lunedì 25 febbraio 2019

Regionali Sardegna, Pietro Senaldi: "Le campane a morto per Di Maio, l'allarme per Matteo Salvini"


Campane a morto per Luigi Di Maio, un allarme serio per Matteo Salvini. Il voto delle regionali in Sardegna testimonia la fuga degli elettori italiani dai grillini, che quando governano (vedi Virginia Raggi a Roma) fanno solo disastri.

È successo anche in Abruzzo, e prima ancora in Trentino o Friuli Venezia Giulia. Il risultato però deve essere guardato con attenzione anche dal leader della Lega, che con Di Maio ci governa, a livello nazionale. Quando la rabbia degli italiani delusi avrà devastato quel che resta del Movimento 5 Stelle, il rischio è che la stessa si abbatta sul Carroccio.

Matteo Renzi, dopo l'arresto dei genitori il suo nuovo libro scala le classifiche di vendita


In soli tre giorni il nuovo libro di Matteo Renzi è riuscito a scalare le classifiche di vendita in Italia.

"Un' altra strada"- questo il titolo - è al primo posto nella saggistica secondo i dati di alcune rilevazioni, e quarto nella classifica generale di tutti i libri venduti. Nel circuito delle librerie Feltrinelli è addirittura primo in entrambe le classifiche. C' è dunque una certezza: l' ex segretario del Pd ha un pubblico, cosa che invece è assai incerta per un Pd privo di lui. Certo, le vendite di un libro sono ormai ridottissime anche quando sei ai massimi livelli, e i voti per un partito sono ben altra potenza di fuoco. Ma Renzi unisce l' una e l' altra cosa, visto che sta riempendo in modo vistoso sale non minuscole nel suo tour promozionale che sta facendo in Italia proprio per promuovere quel libro.

Scelta questa compiuta in perfetta sovrapposizione con la campagna elettorale per le primarie, da cui lui dovrebbe essere ufficialmente assente, ma che di fatto sta correndo come gli altri su una pista parallela. È un po' come vedere correre in pista in una gara ufficiale tre atleti che già non sembrano in grado di fare tempi clamorosi e su un corridoio parallelo vedi un tipo che corre quasi per gioco, ma già ai 20 metri è davanti a tutti e li lascia indietro di 50 al traguardo dei 100 metri. È esattamente questo l' effetto del tour librario di Renzi mentre i poveri Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti si attorcigliano in una campagna per le primarie dove nessuno dei tre riesce a bucare lo schermo ed è capace di comunicare con efficacia con l' elettorato.

Congiuntura tragica - Certo il successo di vendite del libro e di pubblico del tour promozionale di Renzi è accompagnato da una congiuntura che sembra tragica, ma li favorisce entrambi: gli arresti domiciliari di papà Tiziano e mamma Laura hanno indubbiamente attirato l' attenzione mediatica su di lui. Non solo: se la bulimia dell' ex segretario Pd si è rivelata il suo tallone di Achille negli ultimi due anni, era qualche tempo che quel pubblico era restato a digiuno, e già questo ha consentito un rifiorire di attenzione.

La corsa del Renzi scrittore che evidenzia l' inconsistenza della gara ufficiale dei tre pretendenti alla sua successione nel partito è solo l' ultima tragicommedia vissuta dal Pd. Partito che sembra nato solo per perdere. Così è accaduto dal suo primo vagito. Fondato da Walter Veltroni 12 anni fa, ha avuto la sua prima prova elettorale nel 2008, quando la sinistra rimediò la più cocente sconfitta mai patita ad opera di Silvio Berlusconi, l' avversario di tutta la loro vita.

