venerdì 20 settembre 2019

“Ora parliamo del sindaco PD di Bibbiano”: Borgonovo asfalta Boldrini che rimane pietrificata


Uno scontro durissimo quello tra Laura Boldrini e Francesco Borgonovo a Piazza Pulita, condotta da Corrado Formigli su La7. L’ex presidente della Camera, recitando sempre lo stesso copione, attacca Matteo Salvini perché «non ha preso le distanze da Savoini» sul caso Russiagate.

Ma il giornalista replica in diretta: «Dirò una cosa populista, ma come il Pd non ha preso distanze da vicende orribili che accadono da mesi in Emilia Romagna…». Il riferimento a Bibbiano manda in tilt la Boldrini. Prima resta quasi a bocca aperta, sembra pietrificata.

Poi tenta una difesa del Pd, «ha chiarito, non è coinvolto». E Borgonovo le risponde con un secco «ma come non è coinvolto». Per quella orribile vicenda dei bambini tolti alle famiglie, «è indagato anche un sindaco del Pd». La Boldrini viene saltata dal suono del gong.
Non solo Piazza Pulita, innumerevoli gli scontri
La Boldrini soffre di “salvinite”. Numerosi gli attacchi al leader della Lega (puntualmente rispediti al mittente). Ultimamente ecco cosa ha scritto su Twitter rivolta a Salvini: «Non sono mai stata al governo e non tratto poltrone.

Ma, poi, di poltrone proprio tu parli? Sei da 26 anni in politica a fare inciuci, da sempre mantenuto coi soldi degli italiani. Comunque hai l’aria stanca e poco lucida, prova a chiudere Facebook e a farti una passeggiata». Precedentemente lo stesso Salvini era andato all’attacco.

«Non possiamo, senza una insopportabile contraddizione, offrire servizi di lusso ai turisti, e poi trattare in modo a volte inaccettabile i migranti che giungono in Italia. Così ha parlato Laura Boldrini. Quindi hotel di lusso per tutti i clandestini? Boldrini clandestina: è una vergogna per l’Italia».

Conte dai “compagni” di LeU getta la maschera: “Sono sempre stato contrario alla politica dei porti chiusi”


Roma, 20 set – Il premier Giuseppe Conte, ospite della festa di Articolo 1 (i “compagni” di LeU), ci tiene a precisare che è sempre stato contrario alla politica dei porti chiusi del precedente governo (sempre da lui presieduto).

“Quando ho parlato di immigrazione non ho mai accettato la formula riduttiva di ‘porti aperti e porti chiusi’ e ho sempre ragionato di rispetto dei diritti fondamentali”. Così Conte, intervistato ieri da Enrico Mentana sul palco di “#Unica” a Roma.

Insomma, a sentire il premier, l’azione di governo impostata sulla linea dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, per cui i porti erano chiusi all’immigrazione irregolare e alle navi Ong, l’ex “avvocato del popolo” l’avrebbe accettata obtorto collo, perché lui è per l’accoglienza. Una spiegazione plausibile visto che poco dopo Conte si è detto fiducioso dei rapporti con il Pd e che si trova bene nella nuova maggioranza giallofucsia.

Un ritorno a casa (più a sinistra), insomma. Infatti, alla domanda se il governo che presiede può definirsi di centro-sinistra, Conte risponde: “Diciamo che è un governo, di movimento di centro-sinistra. Lo dico per rispetto al Movimento (il M5S, ndr), che è proiettato in termini post-ideologici, non è un partito ed è un movimento”.
“Della scissione di Renzi mi hanno sorpreso i tempi”
Della scissione dal Pd, il presidente del Consiglio riconosce che “era nell’aria, se n’era parlato. Mi hanno sorpreso i tempi, e l’ho detto francamente a Renzi. Nel momento in cui un presidente incaricato in riserva deve scioglierla è bene che abbia piena contezza di come si predispongono le forze di governo. Se avessi saputo della decisione, lo dico anche nell’interesse del gruppo che si è formato, avrei preteso e voluto un’interlocuzione diretta con il gruppo stesso”, spiega il premier assicurando però che “non è venuta meno la sostenibilità del progetto” di governo.

