venerdì 20 settembre 2019
Giovane rapper “milanese” massacra di botte un uomo e lo rapina: “Mi servono i soldi per il nuovo disco”
Nei suoi video su Youtube, come sul suo profilo Instagram, si affida al cliché ormai logoro (anche se imprescindibile a quanto pare) del gangster sfacciato che, con pellicce e catene d’oro, se la spassa tra ville, piscine e le immancabili donne allegre. In realtà, anche giustamente in quanto 18enne, vive con la madre.
Ed è dovuto ricorrere a un piccolo quanto brutale crimine per finanziare le sue velleità artistiche. E’ proprio a casa di mamma che martedì gli agenti lo hanno arrestato per una violenta rapina compiuta il 4 agosto scorso alla Comasina, periferia nord di Milano, ai danni di un cinese di 26 anni.
Il rapper Adamo Bara Luxury, italiano di origini uruguaiane, insieme a un complice non ancora maggiorenne, ha aggredito il giovane asiatico per rubargli lo smartphone e del denaro. La scena, come mostrano le immagini delle telecamere di un condominio vicino, è stata terribile: la vittima è stata colpita per ben 25 volte con un pesante gancio di ferro per auto dallo stesso cantante e ha riportato fratture multiple al volto e agli arti. Per entrambi gli aggressori l’accusa è di rapina aggravata in concorso e lesioni aggravate.
Sconcertante e significativa la “spiegazione” che ha provato a fornire il musicista agli agenti che sono andati a prelevarlo due giorni fa: “Avevo bisogno di soldi per comprare la base del mio nuovo singolo”. Insomma, diciamo che il successo per lui è ancora in fase di costruzione.
Eppure, forte probabilmente del mezzo milione di visualizzazioni del suo ultimo video, dei 5mila iscritti al suo canale Youtube e dei 12 mila followers su Instagram, si è pure molto stupito che gli uomini in divisa non lo abbiano riconosciuto. Immaginiamo una replica di questo tipo: “Chi sei? Adamo Bara Luxury? Mecojons…”.
venerdì 23 agosto 2019
La vomitevole ipocrisia di Zingaretti e Di Maio: si sono ricoperti di insulti e infamie, ora inciuciano insieme
Dal diavolo all’acqua santa. In un battibaleno. Senza neanche tanto pudore e con estrema velocità. Pd e M5s, quei due partiti che se ne dicevano peste e corna, Zingaretti e Di Maio, quei due artefici del probabile inciucio che verrà, adesso che l’inizio della trattativa Pd-M5s è diventato ufficiale, vanno a braccetto. Amici mai, per chi si odia come loro. Nemici nemmeno però. Al passato basta dare un colpo di spugna. Almeno fino a quando conviene.
Il 24 marzo 2013, Luigi Di Maio dichiarava: “Il Movimento è nato in reazione a Pd e Pdl, in reazione al loro modo di fare politica. E oggi propone uno stile nuovo, radicalmente diverso. Nulla a che vedere con inciuci politici o pasticci tecnici. Su questa linea siamo coesi, compatti e motivati, non c’è spazio per scout e agenti di mercato. Non ci spaccheremo, sono pronto a scommettere“.
Oggi queste parole fanno storcere un po’ il naso. Ma senza andare poi così lontano, il leader pentastellato, nel maggio dell’anno scorso, sembrava lapidario: “Se il Pd è ancora Renzi, come ha dimostrato, e dopo che hanno aperto al dialogo al Colle hanno poi chiuso in una trasmissione tv io col Pd non voglio averci mai più nulla a che fare”. Un anno dopo, sembrava ancora più tranchant: “Il Pd è un condominio ed io non ho intenzione di mettermi a discutere con un partito che ha dentro 100 anime che si sono messe subito a litigare prima che chiarissi che la proposta era rivolta alla Lega“. E ancora, nel maggio 2019: “La vera natura del Pd è quella di difendere privilegi e perseguire interessi personali: è per questo che il governo deve andare avanti.
Questa gente che sia Pd o Forza Italia deve stare all’opposizione, perché in maggioranza continuerà a sperperare i nostri soldi per i loro privilegi. Zingaretti sta facendo punteggio in negativo, ne aggiunge un altro dopo la legge Zanda che doveva aumentare gli stipendi ai parlamentari, dopo la legge Zanda che doveva ricostituire i vitalizi, dopo la legge per reintrodurre il finanziamento pubblico ai partiti adesso vota contro il taglio dei parlamentari, è la vera natura del Pd e non mi meraviglia”.