Eppure quella clamorosa e pesantissima sconfitta è stato il migliore risultato elettorale assoluto del Pd. Da lì in poi un tracollo dopo l' altro nei numeri assoluti, e perfino quando proprio Renzi alle europee del 2014 ottenne il famoso 41% dei consensi, in numeri assoluti quel giorno il Pd perse rispetto alla grande sconfitta di Veltroni un altro milione di voti. Siccome in 12 anni è sempre stato così: una discesa inarrestabile e continua, il problema più che negli uomini deve essere proprio l' idea stessa di quel partito che vorrebbe scimmiottare gli americani.

Soliti errori - Per quanto Renzi continui a compiere gli stessi errori di sempre, e reciti un copione ormai sempre uguale (basta assistere a due presentazioni dei suoi libri per capire come reciti un canovaccio base su cui di volta in volta innesta l' ultima notizia di cronaca), è ancora oggi in quel campo il solo leader che possa vantare un pubblico. Non sembra proprio scorgersi un' alternativa possibile nel trio che pure ci proverà. Ci hanno provato con il povero Zingaretti che almeno può fare valere rispetto ai concorrenti una esperienza sia pure limitata di guida e di governo. Quando qualche mese fa l' hanno testato gli esperti di comunicazione si sono messi le mani nei capelli: raramente ci si è trovati davanti a un politico meno empatico e comunicativo di lui. Almeno gli hanno insegnato come si parla in uno studio televisivo, e l' hanno convinto a sostituire la grisaglia con un maglioncino più informale, spiegandogli pure la necessità di fissare le telecamere per dire qualcosa al pubblico. Ma non c' era molto da dire. E figuratevi, questo è il candidato favorito...

domenica 24 febbraio 2019

Milano, preso il pirata di piazzale Loreto: è un 24enne, era ubriaco e con patente sospesa “



Preso il pirata della strada di Loreto: è un 24enne, era ubriaco e senza patente „

Tre ore dopo, quando i vigili sono andati a casa sua, era ancora ubriaco. L'etilometro, nonostante il tanto tempo passato, ha dato ancora esito positivo. E forse era fuggito proprio per quello lasciando due uomini a terra. Ma i ghisa ci hanno messo pochissimo ad arrivare a lui.

È stato trovato il pirata della strada che all'alba di sabato - alle 5.30 - ha falciato due motorini in piazzale Loreto per poi scappare senza preoccuparsi delle condizioni dei feriti. Si tratta di M.V., un ragazzo italiano di ventiquattro anni, con diversi precedenti penali.

A restare sull'asfalto sono stati un 36enne e un 42enne, che erano entrambi in scooter. Fortunatamente le due vittime se la sono cavata con qualche ferita non grave. Entrambi hanno avuto un prognosi di venti giorni: uno è stato trasportato in codice giallo alla clinica Città Studi, mentre l'altro in verde al Niguarda.

Stando a quanto ricostruito dai vigili, anche grazie alle telecamere, il pirata proveniva da corso Buenos Aires e avrebbe svoltato a sinistra, in un punto vietato, per imboccare viale Brianza. Proprio in quel momento da viale Monza sarebbero arrivati i due motorini che hanno centrato in pieno la macchina, poi sparita nel nulla dopo aver perso la targa.

Patente sospesa e alla guida ubriaco Gli agenti della Locale, dopo aver ascoltato alcuni testimoni e visto le immagini, sono andati praticamente a colpo sicuro e dopo tre ore si sono presentati a casa dell'autista, in zona Niguarda, dove è stata trovata anche l'auto.

Il giovane, risultato positivo all'alcol test, è stato denunciato per guida in stato di ebrezza e omissione di soccorso ed è stato multato per la svolta vietata e perché era alla guida con la patente sospesa.

Nel suo curriculum da autista, i ghisa hanno trovato altri due precedenti per guida sotto l'effetto di alcol e stupefacenti.

Gli stessi ghisa stanno invece ancora dando alla caccia all'uomo che un paio di ore prima in viale Monza aveva travolto con il suo Suv ungherese una Lancia Ypsilon con due donne a bordo. Una delle due, la passeggera, è in condizioni gravissime al San Raffaele.

