sabato 21 settembre 2019
Matteo Salvini e Matteo Renzi, scoop di Bruno Vespa: "Frequenti contatti dopo le politiche 2018"
"Carissimi nemici". Questo il titolo dell'editoriale firmato da Bruno Vespa, appuntamento del sabato sulle colonne de Il Giorno. I due soggetti sono Matteo Salvini e Matteo Renzi, ovviamente.
Il leader della Lega e l'ex Pd che, come è noto, a metà ottobre si sfideranno in un attesissimo duello televisivo proprio nello studio di Vespa, a Porta a Porta su Rai 1. "Come si guarderanno? Aria beffarda o severa? Ironica o arrogante? Conciliante o minacciosa?", s'interroga Vespa facendo crescere ulteriormente l'attesa.
Ma il fondo del giornalista di Rai 1 non riguarda la sua trasmissione, bensì le due figure politiche, delineate mettendone in evidenza affinità e divergenze, affinità in verità che anche secondo Vespa si esauriscono sostanzialmente con "il dato anagrafico, sono due giovani leader (...). Per il resto, davvero poco simili. Se si eccettua il fatto che sono due eretici. Renzi lo è per natura e la scissione ne è una conferma. Salvini a lungo lo è stato nella Lega, partito nel quale non riscuoteva certo le simpatie di Bossi e in cui a contribuito all'ascesa di Maroni, proprio in rotta col fondatore".
Ma è nelle battute successive dell'articolo che Bruno Vespa sgancia la bomba. Prima premette come l'appuntamento a Porta a Porta sia importante per Renzi in vista della Leopolda, che si terrà il 18 ottobre, così come sarà importante per Salvini, che il 19 ottobre riunirà il centrodestra a Piazza San Giovanni a Roma.
"I due leader vogliono quindi caricare i rispettivi campi", sottolinea mister Porta a Porta. Che poi aggiunge: "Renzi e Salvini se le sono dette di ogni tipo. Eppure - ed eccoci alla bomba - dopo le elezioni del 2018 si sono scambiati una infinità di WhatsApp, mentre - per dire - Renzi e Di Maio non si sono mai parlati fino a qualche giorno fa quando è stato il nuovo ministro degli Esteri a chiamare l'ex presidente del Consiglio".
Insomma, contatti, secondo Vespa anche molto frequenti, tra Salvini e Renzi dopo le politiche dello scorso anno. Contatti i cui contenuti restano misteriosi, ma che possono far intendere come i due si sentano i protagonisti della politica del presente e del futuro. Certo Salvini, ad oggi, con un consenso decisamente superiore al fu rottamatore.
E non a caso, Vespa, dopo aver parlato degli scambi su WhatsApp, rimarca: "La vera ragione del confronto (in televisione, ndr) può essere il comune desiderio di legittimarsi a vicenda. Renzi è un peso massimo allo stato con poche truppe. Salvini ha un consenso molto alto, ma minore esperienza di governo. Il segretario della Lega è dichiaratamente un candidato premier. Renzi lo è stato e se lo conosciamo un poco tornerà ad esserlo", sottolinea sornione Bruno Vespa.
Conte svela la folle manovra dettata da Bruxelles: una nuova valanga di tasse e guerra al contante
Nuove tasse, lotta al contante e una nuova politica sull’immigrazione. Ma soprattutto attacchi a quello che solo fino a poche settimane fa era a tutti gli effetti un alleato di governo (spesso difeso e i cui decreti sono stati controfirmati). Giuseppe Conte va da premier ad Atreju, la tradizionale convention di Fratelli d’Italia.
Una scelta coraggiosa, sottolinea Giorgia Meloni chiedendo per lui un applauso: “Noi siamo i veri democratici in questa nazione”, spiega la leader di Fdi introducendolo sul palco, “Oggi fa un gesto non scontato, un atto di coraggio”. Anche perché il premier – intervistao da Bruno Vespa – difende la svolta imposta al suo secondo esecutivo dall’accordo con il Partito democratico e snocciola le sue idee per trovare le risorse che scongiurerebbero un aumento dell’Iva.