Di Maio tuonava poi così il 16 maggio scorso: “Il Pd in queste settimane si è tenuto il presidente della Regione Calabria, indagato per corruzione su sanità e appalti. In Umbria c’è stato uno scandalo vergognoso e il silenzio di Zingaretti sulle indagini che stanno attraversando il Pd ricorda molto, o peggio ancora, il silenzio di Renzi sulla Boschi.
Il Pd ha cambiato il volto ma non la sua natura. Questo è il partito con cui si sta dicendo in questi giorni che vogliamo fare un’alleanza? Con un partito che è lo stesso partito renziano ma ha solo cambiato il volto. Un partito che si è alleato con Cirino Pomicino in Campania, che sta governando Gela con FI.
Zingaretti, quello del cambiamento?”. Dal canto suo, il diretto interessato del Pd ha sempre ribattuto a tono alle accuse grilline. Qualche esempio? “Di Maio dice che votare per me è votare l’establishment? Un altro manifesto dell’ipocrisia. Uno che a 27 anni faceva il deputato e fa la parte del proletario ha una idea dell’Italia capovolta”, dichiarava il segretario dem.
E poi, giusto per semplificare: Di Maio è “un bugiardo seriale”, “sta bruciando miliardi di euro degli italiani”, “osceno”, “sciacallo che cerca voti”, “pensa prima alle poltrone”, “indecente”, “gioca sulla pelle dei lavoratori” e così via. Offese personali, attacchi e contrattacchi veementi, odio e rancori che tutto lasciavano presagire meno che scoppiasse un amore, seppur condizionato.
Oggi Zingaretti dice che non pone nessun veto su Di Maio e Di Maio ordina ai suoi di intavolare dialogo e trattative. Insomma, c’eravamo tanto odiati ma ora scurdámmoce ‘o ppassato, ché tocca pensare alla poltrona.
Inciucio PD-M5S, il totonomi da film dell’orrore: Fiano agli Interni, Ascani alla “cultura”, Letta e Gentiloni commissari
Roma, 23 ago – Mentre M5S e Pd lavorano all’intesa per dar vita al “governo della poltrona” in modo che sia credibile agli occhi di Mattarella, che ha avvertito le parti che in caso di accordicchio dal respiro corto sarà costretto obtorto collo a sciogliere le Camere, si scatena il totonomi dell’eventuale esecutivo dem-stellato.
Un governo che salvi le poltrone di chi non verrebbe rieletto se si tornasse al voto è a maggior ragione incentrato su chi deve andare a fare cosa, a partire dal premier. Va da sé che i 5 Stelle (primo partito in questo Parlamento pre-boom della Lega, oggi non più rappresentativo della volontà popolare) vorranno piazzare un loro nome sullo scranno più alto di Palazzo Chigi. Ma la vera battaglia è sui ministeri-chiave. E purtroppo, a tal proposito, ne abbiamo lette di aberrazioni che metterebbero seriamente a rischio la tenuta della democrazia in questo Paese. Ma andiamo per ordine.
Chi sarà premier?Posto che un governo politico dovrebbe avere un presidente del Consiglio politico e non un tecnico o una figura istituzionale, Luigi Di Maio sarebbe il premier perfetto per i 5 Stelle. Il “compagno” Roberto Fico quello per i dem. Ma il capo politico del M5S non sarebbe gradito al Pd, che chiede discontinuità con il governo gialloverde, nei programmi e nei nomi.
E quello del presidente della Camera, il pentastellato più a sinistra di tutti, non è gradito da Di Maio. L’ex premier Giuseppe Conte non è ben visto dai dem per i motivi di cui sopra e appare “dimenticato” dai 5 Stelle. In alternativa a un politico, in questi giorni è spuntato il nome di Marta Cartabia, vicepresidente della Corte Costituzionale molto vicina a Mattarella e Napolitano. La suggestione ruota attorna al fatto che sarebbe il primo premier donna. Il pericolo è che suggellerebbe il patto tra sinistra, “forcaioli” a 5 Stelle e toghe rosse in un governo pericolosamente spostato verso il potere (incontrastato) della magistratura.