Questo forse perché Conte si fida di Renzi quando dice che continuerà a sostenerlo, con i voti di Italia Viva in Senato (senza i quali il governo resterebbe senza maggioranza). Oppure perché sa che ora il patto è che il suo esecutivo non deve proporre nulla che non sia di gradimento dell’ex segretario del Pd. Per cui, in risposta alle accuse di Di Battista, dice: “Io mi fido del Pd perché è una forza che responsabilmente ha deciso di sostenere questa esperienza del governo”.
“Ora con la Ue approccio più coerente”
Con l’addio di Salvini, Conte spiega che l’Italia ha recuperato i buoni rapporti con la Ue. “I rapporti personali sono sempre stati buoni – chiarisce il premier -. Prima chiedevo cortesie personali mentre l’Italia chiedeva solo per sé, oggi si mette tutto in discussione secondo l’approccio Ue. C’è un approccio sistemico, più coerente”.

E sul fronte dell’immigrazione, “oggi la ridistribuzione europea ci viene assicurata subito. Prima passavo le mie giornate a fare telefonate a chiedere cortesie personali, oggi chiedo quello che deve essere fatto per l’Italia”. Insomma, secondo il premier ora l’Italia otterrà giustizia sul fronte della ridistribuzione degli immigrati perché è tornata a rispettare i dettami Ue.

Strane coincidenze: Macron incontra Conte e la procura archivia le inchieste sui respingimenti illegali francesi


Con la riedizione del governo Conte in salsa giallorossa, i rapporti tra Roma e Parigi sembrano più distesi che mai. Il segno plastico di questa inversione di rotta è tutto racchiuso in una stretta di mano al Palazzo Chigi che non è mai stata così amichevole.

Giuseppe Conte ed Emmanuel Macron, che si sono incontrati oggi, sembra abbiano messo da parte ogni ruggine nel nome di un presunto rilancio dell’Europa. Il presidente francese ha parlato di “amicizia indistruttibile” con l’Italia e Conte gli ha fatto eco definendo quella odierna “un’apertura mai avuta prima”.

Un quadretto perfetto e molto distante da quello che si delineava quasi un anno fa. Erano i giorni in cui in Valle di Susa, a Claviere, ultimo avamposto italiano prima del confine francese, un gruppo di migranti venivano scaricati da un’auto della Gendarmerie e invitati a disperdersi nei boschi. Un fatto che l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini definì come “un’offesa senza precedenti al nostro Paese”. Qualche mese dopo, invece, destò clamore e indignazione un altro accadimento: l’irruzione dei doganieri francesi alla stazione di Barondecchia. Lì dove operava la Ong “Rainbow for Africa”. In quell’occasione i transalpini hanno effettuato dei controlli di polizia non autorizzati su un migrante. Da questi avvenimenti sono nate due inchieste.

È di oggi la notiza che la nostra magistratura le ha entrambe archiviate. Un tempismo che non è sfuggito a chi in quelle settimana ci ha messo la faccia per denunciare. Stiamo parlando di Augusta Montaruli e Maurizio Marrone, rispettivamente deputata e capogruppo in Regione Piemonte di Fratelli d’Italia, secondo cui questa sarebbe l’ennesimo schiaffo alla sovranità del Paese. “Proprio nel giorno dell’incontro tra Conte e Macron – denunciano i due – la Procura di Torino annuncia l’archiviazione dei procedimenti penali avviati contro gendarmi e doganieri francesi responsabili di respingimenti illegittimi di immigrati in Italia e operazioni di polizia non autorizzate sul nostro territorio presso la stazione ferroviaria di Bardonecchia”.

Una mossa che, secondo i due, rischia di riportare in auge la prassi del “respingimento selvaggio da parte delle autorità francesi, con immigrati di nuovo abbandonati nei boschi e nelle statali dei paesi italiani di frontiera, con l’inverno alle porte tra l’altro”. E per andare a fondo sulla questione, fanno sapere, “presenteremo un’interrogazione parlamentare” e “un ordine del giorno in Consiglio Regionale del Piemonte affinché la Regione presenti formalmente opposizione all’archiviazione, a tutela dei suoi confini per impedire che le montagne piemontesi diventino un campo profughi grazie all’arroganza francese”.