Come? Introducendo nuove tasse su beni che rischiano così di essere considerati di lusso, come trasporto aereo, bevande gassate e merendine. “Credo che sia una soluzione praticabile”, ha detto il premier commentando l’ipotesi di un sovrapprezzo di un euro per i voli nazionali e di 1,5 euro per quelli internazionali. Ma anche con la lotta all’evasione fiscale grazie a una vera e propria “guerra” al contante. In cambio, promette, “asili nido gratuiti per famiglie con redditi medi e bassi”.
Ma il palco di Atreju è anche l’occasione per attaccare – ancora – il suo “nemico”. Ampio lo spazio riservato da Conte a Matteo Salvini durante il suo intervento. A partire dal fuorionda in cui chiedeva alla Mekel consigli per fermare la Lega. “Sono frammenti di una chiacchierata un po’ rilassata tra due esponenti di governo davanti ad un drink”, si difende oggi, “Vedo che Salvini ci sta ricamando molto sopra: io non mi sono mai permesso di denigrare una forza politica che sosteneva il precedente governo. Eravamo nella prospettiva di una votazione europea: come io ho chiesto alla Merkel, lei ha chiesto a me come si preparavano le forze politiche. Io dicevo che il rischio dell’isolamento, dal mio punto di vista, era evidente“.
Isolamento che invece avrebbe ottenuto proprio l’ex ministro dell’Interno: “Oggi pomeriggio viene Orban qui chiedete a lui perchè non ha seguito Salvini ed è rimasto nel Ppe. La Lega si è ritrovata completamente isolata, ed era quello che io intuivo anche allora. L’Italia, a partire dai temi dell’immigrazione, raramente è stata supportata dai Paesi del patto di Visegrad“.
Sui migranti, quindi, la politica resta quella improntata nei primi giorni del Conte bis: porti aperti ma con una redistribuzione migliore dei naufraghi: “La linea dura è un interesse di tutti in Europa”, assicura, “Come anche la redistribuzione, si accettano cose belle e meno belle. Serve un meccanismo automatico europeo che si applichi subito. Non ho mutato idea su questo punto: non ho detto che oggi in Italia entra chiunque.
Ormai hanno capito che l’Italia non accetterà più i migranti come in passato e non se li terrà da sola sul territorio“. Poco importa che l’accordo con Francia e Germania riguardi in realtà solo quelli con diritto d’asilo e non i migranti economici (e che l’onere della prova spetterà con tutta probabilità all’Italia: lunedì il premier sarà a Malta per firmare l’intesa.
Qualche stoccata anche a Matteo Renzi che però “non ha motivo di credere” sia una sorta di demolition man. Ma traspare tutta l’amarezza per una scissione avvenuta solo a governo formato: “Con lui sono stato molto chiaro, se mi avesse chiamato prima, perchè è evidente la aveva maturata almeno qualche giorno prima la sua scelta, io avrei preteso che l’interlocuzione avvenisse anche con il suo gruppo“, spiega Conte.
Il premier ha anche tenuto a smentire l’idea che possa essere vicino ai dem fin da prima della nascita del nuovo esecutico: “Il Pd non lo ho mai frequentato”, sottolinea, “Non ho mai avuto una tessera né partecipato ad un convegno. La mia formazione è il cattolicesimo democratico, un centro che guarda a sinistra”.
Ventimiglia, senza Salvini i respingimenti dalla Francia sono passati da 10 a 100 al giorno. L’accusa della polizia
“È giusto chiedersi come sia possibile che dopo solo pochi giorni dall’insediamento del nuovo Governo Contebis a Ventimiglia i respingimenti al confine francese si siano decuplicati (in media sono passati da 10 a 100 al giorno).
È giusto chiedersi come mai e da dove sono spuntati moltissimi migranti sul territorio Ligure, visto che improvvisamente a Ventimiglia ci sono di nuovo migranti ovunque e che ovviamente non possono essere quelli sbarcati nell’arco di pochi giorni. È giusto chiedersi se esiste in Liguria chi è in grado di lavorare nell’ombra per condizionare fenomeni sociali che si ripercuotono sulla sicurezza del territorio”. Queste sono alcune domande poste dal SIAP (Sindacato Italiano Appartenenti Polizia) di Genova a seguito del cambiamento di situazione nella città di Confine.