Tra gli altri nomi di peso sono stati fatti quelli di Raffaele Cantone, attuale presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, e quello di Mr. Spending Review Carlo Cottarelli, già incaricato da Mattarella nel 2018 di formare un nuovo governo tecnico provvisorio visto che M5S e Lega non trovavano la quadra. Tra i papabili ch’è anche Enrico Giovannini, già presidente dell’Istat e ministro del Lavoro sotto il governo Letta (2013), nonché presidente della commissione, incaricata dal governo Berlusconi prima e Monti poi, di tagliare gli stipendi dei parlamentari. Circola infine anche il nome di Paola Severino, vicepresidente della Luiss, primo ministro donna della Giustizia, che piace anche ai 5 Stelle.
Tra i ministri spunta Fiano all’InternoNella squadra di governo invece, circolano i nomi del capo della Polizia Franco Gabrielli (Interno), del procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri (Giustizia), dell’ex numero uno di Equitalia e Agenzia delle entrate Ernesto Ruffini (Fisco/Entrate), dell’europarlamentare dem Roberto Gualtieri (Affari Ue o Economia), della vicepresidente del Pd Anna Ascani (Cultura), dell’antifascista a tempo pieno Emanuele Fiano (Interno), dell’ex consigliere economico di Renzi e Gentiloni Luigi Marattin (Economia) e dello stesso Cantone.
Commissario Ue: in lizza Gentiloni e Enrico LettaLa nuova maggioranza deve sbrigarsi infine a indicare il nome del commissario Uedell’Italia. Secondo fonti parlamentari si starebbe facendo strada l’ipotesi di indicare un ex premier, si fanno i nomi di Paolo Gentiloni e Enrico Letta. Nel totonomi resta, però, sempre il nome del premier dimissionario Giuseppe Conte, che però non può essere nominato dal governo uscente. C’è infine la soluzione del profilo tecnico, come quello di Elisabetta Belloni, Giampiero Massolo o dell’attuale ministro degli Esteri Moavero Milanesi.
Sequestri farsa, ordinanze e strane tempistiche: così la magistratura rossa vuole affondare Salvini e aprire i porti
Sequestri «bluff», tempistiche curiose e le Ong che considerano i giudici italiani come alleata. Qual è il sistema perfetto per fare sbarcare migranti, anche se clandestini, in Italia? Un decreto di sequestro dei pm, che scorta la nave dei talebani dell’accoglienza in porto e fa scendere tutti. Peccato che dopo un po’ l’imbarcazione della Ong viene dissequestrata e torna a recitare lo stesso copione.
Non solo: il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina si perde nei meandri e tempi della giustizia.
E gli estremisti dell’accoglienza, che dovrebbero venire perseguiti, ringraziano, come ha fatto ieri Open Arms con un tweet: «Giorno 1. Quello in cui la giustizia italiana ha restituito alle persone a bordo la loro umanità». La nave della Ong spagnola ha sbarcato 83 migranti grazie al sequestro disposto dalla procura di Agrigento che indaga per omissione e rifiuto di atti di ufficio. Per ora il fascicolo è contro ignoti, ma l’obiettivo è sempre lo stesso, il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che non voleva farli scendere.
Guarda caso la svolta, in punta di diritto, è avvenuta quando la Spagna aveva fatto salpare la nave militare Audax, che in tre giorni sarebbe arrivata a Lampedusa per imbarcare tutti i migranti. Pure la tempistica che coincide con l’apertura ufficiale della crisi di governo è curiosa. E l’ipotesi di reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina passa in secondo piano. Nonostante la capo missione dell’ultima provocazione politica di Open Arms sia Ana Isabel Montes Mier. Il 4 luglio la procura di Ragusa per un caso molto simile del marzo 2018 con la stessa nave e Ong ha chiesto il suo rinvio a giudizio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e «violenza» (morale) per avere obbligato le nostre «autorità a concedere l’approdo in un porto del territorio italiano».
La ciliegina sulla torta della beffa è la dichiarazione di ieri della vice premier spagnola Carmen Calvo: «Open Arms non ha il permesso di salvare» migranti. Per questo motivo rischia una multa di 901mila euro. Il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, è recidivo nel sequestro che fa sbarcare tutti. Il 19 maggio ha fatto entrare in porto con lo stesso metodo nave Sea watch 3 permettendo lo sbarco dei 65 migranti a bordo rimasti in Sicilia e non redistribuiti dall’Europa. Il tutto era avvenuto con il ministro Salvini in diretta su La 7, che continuava a ribadire la chiusura dei porti. La Sea watch 3 viene dissequestrata il 10 giugno e gli irriducibili tedeschi sono di nuovo in mare con la capitana Carola Rackete, che recupera migranti ed entra a forza a Lampedusa. La nave adesso è sotto sequestro, ma non durerà molto. Il primo stop lo aveva subito il 28 gennaio. Tre settimane dopo era di nuovo libera di partire.