Conte alla festa (farsa) con D’Alema confessa: “Sono un uomo di sinistra. Mi fido del PD. Mai più con la Lega”


Giuseppe Conte arriva alla festa di Articolo 1 e trova un Massimo D’Alema sorridente e amichevole ad accoglierlo.

 Il suo intervento, sollecitato dalle domande di Enrico Mentana, è tutto politico. Inevitabile un commento sulla scissione renziana: la mossa di Matteo Renzi “era un po’ nell’aria” ma “mi hanno sorpreso i tempi, l’ho detto francamente a Renzi nella telefonata che mi ha fatto.

 E’ bene che un presidente incaricato abbia piena contezza. Se avessi saputo che era una decisione concreta, avrei io stesso preteso una interlocuzione diretta con gli esponenti di questo gruppo”.

Conte conferma tutta l’acredine già mostrata in Parlamento contro Matteo Salvini e ribadisce che il suo “no” alla lega vale all’infinito: “Vorrei ricordare che con la parlamentarizzazione della crisi la Lega ha poi formalmente ritirato la mozione di sfiducia, ha dimostrato di voler proseguire, sono stato io che ho detto: ‘assolutamente no’ perché per me quell’esperienza politica era chiusa”.

Poi spiega che Salvini non lo ha più sentito. “Io faccio il mio lavoro, lui faccia il suo”.

Gli elogi sono tutti per il Pd, che gli consente di governare in un clima che il premier definisce ottimo e privo di personalismi: “Io mi fido del Pd, perché è una forza che responsabilmente ha deciso di partecipare a questo governo per il bene del Paese”.

 Una fiducia, quella verso il Pd, che lo porta a definirsi di sinistra, completando così la sua metamorfosi: “Sono stato sempre molto attento per formazione civica alla vita politica, la mia formazione è di sinistra nel cattolicesimo democratico”.

Anche sulla questione migranti, infine, concede qualcosa alla platea che lo sta ascoltando: non vedo le Ong, afferma, come nemici del popolo. E a quel punto gli applausi se li è meritati tutti.

Inciucio PD-M5S in Umbria, militanti grillini umbri in rivolta: “Siamo pronti alle dimissioni di massa”


Clima incandescente in Umbria per i grillini. M5S in rivolta dopo la mano tesa da Luigi Di Maio al Pd per un “patto civico” in vista delle regionali del 27 ottobre. A pochi giorni dal termine ultimo per la presentazione delle firme, nella chat dei “portavoce” umbri – visionata dall’Adnkronos – spunta addirittura l’idea di dimissioni in massa di tutti gli eletti.

Dopo la rabbia degli elettori, quella dei vertici. A lanciarla, il senatore Stefano Lucidi. «Se avessi in mano 33 lettere di dimissioni potenziali di tutti i portavoce, forse qualche info riuscirei ad ottenerla», scrive il pentastellato, Risponde a chi chiede di alzare la voce per farsi sentire dai vertici. La proposta, che suona come una provocazione, trova l’immediata adesione di Marco Gasperi, consigliere al Comune di Città di Castello. «Per me firmala tranquillamente», fa sapere.
La chat lo dimostra, M5S in rivolta
Non manca chi prende le difese del leader M5S, come il consigliere di Gubbio Rodolfo Rughi: «Massima fiducia in Di Maio». Dalla chat emerge però il malumore diffuso che accomuna i portavoce di tutti i livelli, nazionali, regionali e comunali. «Quindi ci facciamo usare per i loro ca… – scrive la deputata Tiziana Ciprini riferendosi alla trattativa con il Pd – avanti tutta che dal 27 torniamo allo zero virgola».