FINALMENTE E' STATA UMILIATA LA FORNERO DAVANTI A MILIONI DI SPETTATORI, LEI A SOLO GIOCATO SPORCO RACCONTANDO SOLO BALLE AGLI ITALIANI!


Duro scontro a Stasera Italia su Retequattro tra l'ex ministro del Governo Monti Elsa Fornero e l'economista Antonio Maria Rinaldi.

Il tema era quello delle pensioni, collegato alla manovra a cui il governo sta lavorando. Dalla Palombelli la Fornero ha recitato la solita formuletta dell'Italia "sul baratro" sostenendo che "dovevamo trovare i soldi per il giorno dopo".

Senza appello la replica di Rinaldi, che all'ex titolare del Welfare ha risposto "mi rifiuto di pensare che un Paese come l'Italia dovesse trovare i soldi per il giorno dopo. E' una cosa impossibile".

Poi, però, Rinaldi ha voluto fare una concessione alla Fornero: "Guardi, a me spiace dire queste cose, anche perchè so che lei è una persona preparata e professionale.

Credo, però, che lei abbia fatto a sua insaputa il lavoro sporco che qualcun altro, che ben sapeva come stavano le cose, le ha chiesto di fare".

 

“Immigrati, bisogna cambiare tutto” Conte, il piano terremoto per ribaltare Macron e chi vuole l’invasione dell’Italia


“Superare completamente regolamento di Dublino”. Il premier Giuseppe Conte annuncia, prima del vertice informale europeo di Bruxelles, la proposta italiana sui migranti.

La proposta italiana – ha detto Conte – mira a “una puntuale politica di regolazione dei flussi che sia realmente efficace e sostenibile e al totale superamento del regolamento di Dublino, che noi riteniamo” legato “ad un quadro emergenziale” quando invece vogliamo una gestione “strutturale”, afferma il premier Giuseppe Conte arrivando al vertice informale europeo a Bruxelles. “

Sono appena arrivato a Bruxelles – si legge poi in un tweet dello stesso Conte – per portare la proposta italiana sul tema immigrazione: European Multilevel Strategy for Migration. L’Italia in Europa è chiamata ad una sfida cruciale. E vi garantisco – ha assicurato – che sarà un radicale cambio di approccio sul tema”.

RIGOPIANO, INSULTI A MATTARELLA E APPLAUSI PER SALVINI E DI MAIO: IN SOLI 5 GIORNI HANNO TROVATO I SOLDI CHE IL PD AVEVA IMBOSCATO


Lacrime, foto e promesse. Ma tra i parenti delle vittime di Rigopiano che piangono i loro morti a due anni dalla tragedia ci sono applausi per Matteo Salvini e Luigi Di Maio, mentre una madre sfoga la sua rabbia contro il Quirinale mentre bacia la foto del figlio: “A cosa ci serve una corona di fiori del presidente della Repubblica oggi? Dovevano mandarci uno spazzaneve due anni fa”.

Lo sfogo per uno Stato che non è stato dalla loro parte. “Ci siamo, ci siamo”, ripete invece Matteo Salvini circondato dai parenti mentre cammina lungo la strada che circonda l’hotel della tragedia dove due anni fa persero la vita 29 persone.

Accanto al ministro dell’interno che indossa prima la giacca della polizia e poi la pettorina della Protezione civile, c’è l’altro vicepremier Luigi Di Maio: “Lo Stato c’è – dice – dobbiamo fare giustizia”. Sono arrivati e si presentano insieme, una scelta inedita in questi mesi di governo, che dà l’immagine di due leader di partito che si marcano a vicenda in questa campagna elettorale in Abruzzo che porterà al voto regionale del 10 febbraio.