Il «bluff» è evidente anche con la Mare Jonio degli estremisti italiani dell’accoglienza bloccata due volte in pochi mesi dalla procura di Patronaggio. Il 12 agosto è arrivato puntuale l’ultimo dissequestro e l’annuncio della Ong, che la nave tornerà in mare nonostante multe e divieti.
Lo schiaffone di Bertinotti: “Il Partito Democratico non sa parlare al popolo e ha paura delle urne”
Fausto Bertinotti dice un “no” categorico a un governo Pd-M5S. Servirebbe solo a sfogare il “governismo”, l’ansia di andare al governo, propria del centrosinistra. Si torni piuttosto alle urne. Ma con la consapevolezza che alla politica italiana, per uscire dalla crisi «drammatica» in cui si trova, serve una rivoluzione, una rottura.
Che deve partire innanzitutto dall’ascolto del popolo, magari attraverso un “dibattito nazionale” sul modello di quello lanciato dal presidente francese Emmanuel Macron dopo le rivolte dei gilet gialli. Bertinotti, ex segretario di Rifondazione comunista, fa il punto della situazione con l’Adnkronos. Conscio, puntualizza, che «dico cose urticanti, ma me lo posso permettere». Su un’alleanza di governo tra Movimento 5 stelle e Partito democratico, è netto.
«Così facendo – dice – il centrosinistra ripensa l’ancien régime, ritorna a quel sistema politico che ha determinato il vuoto che ha portato al governo dei populisti: le stesse movenze, le stesse relazioni tra partiti, lo stesso governismo, l’ansia di andare al governo, come se non fosse stata proprio la governabilità a provocare l’attuale crisi». Piuttosto di cedere alla tentazione di tornare a tutti i costi al governo, dunque, si vada a votare.
Anche se ciò dovesse favorire la Lega. «Se chi vuole contrastare Salvini – prosegue Bertinotti – ha paura delle urne e di misurarsi con la propria inadeguatezza, allora è evidente che quelle forze devono attuare una rivoluzione al loro interno, devono cambiare».
De Magistris contro l’inciucio giallo-rosso: “Pd e M5S hanno bramosia di potere e poltrone. Vanno fermati”
Un «secondo matrimonio» con il «primo Matteo», cioè l’ex premier Renzi, «non è perdono. È solo bramosia di potere e poltrone». Luigi de Magistris si scaglia contro Pd e M5S. «Ci siamo momentaneamente liberati di “Matteo secondo», dice.
«Ci prepariamo, ora, alla propaganda degli scrittori del Vangelo apocrifo che ci diranno che è cosa buona e giusta fare un’alleanza, un secondo matrimonio, con il primo Matteo. Ma come, proprio con quello che è stato autore di tutte le più orribili nefandezze urlate ovunque dai Cinque Stelle? Sì, proprio lui.Matteo Renzi» «Certo», incalza de Magistris, «è il perdono politico.
Ma qui mi permetto di chiosare, senza voler rompere l’idillio dell’innamoramento ferragostano, che non è perdono, ma solo bramosia di potere e poltrone»- «Il premier, dimesso da Salvini, prende le distanze dallo stesso Salvini e dalle sue opere», incalza il sindaco di Napoli. «Opere da lui avallate fino a qualche giorno fa da presidente del Consiglio che ha tollerato che Salvini apparisse come il vero capo politico del Governo». «Conte era talmente fiero di azioni e opere che parlava del 2019 come anno bellissimo per il Governo e per il Paese.