Giudizi severissimi sulla eventuale candidatura a presidente di Andrea Fora, il nome civico scelto dal Pd prima di aprire il dialogo con i grillini e sul quale sembra esserci anche il veto dei vertici M5S. «È stato scelto a tavolino – accusa, puntando il dito contro i dem, il deputato Filippo Gallinella – senza condivisione ed essendo vicino agli ambienti cattolici pensano che possa portare via qualche voto al centro. L’hanno scelto Verini e la Sereni… e ho detto tutto».
“I tempi sono stretti, bisogna accelerare”
Intanto aleggia, fortissimo, il timore di non riuscire a presentare in tempo la lista: «Stiamo allo stadio meno uno». Tanto che lo stesso Lucidi chiede che fare in caso di mancata presentazione delle liste: «È chiaro che arriveremo al punto in cui sarà troppo tardi», profetizza.

Qualcuno cerca di sdrammatizzare: «Festa coi soldi risparmiati della campagna elettorale dal titolo VaffaDay4», scherza Gallinella. Ed è sempre lui a ironizzare sulla scelta del candidato presidente. A un eletto che fa il nome dell’attrice Monica Bellucci, originaria di Città di Castello, risponde: «Penso l’abbiano chiamata ma la diaria regionale è troppo bassa».
“La rivoluzione gentile è una pagliacciata”
Ma in questo clima teso la voglia di scherzare è poca. Pochi giorni «per la consegna firme e noi siamo lì a mendicare “un nome pulito” ma se dietro c’è una montagna di merda chi se ne frega! – scrive il consigliere comunale di Corciano Mario Ripepi – la rivoluzione gentile è diventata una pagliacciata, ci stiamo rendendo ridicoli al mondo. Senza identità e senza dignità non avremo scampo, anche se il voto lo rimanderemo all’infinito. Al massimo potremo restare ago della bilancia, come minimo uno dei tanti partiti messi lì in un angolo».

Non ci sono dubbi, M5S in rivolta, i vertici non vogliono sentir ragioni. È sempre Ripepi a sferrare un duro attacco sul presunto mancato coinvolgimento dei portavoce nelle scelte dei vertici: «Mi fa specie – scrive – che quattro parlamentari ed oggi un sottosegretario umbri non hanno accesso alle informazioni e non possono nemmeno chiederne ed avvicinarsi a Di Maio. A 9 giorni dalla consegna firme. Ma che roba è questa? Dove siamo finiti?». «Purtroppo qui funziona che chi strilla di più e chi minaccia ottiene delle cose. Vedi presidenze di Commissione Gallo e Morra ma anche ministeri, vedi Castelli e sottosegretari», risponde Lucidi.

Poche ore dopo è lo stesso Lucidi ad aggiornare gli altri portavoce umbri, informandoli di un confronto con lo staff di Di Maio: «Stavolta ci siamo incazzati», assicura. Ma il chiarimento non è sufficiente a placare la tensione, che resta alle stelle. Al punto che una consigliera chiede: «Noi dobbiamo metterci la faccia senza sapere chi sarà il candidato presidente della coalizione e chi sarà in lista? Sempre se si farà». «Purtroppo è così», la replica di Lucidi, che raccoglie un ironico «complimenti».

Indagato il fondatore di Open Alberto Bianchi: ha finanziato Matteo Renzi con ben 6,6 milioni di euro


L’avvocato Alberto Bianchi è indagato dalla procura di Firenze. Secondo fonti giudiziarie sentite dall’agenzia Agi, il 65enne presidente della Fondazione Open, che negli anni passati ha finanziato anche la Leopolda di Matteo Renzi è finito nei guai per “traffico d’influenze illecite” per prestazioni professionali che secondo il suo legale, Antonio D’Avirro, “sono perfettamente legittime”.

 Ieri, però, il procuratore aggiunto Luca Turco ha fatto perquisire lo studio di Firenze per acquisire materiale informatico e diversi faldoni di documenti. “Il mio assistito – ha assicurato D’Avirro – ha messo a disposizione degli inquirenti quanto richiesto: chiarirà al più presto questa vicenda che lo sta profondamente amareggiando”.

Quella dellla bufera giudiziaria su Bianchi è anche, di riflesso, una tegola mediatica “rognosa” per Renzi, proprio perché si infila nel bel mezzo del lancio del partito politico “Italia Viva”.

Open è il think tank renziano che, dal 2012 alla sua recente chiusura, ha raccolto ben 6,6 milioni di euro. Fondi che venivano usati anche per finanziare la Leopolda, il convegno politico ideato da Renzi e Giuseppe Civati nel 2010 e che tuttora si tiene nell’ex stazione di Porta al Prato.