 “Li avete stanziati davvero i soldi per noi?”, chiede una donna davanti al totem con le fotografie di chi non c’è più, i fiori e una scritta dedicata alle vittime “siete la nostra forza”. Il leader leghista, mentre in sottofondo scorre la musica di un ragazzo che ha suonato lì fino a tre giorni prima del dramma, mette in bella mostra i dieci milioni stanziati “dal mio ministero, non servono coperture, è un mio fondo che ho a disposizione.

Ci ho messo cinque giorni, ve l’avevo detto e l’ho fatto”. Una signora risponde: “È incredibile”. In lontananza si sente una voce: “Fate passare Gaia”. La bimba porta in mano un mazzo di rose rosse, vuole salutare i vicepremier Salvini e Di Maio. Gaia si è salvata nella sala giochi insieme a tutti gli altri bambini ma ha perso i genitori.

Di Maio le sorride e per un po’ la fa camminare vicino a lui. Tutti i parenti delle vittime vogliono una parola di conforto, i due leader della Lega e di M5s si commuovono, si calano nel dolore collettivo. Una donna accarezza la foto di suo figlio Alessandro e urla: “Non vogliamo le corone di fiori, quel giorno serviva la turbina”. Maledice i responsabili: “Vivrò per darti giustizia”.

 Nella commemorazione dello scorso anno i politici non erano graditi. Di Maio e Salvini oggi sì, arrivati qui per incassare le lodi dopo aver annunciato lo stanziamento dei dieci milioni di euro: “Ci fidiamo di voi. I responsabili non ce l’hanno messa la faccia”. L’ammirazione sembra essere totale, fino a sentir dire: “Grazie di cuore siete dei veri papà”.

Bruxelles, la feccia se la fa sotto! Hanno in mano i sondaggi sulle Europee: “Boom sovranisti distruggerà l’Ue”


Obiettivo dei movimenti sovranisti, accusa il dossier, sarebbe impiegare l’assemblea di Strasburgo come “avamposto per erodere le istituzioni Ue dall’interno”

In questi giorni è stato pubblicato un rapporto, realizzato da un think tank con sedi in varie capitali europee, circa i “rischi per la sopravvivenza dell’Ue” derivanti da un eventuale “exploit” dei “partiti sovranisti” in occasione delle elezioni europee di maggio.

Il dossier, redatto dall’European Council on Foreign Relations, presenta infatti l’ascesa dei movimenti anti-establishment, principalmente del Rassemblement national di Marine Le Pene del Fidesz di Viktor Orbán, come “nociva per il funzionamento delle istituzioni dell’Unione”. Il documento prevede quindi che le forze sovraniste, alle consultazioni per il rinnovo dell’assemblea di Strasburgo, dovrebbero aggiudicarsi “oltre il 30%” dei seggi di quest’ultima. In virtù di tale risultato elettorale, i partiti in questione godranno di un “enorme potere di interdizione” e saranno capaci di “paralizzare” l’attività degli organi Ue.

Ad esempio, il consistente blocco anti-élite potrebbe ostacolare “all’infinito” la nomina della nuova Commissione europea, oltre che “pregiudicare” lo sviluppo della politica estera perseguita finora dall’esecutivo Juncker, fondata sulla promozione di “accordi di libero scambio” con le principali economie del pianeta. Il numeroso gruppo parlamentare sovranista, sempre a detta del rapporto, potrebbe anche determinare l’arresto delle “procedure di infrazione” avviate nei mesi precedenti da Bruxelles ai danni di Paesi tacciati come “illiberali”, ossia “Ungheria e Polonia”.

L’European Council on Foreign Relations sostiene quindi che, all’indomani delle elezioni di maggio, il reiterato esercizio di tale “potere di interdizione” da parte degli eurodeputati anti-establishment porterà, in “poco tempo”, alla “distruzione dell’Unione”. Obiettivo dei movimenti sovranisti, accusa il think tank, sarebbe proprio impiegare l’assemblea di Strasburgo come “avamposto per erodere le istituzioni Ue dall’interno”.