Ha fatto passare di tutto Conte». Secondo De Magistris «quelli che hanno portato Salvini sulla soglia del 40%, e che si apprestano a resuscitare il primo Matteo, hanno anche accusato il loro alleato, con cui hanno stipulato un contratto e con il quale non convivono più non per loro volontà ma per volontà di Salvini, di colludere di fatto con la ‘ndrangheta»
Ecco l’effetto dell’inciucio giallo-rosso, rispunta pure Rosy Bindi: “Si all’intesa con i Cinque Stelle”
Non sono arrivati ancora i nuovi ministri, ma sono già tornati i vecchi fantasmi. In attesa di ribaltare il governo, il Pd ha iniziato a ribaltare gli archivi. Ecco, insomma, il ritorno di Rosy Bindi. Uscita nel 2017 dalla scena politica per dedicarsi alla teologia, dopo 23 anni di Parlamento, cinque a Strasburgo, sei da ministro, quattro da presidente del Pd…
Vabbè, avete capito, ieri la Bindi si è ripresentata al Nazareno e, come ai vecchi tempi, ha iniziato a rilasciare interviste, illustrare la linea: «Adesso andiamo a verificare se ci può essere un’intesa con i Cinque stelle». Nicola Zingaretti l’ha voluta in direzione dove, ha rivelato sempre la Bindi, «c’è stata unanimità intorno al nostro segretario» Il quotidiano La Repubblica l’ha invece intervistata in qualità di credente e quindi per far «sapere che è una profanazione l’uso che fa Salvini dei simboli religiosi».
A La7, inseguita dai cronisti dell’Aria che Tira, ha anticipato che ci dovrà «essere discontinuità di programmi e persone», per intenderci, «niente Conte bis. Ma questo lo dite voi. Non fatelo dire a me». Ma non doveva coltivare il silenzio? Era il «voto» che aveva fatto ad Antonello Caporale sul Fatto Quotidiano in un colloquio testamento per ribadire che «fare politica non è stato un mestiere» e ancora per confidare, come diceva Romano Prodi, suo amico e maestro, «che finora sono stata in tutti gli aeroporti del mondo. Ho girato tanto ma visto poco».
Entrambi evidentemente si saranno annoiati dato che, uno, non fa che scrivere articoli per giustificare l’accordo M5s-Pd, l’altra, assicurare che un governo è necessario «non per disprezzo del popolo ma per risolvere il problema degli italiani». Al momento non si sa cosa ne pensano gli italiani del rientro della Bindi, ma qualcosa deve pensarne il governatore del Pd, Vincenzo De Luca, l’ultimo che ha avuto il privilegio di confrontarsi alla sua maniera con la Bindi («Un’infame») salvo poi chiederle scusa.
Faceva riferimento a quella lista di impresentabili – in cui De Luca era stato inserito un giorno prima del voto da candidato governatore del Pd – una speciale creazione della Bindi che di certo non ha mai mancato di fantasia e che bisogna riconoscere (ma c’è anche un po’ di compiacimento) è sempre stata presa di mira dai maschietti.
Eletta infatti nel corso della precedente legislatura presidente della commissione parlamentare Antimafia, la Bindi entrò così tanto nella parte da trasformare la commissione in un tribunalino assai rivoluzionario, con poteri di pena e grazia per quanto riguardava le candidature, comprese quelle dei suoi colleghi di partito.
Bacchettona quando occorre ma libertina quando serve (e oggi serve per allearsi con Beppe Grillo), la Bindi si è in realtà auto-rottamata quando aveva compreso che Matteo Renzi non l’avrebbe più ricandidata, («Ha usato l’antimafia per regolare i conti all’interno del partito») e per questo da lei etichettato come «il prodotto del ventennio berlusconiano».
Il prodotto di oltre vent’anni di Bindi in politica è invece uno sterminato elenco di partiti visitati (Dc, Ppi, Margherita, Pd) e di leader sostenuti (Prodi, D’Alema, Castagnetti, Franceschini, Bersani, Letta, Orlando, Zingaretti). Oggi, suo malgrado, Renzi l’ha riportata alla ribalta, Di Maio la sta per nominare interlocutrice, Zingaretti l’ha scelta come consigliere. Rottamata dalla storia ma rigenerata dalla crisi.
Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti trattano per il nuovo “Governo di Bibbiano”. Il tradimento degli italiani
Luigi Di Maio e i capigruppo del Movimento Cinque Stelle pur avendo lasciato aperti i due forni con Lega e Pd, provano ad avviare già il dialogo con i dem sul fronte del taglio ai parlamentari. Si tratta del primo punto dei dieci presentati da Di Maio al Colle e della riforma su cui il Pd ha chiesto modifiche e chiarimenti.