Migranti, gli “affaristi” del Vaticano plaudono ai giallorossi: “Finalmente alle spalle le visioni sovraniste”


C’è soddisfazione in Vaticano dopo il summit tra il presidente Giuseppe Conte e l’inquilino dell’Eliseo Emmanuel Macron. Per l’Osservatore Romano, infatti, l’aria è già cambiata. E in senso positivo. Tanto che, all’interno del commento post incontro, si trova scritto che c’è qualcosa di “evidente”. Un cambiamento ritenuto neccessario. Ossia la “volontà di lasciarsi alle spalle prese di posizione sovraniste”.

Niente più chiusure di sorta, insomma. E, soprattuto, freschezza dialettica tra il Belpaese e il partner transalpino. Soprattutto in materia di accoglienza e immigrazione. Sempre il quotidiano edito dalla Segreteria per la Comunicazione dell Santa Sede, stanto pure a quanto si apprende sull’Adnkronos, ha argomentato in modo più approfondito, rimarcando come “Conte” abbia posto il tema dei migranti al centro delle priorità.

Ma in che modo? Bisogna che il dibattito su questo ambito esca dalla “propaganda anche antieuropea”, ha affermato il presidente del Consiglio, che è tornato quindi su posizioni meno euroscettiche. E il quotidiano vicino al Vaticano non sembra disdegnare. Non è difficile notare, infatti, come l’approccio, dopo la crisi dei gialloverdi innescata da Matteo Salvini e la conseguente nascita dell’esecutivo giallorosso, sia mutato. Giuseppe Conte, adesso, dialoga bene con i cugini d’Oltralpe e con l’inquilino dell’Eliseo.

 Dalle parti di piazza San Pietro hanno rilanciato sul fatto che, quasi come per dire “finalmente”, ora ci siano “visioni più conciliabili in tema di migranti tra Francia e Italia”. Le polemiche sulla gestione dei fenomemi migratori possono essere dimenticate, quindi. Perché il “cambio di rotta” di Giuseppe Conte convince alcuni ambiti ecclesiastici o comunque vicini alla Chiesa cattolica.

Il piano pragmatico, poi, è interessato a sua volta da questa svolta. Tanto che il giornale in oggetto parla pure di un’ulteriore “evidenza”. Quella tesa a far sì che Italia e Francia inizino a concordare “un piano comune”. Il summit di La Valletta, che pure quest’anno sarà centrato sulle migrazioni, è alle porte. Così come L’Osservatore Romano ha segnalato.

L’occasione utile a mostrare al resto del Vecchio Continente come Francia e Italia vadano d’accordo, insomma, è imminente.

Giovane rapper “milanese” massacra di botte un uomo e lo rapina: “Mi servono i soldi per il nuovo disco”


Nei suoi video su Youtube, come sul suo profilo Instagram, si affida al cliché ormai logoro (anche se imprescindibile a quanto pare) del gangster sfacciato che, con pellicce e catene d’oro, se la spassa tra ville, piscine e le immancabili donne allegre. In realtà, anche giustamente in quanto 18enne, vive con la madre.

Ed è dovuto ricorrere a un piccolo quanto brutale crimine per finanziare le sue velleità artistiche. E’ proprio a casa di mamma che martedì gli agenti lo hanno arrestato per una violenta rapina compiuta il 4 agosto scorso alla Comasina, periferia nord di Milano, ai danni di un cinese di 26 anni.

Il rapper Adamo Bara Luxury, italiano di origini uruguaiane, insieme a un complice non ancora maggiorenne, ha aggredito il giovane asiatico per rubargli lo smartphone e del denaro. La scena, come mostrano le immagini delle telecamere di un condominio vicino, è stata terribile: la vittima è stata colpita per ben 25 volte con un pesante gancio di ferro per auto dallo stesso cantante e ha riportato fratture multiple al volto e agli arti. Per entrambi gli aggressori l’accusa è di rapina aggravata in concorso e lesioni aggravate.