“Occorre indagare seriamente ed in profondità – spiega il segretario Roberto Traverso – su un territorio dove le Forze dell’Ordine sono impiegate per scortare le processioni religiose in odore di mafia ma come denuncia il SIAP da tempo i numeri di Poliziotti impiegati per l’attività investigativa anche a supporto della D.I.A. è assolutamente insufficiente”.
La realtà è questa: a Ventimiglia dopo una surreale calma piatta terminata con la caduta del primo Governo Conte si è magicamente ripresentato lo scenario critico di mesi e mesi fa ed i Poliziotti che lavorano a Ventimiglia (Frontiera, Commissariato, Polfer, Reparto Prevenzione Crimine, Reparto Mobile, Questura, Stradale, Scientifica ect..) si trovano alle prese con criticità di ordine e sicurezza pubblica molto delicate… mentre sul fronte investigativo le risorse, come suddetto, non ci sono”.
“Poliziotti, che hanno atteso invano il realizzarsi di promesse elettorali fatte, da parte di chi è andato in Parlamento su aumenti di stipendi mirabolanti, e che invece ad oggi stanno ancora aspettando il pagamento delle ore di straordinario lavorate da circa 20 mesi (Gennaio 2018). I Poliziotti – conclude Traverso – hanno bisogno di certezze per garantire sicurezza democratica e non promesse demagogiche”
Choc a Milano: nigeriano ferisce alla gola una giovane donna incinta. Era stato scarcerato da pochissimo
Milano, giovane incinta ferita alla gola in via Arcivescovo Calabiana. A Milano una ragazza è stata colpita con un coccio di bottiglia alla gola: arrestato un uomo 33enne.
La giovane, in attesa di un bambino, era cosciente al momento dell’arrivo dei soccorsi e non sarebbe in pericolo di vita. La ragazza, nigeriana di 25 anni, è stata aggredita in via Arcivescovo Calabiana.
E’ successo tutto intorno alle 21. La giovane è stata subito soccorsa dal personale del 118 arrivato con ambulanza e automedica in codice rosso. E’ stata trasportata all’ospedale San Paolo. La polizia poco dopo ha bloccato un connazionale, con la quale la giovane aveva litigato prima di essere accoltellata: i due si conoscevano da tempo.
Gli agenti delle volanti sono intervenuti mentre l’uomo era ancora lì vicino alla ragazza: stava strappando la carta d’identità della donna. Era stato scarcerato da pochissimo e in passato era stato ospite del dormitorio pubblico di viale Ortles, non lontano dal luogo dell’aggressione.
Pedofilia, inchiesta choc in Vaticano: bambini abusati persino nella sacrestia della basilica di San Pietro
CITTÀ DEL VATICANO Persino nella sacrestia della basilica di San Pietro. Persino lì, in quel luogo sacro e inviolabile, sarebbero avvenuti degli abusi sessuali tra due ragazzi quasi coetanei, entrambi ex studenti al pio collegio Opera di Don Folci, il pre-seminario vaticano, situato a due passi da Santa Marta, finito al centro di due differenti inchieste, una vaticana e l’altra avviata dalla Procura di Roma.
Dagli elementi in mano ai magistrati italiani si fa riferimento a reati continuati relativi a violenze che si sarebbero sviluppate in un tempo ampio, attraverso imposizioni, abuso d’autorità, costrizioni, sudditanza psicologica tali da rendere la vittima – L.G. – impossibilitata a reagire con forza e autonomia.
LA STRUTTURA EDUCATIVAAd aggravare il quadro di tormento ci sarebbe stata anche la condizione di libertà limitata della vittima, visto che la struttura educativa è una specie di convitto in cui tante famiglie (soprattutto del Nord Italia) mandano i propri figli in modo che possano frequentare gratuitamente il San Pio X, uno dei licei privati più prestigiosi di Roma. Ogni mattina i ragazzi escono per le lezioni e rientrano di pomeriggio varcando il confine di Stato – per studiare, partecipare alle funzioni liturgiche del Papa e coltivare la eventuale futura vocazione sacerdotale.