“Gli italiani sono impazziti” Berlusconi fuori di testa! Va dalla D’Urso ad insultare chi ha deciso non votarlo mai più


Gli italiani sono impazziti”. Silvio Berlusconi, ospite di Barbara D’Urso a Pomeriggio 5, si abbandona a una rivelazione sullo stato di salute di Forza Italiache ha riflessi drammatici: “Tutti mi conosco e mi vogliono salutare quando mi incontrano.

Ma solo 5/6 italiani su 100 votano per me.

Mi sembra una cosa assolutamente fuori dal mondo” Il 5/6%, ancora meno di quanto i sondaggi ufficiali attribuiscono al Cav, cioè tra l’8 e il 9% (senza contare l’eventuale plus garantito dalla campagna elettorale per le elezioni europee).

Un lapsus, un tecnicismo (dal conto esclude gli astensionisti) o una amara confessione su come stanno davvero le cose?

“Penso che gli italiani siano quasi tutti fuori di testa – ha concluso l’ex premier – perché hanno affidato un’azienda così importante come l’Italia a qualcuno che non la conosce, che non ha mai lavorato né studiato e che sa solo chiacchierare ma non capisce niente, come Di Maio e Di Battista“.

Pd senza leader, sondaggio inquietante: dove volano i sinistri


Domani Cinquestelle perderà le elezioni in Sardegna, dove probabilmente vincerà il candidato di Salvini, Christian Solinas, leader del partito autonomista isolano.

Sarà la quinta sconfitta in meno di un anno che il Movimento subirà dall' alleato di governo.

Una rondine non fa primavera, ma ormai siamo in presenza di un piccolo stormo, per nulla benaugurante per i grillini in vista del voto europeo di maggio. Di Maio e compagni danno per scontata la sconfitta e non hanno messo la faccia sulle elezioni, lasciando campo libero al ministro dell' Interno. Si sono rassegnati a essere i numeri due, anche se solo un anno fa avevano raccolto il doppio dei voti della Lega.

Quello che spaventa davvero i Cinquestelle però non è l' ennesima umiliazione da parte dell' alleato di governo bensì la possibilità, concreta, di essere superati dal Pd. Alle Politiche del 2018 i grillini in Sardegna avevano raccolto quasi il 43% dei consensi, il triplo di quelli del Pd, che non aveva raggiunto il 15%.

Tra le due forze c' era un divario di circa 250mila voti. Vederlo azzerato in 12 mesi sarebbe peggio di una Caporetto, anche perché l' isola è stata una delle prime terre a voltare le spalle alla sinistra per abbracciare Casaleggio e Grillo, che nel 2013 fece un memorabile tour elettorale tra i minatori del Sulcis, promettendo tutto ciò che Di Maio e compagni non sono poi riusciti a mantenere.

Il controsorpasso del Pd sarebbe la conferma, in un feudo giallo, di una parabola che sullo scenario nazionale declina ormai forse in modo irreversibile. Gli ultimi sondaggi danno M5S intorno al 22%, dieci punti sotto il 4 marzo e a 12-13 dall' alleato leghista, mentre il Pd bascula intorno al 18% ottenuto da Renzi. Le ragioni del crollo grillino sono evidenti. Una gaffe tira l' altra, un congiuntivo sbagliato pure, e tutti insieme danno l' immagine di un' Armata Brancaleone senza neppure Vittorio Gassman. Di Maio e soci calano perché hanno deluso alla prova del governo, sia nei confronti dell' alleato, più pratico e affidabile, sia in senso assoluto.