Sconcertante e significativa la “spiegazione” che ha provato a fornire il musicista agli agenti che sono andati a prelevarlo due giorni fa: “Avevo bisogno di soldi per comprare la base del mio nuovo singolo”. Insomma, diciamo che il successo per lui è ancora in fase di costruzione.

Eppure, forte probabilmente del mezzo milione di visualizzazioni del suo ultimo video, dei 5mila iscritti al suo canale Youtube e dei 12 mila followers su Instagram, si è pure molto stupito che gli uomini in divisa non lo abbiano riconosciuto. Immaginiamo una replica di questo tipo: “Chi sei? Adamo Bara Luxury? Mecojons…”.

venerdì 23 agosto 2019

La vomitevole ipocrisia di Zingaretti e Di Maio: si sono ricoperti di insulti e infamie, ora inciuciano insieme


Dal diavolo all’acqua santa. In un battibaleno. Senza neanche tanto pudore e con estrema velocità. Pd e M5s, quei due partiti che se ne dicevano peste e corna, Zingaretti e Di Maio, quei due artefici del probabile inciucio che verrà, adesso che l’inizio della trattativa Pd-M5s è diventato ufficiale, vanno a braccetto. Amici mai, per chi si odia come loro. Nemici nemmeno però. Al passato basta dare un colpo di spugna. Almeno fino a quando conviene.

 Il 24 marzo 2013, Luigi Di Maio dichiarava: “Il Movimento è nato in reazione a Pd e Pdl, in reazione al loro modo di fare politica. E oggi propone uno stile nuovo, radicalmente diverso. Nulla a che vedere con inciuci politici o pasticci tecnici. Su questa linea siamo coesi, compatti e motivati, non c’è spazio per scout e agenti di mercato. Non ci spaccheremo, sono pronto a scommettere“.

Oggi queste parole fanno storcere un po’ il naso. Ma senza andare poi così lontano, il leader pentastellato, nel maggio dell’anno scorso, sembrava lapidario: “Se il Pd è ancora Renzi, come ha dimostrato, e dopo che hanno aperto al dialogo al Colle hanno poi chiuso in una trasmissione tv io col Pd non voglio averci mai più nulla a che fare”. Un anno dopo, sembrava ancora più tranchant: “Il Pd è un condominio ed io non ho intenzione di mettermi a discutere con un partito che ha dentro 100 anime che si sono messe subito a litigare prima che chiarissi che la proposta era rivolta alla Lega“. E ancora, nel maggio 2019: “La vera natura del Pd è quella di difendere privilegi e perseguire interessi personali: è per questo che il governo deve andare avanti.

Questa gente che sia Pd o Forza Italia deve stare all’opposizione, perché in maggioranza continuerà a sperperare i nostri soldi per i loro privilegi. Zingaretti sta facendo punteggio in negativo, ne aggiunge un altro dopo la legge Zanda che doveva aumentare gli stipendi ai parlamentari, dopo la legge Zanda che doveva ricostituire i vitalizi, dopo la legge per reintrodurre il finanziamento pubblico ai partiti adesso vota contro il taglio dei parlamentari, è la vera natura del Pd e non mi meraviglia”.

Di Maio tuonava poi così il 16 maggio scorso: “Il Pd in queste settimane si è tenuto il presidente della Regione Calabria, indagato per corruzione su sanità e appalti. In Umbria c’è stato uno scandalo vergognoso e il silenzio di Zingaretti sulle indagini che stanno attraversando il Pd ricorda molto, o peggio ancora, il silenzio di Renzi sulla Boschi.

Il Pd ha cambiato il volto ma non la sua natura. Questo è il partito con cui si sta dicendo in questi giorni che vogliamo fare un’alleanza? Con un partito che è lo stesso partito renziano ma ha solo cambiato il volto. Un partito che si è alleato con Cirino Pomicino in Campania, che sta governando Gela con FI.

Zingaretti, quello del cambiamento?”. Dal canto suo, il diretto interessato del Pd ha sempre ribattuto a tono alle accuse grilline. Qualche esempio? “Di Maio dice che votare per me è votare l’establishment? Un altro manifesto dell’ipocrisia. Uno che a 27 anni faceva il deputato e fa la parte del proletario ha una idea dell’Italia capovolta”, dichiarava il segretario dem.