È in questa cornice, evidentemente sotto uno scarso controllo, che sono andate a svilupparsi amicizie morbose, legami malati e quasi patologici sfuggiti di mano agli educatori che non sono riusciti a riportare alla normalità. L’allora rettore del pre seminario, monsignor Enrico Radice, viene ritenuto responsabile di omissioni proprio per non aver fermato quelle violenze. Si parla anche di rapporti completi tra adolescenti.
Quattro giorni fa il tribunale vaticano ha chiesto il rinvio a giudizio di due preti, don Gabriele Martinelli, il presunto abusatore, all’epoca dei fatti era ancora studente, oggi sacerdote ammesso ai sacri ordini e consacrato dalle autorità ecclesiali; e don Radice. Entrambi erano stati ascoltati nei giorni scorsi. La settimana prima, invece, con una contemporaneità che forse potrebbe spiegare l’annuncio del Vaticano, la magistratura italiana ha effettuato una perquisizione nella casa di don Martinelli, in un paesino del comasco, per prelevare messaggi e conversazioni utili al caso, file audio, video, e documenti cartacei.
Non solo. La Procura di Roma ha anche inoltrato la domanda di rogatoria internazionale in Vaticano ai fini di un processo in Italia. I reati contestati sono pesanti. Violenza continuata e abuso di autorità contestati nel periodo in cui Martinelli è maggiorenne, mentre gli altri episodi relativi a quando era minorenne sono stati stralciati e inviati alla Procura dei minori.
Si è trattato «di un disegno criminoso» che portava Martinelli, all’epoca minore ad esigere dalla vittima, suo coetaneo di sei mesi più giovane, «prestazioni sessuali, in più occasioni, con una media di due volte la settimana, iniziando le condotte fin dal primo settembre 2006; fatti per i quali procede la Procura». Gli episodi sarebbero avvenuti all’interno del pre seminario e nelle aree limitrofe «in particolare nelle camerate, nella camera singola di Martinelli, nonché in altri luoghi dentro la Città del Vaticano, tra cui la sacrestia della basilica di San Pietro».
Il quadro complessivo che sembra affiorare dalle carte e da diverse testimonianze, a proposito dell’ambiente circostante al convitto dei chierichetti, mostra di avere una dinamica non sempre lineare, come del resto provano anche alcune lettere anonime e ricattatorie che arrivarono in Segreteria di Stato già nel 2012 per descrivere comportamenti immorali e una sorta di giro gay parallelo che gravitava su San Pietro, e che difficilmente si concilia con un ambiente sacro. Per i magistrati italiani si tratta ora di ricostruire quelle relazioni e non sarà facile. L’omertà sembra contrassegnare la vita interna, così come la scarsa trasparenza.
UN ALTRO ALLIEVOI vertici dell’istituto Don Folci, tuttavia, hanno sempre smentito con forza che vi siano stati abusi sessuali di qualsiasi natura all’interno, minimizzando e sconfessando anche le dichiarazioni di un altro allievo coinvolto, Kamil Jarembowki. Questo ragazzo entrato nel preseminario nel 2009 all’età di 13 anni venne allontanato per comportamenti immorali nel 2013. Fuggì dal preseminario per raggiungere un amico in Veneto, un altro ex alunno, per poi essere riammesso nella scuola previo impegno a mantenere fede alla vita comunitaria.
È lui ad avere parlato con Gianluigi Nuzzi, il primo ad avere raccolto la testimonianza di Kamil che ha dato il via a tutto il filone di inchiesta. Due anni fa in Vaticano ci fu una riunione piuttosto burrascosa in cui si decise se procedere o meno per diffamazione contro Nuzzi per la pubblicazione del libro. Ma memori dei problemi che avevano dato i due processi precedenti di Vatileaks 1 e Vatileaks 2 si decise di lasciare correre. Adesso però i nodi sembrano essere arrivati al pettine.