LE FAZIONI Sono divisi in due fazioni, ultras di sinistra da centro sociale e governanti incravattati buoni a nulla. Perfino l' unica cosa sensata che Cinquestelle ha fatto, il salvataggio di Salvini dal processo per sequestro di persona, si sta rivoltando contro il Movimento. Se alle prime critiche che arrivavano, la difesa grillina della teoria del complotto e dell' avversione dei poteri forti al cambiamento reggeva, cammin facendo il sospetto di essersi messi nelle mani di una masnada d' incapaci che hanno vinto alla lotteria si sta impadronendo degli italiani. Più stupefacente è che il Pd, malmesso com' è, non muoia. Renzi, l' ex leader, ha i genitori agli arresti, da tre mesi i vertici trascurano ogni battaglia politica per concentrarsi sulle beghe interne in vista delle primarie, manca un capo e le uniche vie che il partito batte con decisione sono la difesa dell' immigrazione senza controlli, che già le fu fatale alle elezioni scorse, e quella dell' Unione Europea da cambiare, ma nessuno si prende la briga di specificare come. Ci sono tutti gli elementi per il restringimento del partito a percentuali da comparsa, e invece esso rischia di ritornare come seconda forza. Le ragioni sono tre. Il crollo grillino avvantaggia tutti gli altri, che crescono per il semplice fatto di non perdere o non perdere troppo. Alcuni elettori pentastellati sono tornati all' astensionismo, altri si sono votati all' uomo forte del governo, Salvini, che meglio incarna la protesta e il cambiamento, altri ancora meditano di tornare all' ovile, la sinistra, da cui il Movimento all' ultimo giro ha attinto la maggior parte dei consensi. Poi c' è il collante dell' ideologia; per quanto minoritaria, una buona parte di italiani è e sarà sempre di sinistra. La possibilità che il 16-18% sia lo zoccolo duro Dem e che al di sotto di quella soglia sia difficile che il partito vada è reale. LA SPIEGAZIONE Ma la spiegazione più credibile alla tenuta è che i Dem sono da un anno senza capo (né coda). Questo rende impossibile il tiro al piccione che irrimediabilmente parte dall' interno contro chiunque prenda il potere a sinistra. Finché non c' è un leader, non ci sono quelle guerre civili che disgustano l' elettorato e ridicolizzano il partito e nessuno si può intestare battaglie scaccia-voti come quelle sullo ius soli, per l' introduzione della patrimoniale o per il bail-in, il fiscal compact e altre concessioni all' Europa delle banche. Meglio il nulla rispetto alle ultime battaglie. Tra poco, quando Zingaretti sarà diventato il nuovo segretario, ci sarà la prova del nove. Il partito tenterà di allargarsi a un sorta di nuovo Ulivo, da Bersani e Boldrini fino a Calenda e Boschi, oppure tornerà a frammentarsi in uno stucchevole gioco di veti incrociati, antipatie e distinguo ideologici sul nulla. L'esperienza dice che andrà così, ma stavolta sarebbe davvero la fine. La crisi grillina offre alla sinistra una possibilità che solo chi è privo d' istinto di conservazione può buttare via.

Giuseppe Conte, la prova del fallimento dell'avvocato premier: tutti i suoi bidoni agli italiani


Con Giuseppe Conte il problema è sempre il solito: lo prendi sul serio oppure no? Lo consideri un primo ministro a tutti gli effetti, un capo di governo vero, per quanto anomalo, e dunque responsabile delle cose che l' esecutivo fa e non fa? Oppure lo tratti come uno piazzato lì perché non desse fastidio, scelto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini in quanto inodore, insapore, innocuo ed asettico? Di sicuro lui ci crede.

È pieno di sé, come ha svelato quel fuorionda rubato al suo colloquio con la cancelliera tedesca Angela Merkel: «Sono molto determinato. La mia forza è che se io dico "Ora la smettiamo!", loro non litigano». E un po' per mancanza di prove in senso contrario (siamo garantisti) e un po' per amor patrio (quando Guy Verhofstadt lo ha chiamato «il burattino mosso da Di Maio e Salvini» ci siamo italicamente incazzati con l' ometto belga), è giusto dargli credito. Ma se Conte è uomo d' onore, e questo è a tutti gli effetti il suo governo, è a lui che va presentato il conto del bene e del male realizzati con la sua firma. E l' allievo prediletto del grande giurista Guido Alpa non ne esce per niente bene.