E poi, giusto per semplificare: Di Maio è “un bugiardo seriale”, “sta bruciando miliardi di euro degli italiani”, “osceno”, “sciacallo che cerca voti”, “pensa prima alle poltrone”, “indecente”, “gioca sulla pelle dei lavoratori” e così via. Offese personali, attacchi e contrattacchi veementi, odio e rancori che tutto lasciavano presagire meno che scoppiasse un amore, seppur condizionato.

Oggi Zingaretti dice che non pone nessun veto su Di Maio e Di Maio ordina ai suoi di intavolare dialogo e trattative. Insomma, c’eravamo tanto odiati ma ora scurdámmoce ‘o ppassato, ché tocca pensare alla poltrona.

Inciucio PD-M5S, il totonomi da film dell’orrore: Fiano agli Interni, Ascani alla “cultura”, Letta e Gentiloni commissari


Roma, 23 ago – Mentre M5S e Pd lavorano all’intesa per dar vita al “governo della poltrona” in modo che sia credibile agli occhi di Mattarella, che ha avvertito le parti che in caso di accordicchio dal respiro corto sarà costretto obtorto collo a sciogliere le Camere, si scatena il totonomi dell’eventuale esecutivo dem-stellato.

Un governo che salvi le poltrone di chi non verrebbe rieletto se si tornasse al voto è a maggior ragione incentrato su chi deve andare a fare cosa, a partire dal premier. Va da sé che i 5 Stelle (primo partito in questo Parlamento pre-boom della Lega, oggi non più rappresentativo della volontà popolare) vorranno piazzare un loro nome sullo scranno più alto di Palazzo Chigi. Ma la vera battaglia è sui ministeri-chiave. E purtroppo, a tal proposito, ne abbiamo lette di aberrazioni che metterebbero seriamente a rischio la tenuta della democrazia in questo Paese. Ma andiamo per ordine.
Chi sarà premier?
Posto che un governo politico dovrebbe avere un presidente del Consiglio politico e non un tecnico o una figura istituzionale, Luigi Di Maio sarebbe il premier perfetto per i 5 Stelle. Il “compagno” Roberto Fico quello per i dem. Ma il capo politico del M5S non sarebbe gradito al Pd, che chiede discontinuità con il governo gialloverde, nei programmi e nei nomi.

E quello del presidente della Camera, il pentastellato più a sinistra di tutti, non è gradito da Di Maio. L’ex premier Giuseppe Conte non è ben visto dai dem per i motivi di cui sopra e appare “dimenticato” dai 5 Stelle. In alternativa a un politico, in questi giorni è spuntato il nome di Marta Cartabia, vicepresidente della Corte Costituzionale molto vicina a Mattarella e Napolitano. La suggestione ruota attorna al fatto che sarebbe il primo premier donna. Il pericolo è che suggellerebbe il patto tra sinistra, “forcaioli” a 5 Stelle e toghe rosse in un governo pericolosamente spostato verso il potere (incontrastato) della magistratura.

Tra gli altri nomi di peso sono stati fatti quelli di Raffaele Cantone, attuale presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, e quello di Mr. Spending Review Carlo Cottarelli, già incaricato da Mattarella nel 2018 di formare un nuovo governo tecnico provvisorio visto che M5S e Lega non trovavano la quadra. Tra i papabili ch’è anche Enrico Giovannini, già presidente dell’Istat e ministro del Lavoro sotto il governo Letta (2013), nonché presidente della commissione, incaricata dal governo Berlusconi prima e Monti poi, di tagliare gli stipendi dei parlamentari. Circola infine anche il nome di Paola Severino, vicepresidente della Luiss, primo ministro donna della Giustizia, che piace anche ai 5 Stelle.
Tra i ministri spunta Fiano all’Interno
Nella squadra di governo invece, circolano i nomi del capo della Polizia Franco Gabrielli (Interno), del procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri (Giustizia), dell’ex numero uno di Equitalia e Agenzia delle entrate Ernesto Ruffini (Fisco/Entrate), dell’europarlamentare dem Roberto Gualtieri (Affari Ue o Economia), della vicepresidente del Pd Anna Ascani (Cultura), dell’antifascista a tempo pieno Emanuele Fiano (Interno), dell’ex consigliere economico di Renzi e Gentiloni Luigi Marattin (Economia) e dello stesso Cantone.
Commissario Ue: in lizza Gentiloni e Enrico Letta
La nuova maggioranza deve sbrigarsi infine a indicare il nome del commissario Uedell’Italia. Secondo fonti parlamentari si starebbe facendo strada l’ipotesi di indicare un ex premier, si fanno i nomi di Paolo Gentiloni e Enrico Letta. Nel totonomi resta, però, sempre il nome del premier dimissionario Giuseppe Conte, che però non può essere nominato dal governo uscente. C’è infine la soluzione del profilo tecnico, come quello di Elisabetta Belloni, Giampiero Massolo o dell’attuale ministro degli Esteri Moavero Milanesi.