Sandro Gozi su Italia Viva: "Emmanuel Macron il nostro riferimento"
Tra chi ha seguito Matteo Renzi nel suo addio al Pd e nel lancio di Italia Viva c'è anche Sandro Gozi. Sottosegretario nei governi di Renzi e Gentiloni, attualmente consigliere agli Affari Ue di Emmanuel Macron - questione assai dibattuta e che ha sollevato grande scandalo -,
Gozi si confessa in un'intervista a Repubblica. Colloquio nel quale dice chiaro e tondo che a livello europeo Italia Viva guarda proprio a Macron come leader politico europeo per rilanciare l'Unione. Al di là del macroscopico conflitto di interessi, stupisce come Italia Viva scelga da subito di sposare una delle linee più impopolari in tutta Italia: "corteggiare" il galletto Macron. Contenti loro...
Nell'intervista, Gozi, risponde a Romano Prodi, che sempre su Repubblica aveva definito il nuovo partitino "come uno yogurt", ossia con data di scadenza a brevissimo termine. "Lo yogurt mi piace moltissimo - risponde beffardo -. Poi il nostro è 4.0, un nuovo prodotto a scadenza lunghissima". Quindi viene chiesto a Sandro Gozi come si collocherà Italia Viva in Europa: "En Marche è il nostro alleato naturale ed è chiaro che con il partito di Macron creeremo un'alleanza politica ancor più stretta - conferma -.
Io sono stato eletto in Europa con En Marche e il mio gruppo a Strasburgo è già Renew Europe. Italia Viva deciderà dopo la Leopolda la sua collocazione europea", ha aggiunto. Una strada perfetta, quella delineata da Gozi, per raccogliere infinitesimali percentuali di consenso.
Matteo Renzi, il sondaggio-Pagnoncelli boccia Italia Viva: quanto vale, quanti voti ruba al Pd
Puntuale, come quasi ogni sabato, sulle colonne del Corriere della Sera ecco far capolino l'attesissimo sondaggio firmato da Nando Pagnoncelli. Va da sé, in una settimana come questa i riflettori di Ipsos sono puntati in primis su Matteo Renzi e sulla sua Italia Viva, la nuova formazione politica nata in seguito alla scissione dal Pd con la creazione di gruppi autonomi a Camera e Senato.
"Non saremo un partitino", ha assicurato Maria Elena Boschi, esponente di spicco della nuova formazione, in un'intervista concessa sempre al Corriere della Sera. Eppure, ad oggi, le dimensioni di Italia Viva sono proprio quelle, di un partitino che non sembra godere granché dell'effetto-novità che, solitamente, aiuta le novità. Parola dunque alle cifre.
Secondo Pagnoncelli, il partito di Renzi oggi è al 4,4 per cento. Poca, pochissima roba. Dunque la rilevazione mette in luce da dove arrivino questi voti: per il 64% da ex elettori Pd, per il 12% dai partiti di centrodestra (Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia), per il 6% da altre liste di centrosinistra, per un altro 6% da altre liste extra-sinistra e infine per il 12% da chi si diceva indeciso o astenuto. Ma vi sono altre pessime notizie per il fu rottamatore, altri numeri destinati a farlo riflettere.
Ipsos ha chiesto al campione che giudizio dà alla scelta di Renzi di uscire dal partito per fondarsene uno suo. Giudizio negativo per il 52% del campione totale, positivo per il 28% mentre il restante 20% non indica. E colpisce come il 64% degli elettori Pd giudichi negativamente la mossa, quasi come gli elettori M5s, che bocciano la scissione al 65 per cento. Gli elettori leghisti al 51% si esprimono negativamente sullo strappo, percentuale che scende al 50% tra elettori di Forza Italia e Fratelli d'Italia. Insomma, per Matteo Renzi una bocciatura a tutto tondo. La sua strada appare davvero in salita.
Il Pd con Salvini: tradimento a Di Maio? Zingaretti, la mossa che può far saltare tutto
Nicola Zingaretti potrebbe tradire a breve l'alleato grillino. Sulla legge elettorale infatti il Pd troverà sicuramente molta più sintonia fuori dalla maggioranza.
"Basta che non facciano il proporzionale, noi collaboriamo", ha detto Giancarlo Giorgetti sul palco della Festa di Fratelli d'Italia, ad Atreju prima di iniziare il dibattito col capogruppo Pd, Graziano Delrio.