A partire dall' atto di concepimento: quel contratto tra M5S e Lega di cui Conte si è vantato di essere uno degli autori, quando ha chiesto la fiducia al Senato. «Gli obiettivi che la nostra squadra di governo si ripromette di raggiungere sono affidati alla pagina scritta, perché le forze politiche che compongono la maggioranza li hanno dichiarati in modo trasparente, vincolandosi ad adottare tutte le iniziative e le misure necessarie a perseguirli». Ci sono voluti nove mesi di travaglio affinché grillini e leghisti riconoscessero ciò che era chiaro sin dall' inizio: quel testo non può vincolare nessuno, dato che su gran parte dei punti controversi sorvola o dice ogni cosa e il suo contrario. L' esempio più clamoroso è la Tav. Nel documento che Conte ha contribuito a stendere, i due partiti s' impegnano «a ridiscuterne integralmente il progetto nell' applicazione dell' accordo tra Italia e Francia». Che è un ossimoro, ovvero una presa per i fondelli, dal momento che ridiscutere il progetto significa stracciare l' intesa italo-francese. Eppure, proprio a questo nonsenso sono tornati i due partiti di maggioranza, con la mozione approvata giovedì in parlamento che riprende pari pari la surreale formulazione del contratto.

SOLUZIONE RAPIDA Per una rapida soluzione della controversia Conte si era impegnato in prima persona: «Tra un po' ci sarà la sintesi», aveva promesso a ottobre. A fine anno era stato categorico: «Prima delle Europee il governo comunicherà in modo trasparente la decisione». Invece si è appena scoperto, senza alcuna sorpresa, che il 26 maggio non si saprà proprio nulla, perché la mozione approvata l' altro giorno serve proprio a rimandare ogni decisione a giugno, o a quando sarà. Un anno buttato. Ieri, per cavarsi d' impaccio dinanzi ai cronisti, pur di non rispondere alle domande Conte ha provato a scherzarci sopra: «Tav o non Tav?». Ma non c' è nulla da ridere, stiamo per perdere miliardi di euro, migliaia posti di lavoro e una fetta di futuro. E l' effetto di una persona seria come lui che cerca di buttarla in caciara è patetico. Nel faldone delle grandi incompiute è entrata ufficialmente l' autonomia che lo Stato dovrebbe concedere a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Anche qui, lo stallo è figlio della paura dei Cinque Stelle, che non possono perdere la faccia dinanzi agli elettori meridionali. Così la faccia la perde Conte, che a fine gennaio si era impegnato con gli italiani del Nord: «Confidiamo di rispettare il termine del 15 febbraio per arrivare a una bozza da discutere». Si è smentito clamorosamente due giorni fa, dicendo che ci vorranno «mesi» per venire a capo della faccenda.

VIVE DI RENDITA Il copione ormai è chiaro: Conte vive di rendita sul fatto di essere sconosciuto al grande pubblico e su un' immagine di serietà accademica che certo non hanno né Di Maio né Salvini. Pure Sergio Mattarella gli aveva concesso credito, ma il modo in cui il Capo dello Stato è intervenuto per rammendare lo strappo con la Francia rivela che non si fida più del personaggio. È lo stesso percorso che Conte ha fatto con gli imprenditori: tanti gli avevano creduto, quando nel discorso d' insediamento si era impegnato a «favorire le imprese che innovano, che assumono nuovo personale, che rispettano le regole della libera competizione». È durata fin quando, su pressione dei compagni a Cinque Stelle, il governo ha approvato il "Decreto dignità", utile alle aziende come un calcio nei denti.

