domenica 24 febbraio 2019

Pd senza leader, sondaggio inquietante: dove volano i sinistri


Domani Cinquestelle perderà le elezioni in Sardegna, dove probabilmente vincerà il candidato di Salvini, Christian Solinas, leader del partito autonomista isolano.

Sarà la quinta sconfitta in meno di un anno che il Movimento subirà dall' alleato di governo.

Una rondine non fa primavera, ma ormai siamo in presenza di un piccolo stormo, per nulla benaugurante per i grillini in vista del voto europeo di maggio. Di Maio e compagni danno per scontata la sconfitta e non hanno messo la faccia sulle elezioni, lasciando campo libero al ministro dell' Interno. Si sono rassegnati a essere i numeri due, anche se solo un anno fa avevano raccolto il doppio dei voti della Lega.

Quello che spaventa davvero i Cinquestelle però non è l' ennesima umiliazione da parte dell' alleato di governo bensì la possibilità, concreta, di essere superati dal Pd. Alle Politiche del 2018 i grillini in Sardegna avevano raccolto quasi il 43% dei consensi, il triplo di quelli del Pd, che non aveva raggiunto il 15%.

Tra le due forze c' era un divario di circa 250mila voti. Vederlo azzerato in 12 mesi sarebbe peggio di una Caporetto, anche perché l' isola è stata una delle prime terre a voltare le spalle alla sinistra per abbracciare Casaleggio e Grillo, che nel 2013 fece un memorabile tour elettorale tra i minatori del Sulcis, promettendo tutto ciò che Di Maio e compagni non sono poi riusciti a mantenere.

Il controsorpasso del Pd sarebbe la conferma, in un feudo giallo, di una parabola che sullo scenario nazionale declina ormai forse in modo irreversibile. Gli ultimi sondaggi danno M5S intorno al 22%, dieci punti sotto il 4 marzo e a 12-13 dall' alleato leghista, mentre il Pd bascula intorno al 18% ottenuto da Renzi. Le ragioni del crollo grillino sono evidenti. Una gaffe tira l' altra, un congiuntivo sbagliato pure, e tutti insieme danno l' immagine di un' Armata Brancaleone senza neppure Vittorio Gassman. Di Maio e soci calano perché hanno deluso alla prova del governo, sia nei confronti dell' alleato, più pratico e affidabile, sia in senso assoluto.

LE FAZIONI Sono divisi in due fazioni, ultras di sinistra da centro sociale e governanti incravattati buoni a nulla. Perfino l' unica cosa sensata che Cinquestelle ha fatto, il salvataggio di Salvini dal processo per sequestro di persona, si sta rivoltando contro il Movimento. Se alle prime critiche che arrivavano, la difesa grillina della teoria del complotto e dell' avversione dei poteri forti al cambiamento reggeva, cammin facendo il sospetto di essersi messi nelle mani di una masnada d' incapaci che hanno vinto alla lotteria si sta impadronendo degli italiani. Più stupefacente è che il Pd, malmesso com' è, non muoia. Renzi, l' ex leader, ha i genitori agli arresti, da tre mesi i vertici trascurano ogni battaglia politica per concentrarsi sulle beghe interne in vista delle primarie, manca un capo e le uniche vie che il partito batte con decisione sono la difesa dell' immigrazione senza controlli, che già le fu fatale alle elezioni scorse, e quella dell' Unione Europea da cambiare, ma nessuno si prende la briga di specificare come. Ci sono tutti gli elementi per il restringimento del partito a percentuali da comparsa, e invece esso rischia di ritornare come seconda forza. Le ragioni sono tre. Il crollo grillino avvantaggia tutti gli altri, che crescono per il semplice fatto di non perdere o non perdere troppo. Alcuni elettori pentastellati sono tornati all' astensionismo, altri si sono votati all' uomo forte del governo, Salvini, che meglio incarna la protesta e il cambiamento, altri ancora meditano di tornare all' ovile, la sinistra, da cui il Movimento all' ultimo giro ha attinto la maggior parte dei consensi. Poi c' è il collante dell' ideologia; per quanto minoritaria, una buona parte di italiani è e sarà sempre di sinistra. La possibilità che il 16-18% sia lo zoccolo duro Dem e che al di sotto di quella soglia sia difficile che il partito vada è reale. LA SPIEGAZIONE Ma la spiegazione più credibile alla tenuta è che i Dem sono da un anno senza capo (né coda). Questo rende impossibile il tiro al piccione che irrimediabilmente parte dall' interno contro chiunque prenda il potere a sinistra. Finché non c' è un leader, non ci sono quelle guerre civili che disgustano l' elettorato e ridicolizzano il partito e nessuno si può intestare battaglie scaccia-voti come quelle sullo ius soli, per l' introduzione della patrimoniale o per il bail-in, il fiscal compact e altre concessioni all' Europa delle banche. Meglio il nulla rispetto alle ultime battaglie. Tra poco, quando Zingaretti sarà diventato il nuovo segretario, ci sarà la prova del nove. Il partito tenterà di allargarsi a un sorta di nuovo Ulivo, da Bersani e Boldrini fino a Calenda e Boschi, oppure tornerà a frammentarsi in uno stucchevole gioco di veti incrociati, antipatie e distinguo ideologici sul nulla. L'esperienza dice che andrà così, ma stavolta sarebbe davvero la fine. La crisi grillina offre alla sinistra una possibilità che solo chi è privo d' istinto di conservazione può buttare via.

