siamo all’abc: non ci sono banchi e sedie. Anche qui, la preside Rosa Cassese ha lavorato di fantasia: turnazione. A Cesena, l’edificio della scuola Munari sarà inagibile per tutto l’anno. Gli alunni saranno divisi in altre scuole della città. Più preoccupante è quanto accaduto a Bologna. Un padre marocchino ha ritirato suo figlio perché la classe materna era tutta composta da bambini stranieri e giustamente ha denunciato: «Non è cosi che si fa integrazione. E lo dice un marocchino». E forse non è così che si fa il ministro.

Avevamo sorriso quando, da sottosegretario all’Istruzione dello scorso governo, Fioramonti aveva chiamato al ministero la Iena disoccupata Dino Giarrusso e, ancora, quando scambiava propensità per propensione e inveiva contro l’Eni che definiva «Ente nazionale idrocarburi» in realtà chiuso ventisette anni fa. È chiaro che lo avevamo sottovalutato. La sua ultimissima? Sulla facciata del Miur ha fatto appendere lo slogan «Istruzione, non estinzione». Se continua così, metterà gli studenti al posto dei professori.

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