Su questo fronte dunque è stato avviato ufficialmente un dialogo tra M5s e Pd che ha già il sapore di inciucio. È stato il capogruppo al Senato dei 5 Stelle, Patuanelli, ad annunciare questa apertura nel corso dell’assemblea con i parlamentari grillini: “Per noi il taglio dei parlamentari si deve fare ora, non fra 10 anni come chiede qualcuno.
È una riforma fondamentale per il futuro del Paese con cui gli italiani risparmieranno mezzo miliardo di euro“. Poi lo stesso Patuanelli ha di fatto sottolineato i 10 punti programmatici presentati da Di Maio nel suo discorso davanti ai giornalisti dopo il faccia a faccia con il presidente Mattarella: “Oggi abbiamo presentato 10 punti per noi imprescindibili e, non a caso, il taglio dei 345 parlamentari è stato fissato come primo punto sia in virtù dell’importanza che gli attribuiamo sia in virtù del fatto che manca solo un voto e dunque due ore di lavoro della Camera per portarlo a compimento“.
A questo punto il capogruppo grillino ha definito improrogabile il taglio dei parlamentari ponendolo in cima ai punti della trattativa (che a questo punto è avviata) con i dem: “Il taglio dei parlamentari è il presupposto per il prosieguo della legislatura e per darle solidità.
A tal proposito, visto che oggi abbiamo letto dichiarazioni piuttosto vaghe al riguardo e visto che la Lega continua ad essere il partito del boh, vi chiediamo mandato per incontrare la delegazione del Pd per iniziare a parlare del primo punto appunto: il taglio dei parlamentari, sul quale chiederemo chiarezza“.
E in queste ore calde di fatto fonti del Movimento Cinque Stelle tengono a precisare che non ci sono stati per il momento contatti con la Lega. Un segnale chiaro che per il momento non porta a una pax tra gli ex alleati di governo. E alle aperture arrivate dal Movimento Cinque Stelle, è arrivata la risposta del Pd che di fatto si è già detto disponibile al dialogo.
Ed è stato proprio il segretario, Nicola Zingaretti ad annunciare l’apertura del tavolo per il dialogo: “Dalle proposte e dai principi da noi illustrati al capo dello Stato e dalle parole e dai punti programmatici esposti da Di Maio, emerge un quadro su cui si può sicuramente iniziare a lavorare“. Insomma il patto per l’inciucio è sempre più vicino…
giovedì 22 agosto 2019
Mattarella inc***to nero: concede 5 giorni di tempo a PD-M5S per formare un governo (abusivo e anti-italiano)
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo un primo giro di consultazioni con tutti i partiti, ha tirato le somme. Il Capo dello Stato di fatto ha fatto sapere che ci sono già dei contatti tra le forze politiche per trovare una maggioranza solida in Parlamento.
Di fatto il presidente della Repubblica in questo suo breve intervento ha sottolineato con forza l’esigenza di una maggioranza che possa dare vita ad un governo in grado di affrontare la scrittura della manovra già in autunno. Inoltre, lo stesso Mattarella ha sottolineato il ruolo dell’Italia in Europa: “Con le dimissioni presentate dal presidente Conte, che ringrazi con i ministri per l’opera prestata, si è aperta una crisi con la dichiarata frattura polemica tra partiti della maggioranza. Questa crisi va risolta all’insegna di decisioni chiare e in tempi brevi.
Lo richiede l’esigenza di governo di un grande Paese come il nostro e il ruolo che l’Italia deve avere in un momento importante di avvio del prossimo quinquennio dell’Unione europea, le incertezze politiche e economiche internazionali“. Il Capo dello Stato su un punto è stato fermo: tempi brevi per trovare una soluzione. E in questo senso, per concedere qualche giorno in più ai partiti per il dialogo, Mattarella che chiesto un nuovo giro di consultazioni che inizieranno martedì prossimo.
Infine non ha comunque escluso l’ipotesi voto: “Non è inutile ricordare sono possibili soltanto Governi che ottengano la fiducia del Parlamento, in base a valutazioni e accordi politici dei gruppi parlamentari su un programma per governare il Paese.
In mancanza di queste condizioni la strada da percorrere è quella di nuove elezioni: si tratta di una decisione da non assumere alla leggera dopo poco più di un anno di vita della legislatura“. Ora tocca ai partiti trovare un’intesa. E a quanto pare M5s e Pd sarebbero già in contatto per discutere il taglio dei parlamentari…
Sondaggio Noto: la Lega di Salvini al 38% e il centrodestra vola al 52%. Ecco perché il PD non vuole votare
Centro-destra unito ben al di sopra del 50%, con la Lega che da sola prende quasi gli stessi voti di Pd e Movimento 5 Stelle messi insieme.