Che davanti al pubblico dichiara: "Nel programma di governo non c'è il ritorno al proporzionale. C'è solo scritto che servono garanzie costituzionali per la rappresentanza". Con il proporzionale - sottolinea il Fatto Quotidiano - si punta a un'alleanza post-elettorale, mentre il maggioritario premia le coalizioni (e penalizza i piccoli partiti).
Per questo è chiaro che la Lega, forte nei sondaggi e nella possibilità di fare una coalizione (con Forza Italia e Fratelli d'Italia) punta al maggioritario.
Idem per i fondatori del Pd, Walter Veltroni e Romano Prodi, che sono più volte intervenuti per dire che il maggioritario è dentro il dna dei Democratici.
Di diverso parere Cinque Stelle e il neonato Italia Viva, entrambi godono di bassi consensi e il maggioritario sarebbe un suicidio.
Vittorio Feltri e il retroscena sul "no" all'arresto di Sozzani: "La prova del fatto che Renzi sbranerà Conte"
In teoria doveva essere il governo della rappacificazione, della concordia, dei toni bassi. Invece a una settimana dal varo, esso si annuncia tra i più litigiosi della storia repubblicana. Si trattava di votare sul richiesto arresto di Sozzani, nomen omen, e i 5 Stelle e il Pd si erano dichiarati in anticipo favorevoli all' ingabbiamento del parlamentare di Forza Italia, pare colpevole di aver ricevuto 10 mila euro di finanziamento elettorale illecito.
Al momento della conta, viceversa, 74 giustizialisti sono mancati all' appello e l' uomo politico in questione non è stato posto ai domiciliari. Segno che la nuova squinternata maggioranza non ha una linea comune. Della cosa ci rallegriamo poiché troviamo assurdo privare della libertà un signore, fosse anche colpevole, prima di essere processato e condannato.
La gente, di qualunque tipo, non va punita se non dopo sia stata dimostrata con regolare processo la sua partecipazione a un reato. In Italia chissà perché si mette ai ceppi perfino chi sia solo sospettato di aver violato la legge. Peggio. Basta ricevere un avviso di garanzia (che per definizione dovrebbe garantire il presunto reo da abusi e strumentalizzazioni) per essere sputtanato a vita, esposto al pubblico ludibrio.
Praticamente tale garanzia si trasforma automaticamente in sentenza di condanna definitiva. Se questo non è anticostituzionale ci domandiamo a che serva la Carta se non viene osservata con scrupolo. Noi non conosciamo Sozzani, ma ci sembra ovvio che un gruppo di rappresentanti del popolo, dissociandosi dalla coalizione, lo abbia difeso.
Anche se ciò dimostra in modo inequivocabile che l' esecutivo si regge su una armata brancaleone incapace di intendersi su un principio fondamentale: il diritto di qualunque cittadino di essere giudicato in tribunale e poi, eventualmente, incarcerato. Va da sé che il gabinetto Conte è partito col piede sbagliato ponendo le premesse per essere sbranato da Renzi, l' unico dotato di un minimo di senno. Non osiamo fare pronostici sulla durata dei giallorossi, tuttavia se il buongiorno si vede dal mattino, vediamo soltanto nuvole nere.
E non ce ne doliamo. Cari politici andate tutti a casa, e portateci a votare come avviene in ogni paese democratico che non tema il suffragio universale.
"Presidente, ci salvi da questo collage demenziale". Farina, il disperato appello a Mattarella
Gli ultimi accadimenti sul fronte di governo e maggioranza hanno sconcertato gli italiani a prescindere dai voti che esprimerebbero se gli fosse consentito. Persino a sinistra e tra i grillini, salvo chi si è spartito la torta del potere e i loro parenti stretti, adesso vedrebbero le elezioni come una liberazione. Tutti sconcertati e scontenti? Tutti no, tutti meno uno, a quanto pare: il presidente della Repubblica. Perché Sergio Mattarella lascia fare, e anzi si mostra seraficamente accondiscendente di fronte allo spettacolo da suburra che in fin dei conti coinvolge anche la massima istituzione? Non lo capiamo più.