Sequestri farsa, ordinanze e strane tempistiche: così la magistratura rossa vuole affondare Salvini e aprire i porti


Sequestri «bluff», tempistiche curiose e le Ong che considerano i giudici italiani come alleata. Qual è il sistema perfetto per fare sbarcare migranti, anche se clandestini, in Italia? Un decreto di sequestro dei pm, che scorta la nave dei talebani dell’accoglienza in porto e fa scendere tutti. Peccato che dopo un po’ l’imbarcazione della Ong viene dissequestrata e torna a recitare lo stesso copione.

Non solo: il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina si perde nei meandri e tempi della giustizia.

E gli estremisti dell’accoglienza, che dovrebbero venire perseguiti, ringraziano, come ha fatto ieri Open Arms con un tweet: «Giorno 1. Quello in cui la giustizia italiana ha restituito alle persone a bordo la loro umanità». La nave della Ong spagnola ha sbarcato 83 migranti grazie al sequestro disposto dalla procura di Agrigento che indaga per omissione e rifiuto di atti di ufficio. Per ora il fascicolo è contro ignoti, ma l’obiettivo è sempre lo stesso, il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che non voleva farli scendere.

Guarda caso la svolta, in punta di diritto, è avvenuta quando la Spagna aveva fatto salpare la nave militare Audax, che in tre giorni sarebbe arrivata a Lampedusa per imbarcare tutti i migranti. Pure la tempistica che coincide con l’apertura ufficiale della crisi di governo è curiosa. E l’ipotesi di reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina passa in secondo piano. Nonostante la capo missione dell’ultima provocazione politica di Open Arms sia Ana Isabel Montes Mier. Il 4 luglio la procura di Ragusa per un caso molto simile del marzo 2018 con la stessa nave e Ong ha chiesto il suo rinvio a giudizio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e «violenza» (morale) per avere obbligato le nostre «autorità a concedere l’approdo in un porto del territorio italiano».

La ciliegina sulla torta della beffa è la dichiarazione di ieri della vice premier spagnola Carmen Calvo: «Open Arms non ha il permesso di salvare» migranti. Per questo motivo rischia una multa di 901mila euro. Il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, è recidivo nel sequestro che fa sbarcare tutti. Il 19 maggio ha fatto entrare in porto con lo stesso metodo nave Sea watch 3 permettendo lo sbarco dei 65 migranti a bordo rimasti in Sicilia e non redistribuiti dall’Europa. Il tutto era avvenuto con il ministro Salvini in diretta su La 7, che continuava a ribadire la chiusura dei porti. La Sea watch 3 viene dissequestrata il 10 giugno e gli irriducibili tedeschi sono di nuovo in mare con la capitana Carola Rackete, che recupera migranti ed entra a forza a Lampedusa. La nave adesso è sotto sequestro, ma non durerà molto. Il primo stop lo aveva subito il 28 gennaio. Tre settimane dopo era di nuovo libera di partire.

Il «bluff» è evidente anche con la Mare Jonio degli estremisti italiani dell’accoglienza bloccata due volte in pochi mesi dalla procura di Patronaggio. Il 12 agosto è arrivato puntuale l’ultimo dissequestro e l’annuncio della Ong, che la nave tornerà in mare nonostante multe e divieti.

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