L’ultimo sondaggio dell’Istituto Noto, diffuso da “Agorà”, su Rai 3, mette il vento in poppa alla Lega e agli altri partiti di centro-destra. In base alla rilevazione, condotta pochi giorni prima delle dimissioni di Giuseppe Conte, il Carroccio volerebbe addirittura al 38%.
Una soglia mai raggiunta prima dal partito di Matteo Salvini che infatti, dopo avere fatto cadere il governo, chiede di andare subito al voto per capitalizzare al massimo i consensi.
Ma è tutto il centro-destra a godere di buona salute. Fratelli d’Italia è data all’8%, in crescita di 1,5 punti rispetto alle elezioni europee di maggio, Forza Italia al 6,5%.
Un’ipotetica coalizione allargata all’intero centro-destra è dunque accreditata del 52,5% dei voti, ben oltre la maggioranza. Inutile quindi l’eventuale alleanza tra Pd e Movimento 5 Stelle.
Se i dem non vanno oltre il 23% dei consensi, ai 5 Stelle va ancora peggio. Il partito guidato da Luigi Di Maio, infatti, si fermerebbe al 16,5%, praticamente la metà dei voti presi alle Politiche 2018.
A sinistra ha poco piange Leu, con un misero 1,5%. Ancora peggio +Europa di Emma Bonino, all’1%. Alle Europee aveva preso il 3%.
Mattarella, nuove consultazioni Martedi per vedere se si trova un accordo di Governo
Mattarella molto coinciso ha dato tempo fino a martedi per vedere se si trova un accordo di Governo
"Con le dimissioni presentate dal presidente Conte che ringrazio per l'opera prestata si è aperta la crisi di governo", così inizia il discorso di Mattarella al termine delle consultazioni. "La crisi va risolta con decisioni chiare e tempi brevi - aggiunge -. Sono possibili solo governi che ottengano la fiducia del parlamento su un programma per governare il Paese. In alternativa si indicono le elezioni".
"Se il Parlamento non esprime una maggioranza di governo le elezioni sono necessarie - afferma -. Alcune forze politiche mi hanno riferito di aver avviato interlocuzioni e mi hanno chiesto di sviluppare un confronto e verifiche. Ho il dovere di non precludere la volontà maggioritaria del Parlamento così come è avvenuto un anno addietro. Ho il dovere di richiedere decisioni sollecite. Martedì si terranno nuove consultazioni".
Intanto, si intensificano nelle ultime ore i contatti tra M5s e Pd per verificare la possibilità di dar vita a un governo. Secondo quanto si apprende da fonti parlamentari, sarebbe possibile un incontro - più probabile a livello di capigruppo - tra le due forze nella giornata di domani. Questo, in vista della definizione di un possibile accordo (e di un nome) da portare all’inizio della prossima settimana al Colle.
Matteo Renzi e Nicola Zingaretti Consultazioni, le condizioni di Zingaretti agitano i 5 Stelle e spaccano il Pd "Per noi il taglio dei parlamentari si deve fare ora, non fra 10 anni come chiede qualcuno. E’ una riforma fondamentale per il futuro del Paese con cui gli italiani risparmieranno mezzo miliardo di euro", lo ha detto Stefano Patuanelli, capogruppo M5s in Senato, durante l’assemblea dei gruppi.
"Oggi abbiamo presentato 10 punti per noi imprescindibili e, non a caso, il taglio dei 345 parlamentari è stato fissato come primo punto sia in virtù dell’importanza che gli attribuiamo sia in virtù del fatto che manca solo un voto e dunque due ore di lavoro della Camera per portarlo a compimento. Il taglio dei parlamentari è il presupposto per il prosieguo della legislatura e per darle solidità. A tal proposito, visto che oggi abbiamo letto dichiarazioni piuttosto vaghe al riguardo e visto che la Lega continua ad essere il partito del boh, vi chiediamo mandato per incontrare la delegazione del Pd per iniziare a parlare del primo punto appunto: il taglio dei parlamentari, sul quale chiederemo chiarezza".
E l’assemblea dei gruppi M5S ha dato mandato per acclamazione al capo politico Luigi Di Maio e ai capigruppo Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva ad incontrare la delegazione del Pd.
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