La Stampa, non smentita, dice che il capo dello Stato ha invitato il premier titubante «a non drammatizzare». Quando infatti Giuseppe Conte, meno impomatato del solito e forse con la pochette lievemente scomposta, si è recato al Quirinale sicuro di trovarsi davanti un Mattarella trasformato in Gorgone, con la canuta chioma ritta come una foresta di serpenti a sonagli, si è trovato invece di fronte un cherubino.
Ma come? Renzi scotenna con nostro giubilo Zingaretti, gli taglia anche un braccio e fa uno scisma, e l' ordine è di «sdrammatizzare»? La condizione dichiarata dal capo dello Stato per lasciar tentare l' esperimento di una nuova maggioranza contro natura era stata la garanzia di stabilità, o ce lo siamo sognati? Bisognava perciò sostituire alla precarietà del contratto giallo-verde, una fusione di intendimenti, un' alleanza vera e propria tra fratelli. Non ha detto fratelli coltelli. O sì, e non avevamo capito?
INSIEME CON LO SCOTCHEd ecco che a Conte, pallido come un cencio, Mattarella ha regalato un altro pezzo di scotch per tenere insieme l' accozzaglia non più solo giallo-rossa ma anche rosa shocking a causa dell' aggiunta renziana. Un risotto di colori che se provate a mescolarli danno per esito quello che in Lombardia si chiama «trasù de ciòc», cioè vomito di ubriachi. Il dovere che Sergio Mattarella si sentiva addosso di lasciar verificare alle forze politiche la possibilità di una nuova maggioranza aveva un fondamento costituzionale.
La nostra infatti è una democrazia parlamentare. Brutta finché si vuole, ma queste sono le sue regole. Esiste però un limite non scritto, ma che inerisce l' essenza stessa del decoro pubblico, come dice l' articolo 54 della Costituzione medesima. È vero infatti che la nuova maggioranza vuole abrogare i confini, ma forse non avevano avvertito il capo dello Stato che nel concetto fosse compresa anche la frontiera della decenza. Al Quirinale risiede una grande personalità saggia e sensibile, come è universalmente acclarato, e non saremo certo noi a spezzare l' armonia del coro universale. Figuriamoci se abbiamo la pretesa di insegnare alcunché a Sergio Mattarella, ma riteniamo sia dover nostro di riferirgli l' immenso disagio che i fatti recenti hanno seminato trasformando in generale quello che pareva essere un' amarezza confinata nell' ambito degli esclusi dal Conte bis.
Siamo avvantaggiati, ci rendiamo conto, dal fatto di frequentare il bar per il caffè e di salire sui tram, cosa che ci imbeve degli umori che stiamo raccontando. Questo soprattutto dopo che mercoledì c' è stata una rottura clamorosa alla Camera a proposito del rifiuto della maggioranza dei deputati di voler consegnare agli arresti domiciliari l' onorevole Diego Sozzani di Forza Italia. I Cinque Stelle e il Partito democratico si erano accordati per farlo ammanettare, nonostante fosse un provvedimento vessatorio, oltretutto basato su intercettazioni furbescamente dichiarate casuali per aggirare la legge (un parlamentare non può essere, piaccia o no, intercettato, secondo Costituzione). Con ogni evidenza i renziani e altri loro affiliati presenti tra i dem, hanno rotto l' accordo.
SI CHIAMA DEMOCRAZIAÈ stato detto minimizzando: non è una questione di politica ma un affare di coscienza. Ma la coscienza - e Mattarella potrebbe tenerci una lezione al riguardo - è ciò che dà forma alla politica, individua l' ideale e lo rende concreto. Ora è chiaro che su un tema decisivo come la giustizia la maggioranza non esiste, o almeno non è quella che regge il governo Conte-bis. Ora vogliamo escludere un Conte-tris che raduni centro-destra più renziani.
Credo che quanto a duttilità la democrzia parlamentare abbia già dato abbastanza. Ecco, non restano che elezioni. Presto. L' unico motivo che - a detta del medesimo Renzi - giustifica il perdurare di questo collage demenziale che ci governa è di resistere fino all' elezione del prossimo capo dello Stato. E capiamo che esistano ragioni inconsce di benevolenza verso chi ti ha scelto e ti ha fatto ascendere al Quirinale. Ma questo vale una volta, due no. Elezioni per favore. Si chiama democrazia parlamentare non democrazia goliardica.