L' ultima promessa Conte l' ha fatta agli italiani: sarà un 2019 «bellissimo» e non servirà «alcuna manovra correttiva». Parole da conservare, perché con l' aria che tira sui conti pubblici rischiano di segnare il passaggio definitivo di Conte dall' eletta schiera dei "nuovi", quelli di cui ci si può fidare, al gruppone dei professionisti della politica, bugiardi per definizione. di Fausto Carioti

Ong, la porcheria che vogliono nascondere i nemici di Salvini: sette ex dipendenti li smascherano


Per essere davvero buoni sembra sia necessario dimostrarsi anche abbastanza stronzi. O almeno così si direbbe, valutando il gran numero di scandali che stanno infangando la reputazione delle maggiori associazioni internazionali che si occupano della difesa dei diritti umani.

Un anno fa toccò ad Oxfam finire travolta dalle accuse di abusi sessuali ad Haiti, poi per lo stesso motivo fu la volta di Medici senza frontiere. Stavolta non c' entra il sesso ma gli addebiti sono di bullismo sul posto di lavoro.

E a finire sotto accusa è Amnesty International. Sette membri dello staff direttivo dell' organizzazione fondata dall' avvocato inglese Peter Benenson nel 1961 hanno presentato le dimissioni dopo che un rapporto aveva denunciato il clima di lavoro «tossico» e il diffuso bullismo all' interno dell' organizzazione. In una lettera indirizzata al segretariato generale Kumi Naidoo, il gruppo leadership di Amnesty ammette che «sono stati fatti errori» e prende su di sè la responsabilità per il «clima di tensione e sfiducia» creatosi.

«Siamo veramente dispiaciuti che la maggioranza dei colleghi si senta sottostimata e non sostenuta e vogliamo fare tutto il possibile per cambiare la situazione», si legge nella lettera al segretario generale, come riportato dal Guardian. «Nell' interesse di Amnesty International, ognuno di noi è pronto a dimettersi», continua la missiva. Naidoo - il quale ha già avvertito che potrebbe non accettare tutte le dimissioni - dovrebbe delineare un piano di riforma entro marzo, che coinvolge anche decisioni sulla leadership.

Una recente ricerca sull' ambiente di lavoro nell' organizzazione, che fra l' altro ha vinto il premio Nobel per la pace nel 1977, ha denunciato che bullismo e nepotismo minacciano la credibilità dell' organizzazione, simbolo della difesa dei diritti umani nel mondo. Il rapporto, promosso dal KonTerra Group - che ha sede a Washington - e condotto da alcuni psicologi, era stato commissionato dopo i suicidi di due dipendenti l' anno scorso, almeno uno dei quali motivato da stress sul lavoro. Alcuni dipendenti hanno anche parlato di discriminazioni basate su genere sessuale e razza e di favoritismi nelle assunzioni.

I sette funzionari che hanno rassegnato le dimissioni sono: Anna Neistat, direttore senior per le ricerche; Thomas Schultz-Jagow, direttore senior delle comunicazioni; Colm Ò Cuanachàin, direttore senior dell' ufficio del segretario generale; Julie Verhaar, direttore senior per la raccolta fondi; Minar Pimple, direttore senior delle operazioni globali; Richard Eastmond, direttore senior dei servizi e Tawanda Mutasah, direttore senior per le questioni legali. Amnesty, che ha una seziona italiana, è stata molto critica del decreto sicurezza voluto dal ministro degli Interni Matteo Salvini, come del resto la maggior parte delle Ong internazionali e, in comune con le altre organizzazioni, condivide tutta una serie di debolezze politiche sinistrorse.

È del mese di gennaio ad esempio la polemica con Israele e la richiesta avanzata a quattro grandi compagnie di prenotazioni - Airbnb, Booking.com, Expedia e TripAdvisor - di boicottare le località turistiche ebraiche negli insediamenti in Cisgiordania, e anche a Gerusalemme est, perché situate in «territori palestinesi occupati». Da notare che la sede di Amnesty a Tel Aviv - in via Kibbutz Galuyot - è l' unica di tutto il Medioriente.

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