Senza Salvini sono sbarcati 1.435 clandestini in 18 giorni: così grazie a PD e M5S i trafficanti tornano a fare affari
I numeri parlano chiaro. I primi ad approfittare dell’addio di Matteo Salvini e dell’arrivo del governo giallorosso pronto a riaprire i porti a Ong e migranti sono i trafficanti di uomini. Le prove della nuova cinica cuccagna arrivano da quello stesso ministero dell’Interno chiamato a garantire una netta «discontinuità» con l’era Salvini. Un obbiettivo raggiunto con tempestività a dir poco sconfortante. I 1.435 sbarchi contati nei primi 18 giorni di questo mese superano di gran lunga i 947 arrivi del settembre 2018 e segnano la prima drastica inversione di tendenza nell’arco di quasi 18 mesi.
Ma cosa rende possibile un effetto così rapido e immediato? La risposta è semplice. Il principale incentivo all’attività dei trafficanti è la possibilità di garantire ai loro clienti il superamento dell’«ultimo miglio» ovvero di quel tratto di mare dove, esauritasi l’autonomia di gommoni e barchini, il migrante ha disperatamente bisogno di qualcuno pronto a soccorrerlo. Le cronache del traffico di umani dalla Libia insegnano che solo quella certezza garantisce lauti affari ai trafficanti. È così alla fine del 2013 quando la missione Mare Nostrum attira sulle coste libiche decine di migliaia di disperati in poche settimane.
Continua a esser così negli anni successivi quando a sostenere e incentivare l’effetto calamita ci pensano la missione Sophia e le navi delle Ong. Proprio per questo il principale impegno di Marco Minniti prima e di Matteo Salvini poi è cancellare la certezza dell’ultimo miglio. Per riuscirci Minniti finanzia e incoraggia la nascita della Guardia Costiera e il riconoscimento di una Sar (Search and Rescue Area Zona di salvataggio) libica dove il salvataggio dei migranti si concluda con il ritorno alla casella di partenza. Assicurare la salvezza escludendo la possibilità di raggiungere l’Italia è già di per sé sufficiente a disincentivare le partenze. Anche perché in alcuni casi il ritorno coincide con la ricaduta nell’inferno dei campi di detenzione gestiti dalle milizie.
Contemporaneamente Minniti inizia però quell’operazione di contrasto alle Ong sospettate di precisa connivenza con i trafficanti. Un’operazione resa ancor più radicale da Salvini grazie alla chiusura dei porti e all’imposizione di multe e sequestri delle navi.
Tutto questo non fa però sparire le organizzazioni criminali. Bloccati dalla cancellazione dell’ultimo miglio, sopravvivono dedicandosi allo sfruttamento dei migranti mantenuti sotto il proprio controllo. A regalar loro la prospettiva di un nuovo Bengodi ci pensa oggi il governo giallorosso. Se nell’ottica del nuovo esecutivo la Guardia Costiera di Tripoli non è più un prezioso alleato, ma una complice delle peggiori milizie, allora anche la missione navale italiana incaricata di garantire l’efficienza delle sue motovedette finisce con il perdere mordente rendendone più aleatoria l’operatività. Dall’altra parte il cambio di atteggiamento nei confronti delle Ong, con cui molti esponenti di Pd e 5 Stelle sono ansiosi di tornare a flirtare, fa intravvedere a milizie e organizzazioni criminali l’opportunità di nuovi lucrosi affari.
A tutto questo va aggiunto il ruolo assunto in questi cinque mesi di guerra con il nemico Haftar da una Turchia che, grazie anche alle ingenti quantità di armamenti sbarcati a Tripoli, s’è imposta come il principale alleato militare e commerciale del governo di Fayez Serraj. Un governo che a questo punto può anche permettersi di non rispettare gli impegni assunti con Roma e ritornare agli antichi patteggiamenti e compromessi con milizie e organizzazioni criminali.
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