Giuseppe Conte, la prova del fallimento dell'avvocato premier: tutti i suoi bidoni agli italiani


Con Giuseppe Conte il problema è sempre il solito: lo prendi sul serio oppure no? Lo consideri un primo ministro a tutti gli effetti, un capo di governo vero, per quanto anomalo, e dunque responsabile delle cose che l' esecutivo fa e non fa? Oppure lo tratti come uno piazzato lì perché non desse fastidio, scelto da Luigi Di Maio e Matteo Salvini in quanto inodore, insapore, innocuo ed asettico? Di sicuro lui ci crede.

È pieno di sé, come ha svelato quel fuorionda rubato al suo colloquio con la cancelliera tedesca Angela Merkel: «Sono molto determinato. La mia forza è che se io dico "Ora la smettiamo!", loro non litigano». E un po' per mancanza di prove in senso contrario (siamo garantisti) e un po' per amor patrio (quando Guy Verhofstadt lo ha chiamato «il burattino mosso da Di Maio e Salvini» ci siamo italicamente incazzati con l' ometto belga), è giusto dargli credito. Ma se Conte è uomo d' onore, e questo è a tutti gli effetti il suo governo, è a lui che va presentato il conto del bene e del male realizzati con la sua firma. E l' allievo prediletto del grande giurista Guido Alpa non ne esce per niente bene.

A partire dall' atto di concepimento: quel contratto tra M5S e Lega di cui Conte si è vantato di essere uno degli autori, quando ha chiesto la fiducia al Senato. «Gli obiettivi che la nostra squadra di governo si ripromette di raggiungere sono affidati alla pagina scritta, perché le forze politiche che compongono la maggioranza li hanno dichiarati in modo trasparente, vincolandosi ad adottare tutte le iniziative e le misure necessarie a perseguirli». Ci sono voluti nove mesi di travaglio affinché grillini e leghisti riconoscessero ciò che era chiaro sin dall' inizio: quel testo non può vincolare nessuno, dato che su gran parte dei punti controversi sorvola o dice ogni cosa e il suo contrario. L' esempio più clamoroso è la Tav. Nel documento che Conte ha contribuito a stendere, i due partiti s' impegnano «a ridiscuterne integralmente il progetto nell' applicazione dell' accordo tra Italia e Francia». Che è un ossimoro, ovvero una presa per i fondelli, dal momento che ridiscutere il progetto significa stracciare l' intesa italo-francese. Eppure, proprio a questo nonsenso sono tornati i due partiti di maggioranza, con la mozione approvata giovedì in parlamento che riprende pari pari la surreale formulazione del contratto.

SOLUZIONE RAPIDA Per una rapida soluzione della controversia Conte si era impegnato in prima persona: «Tra un po' ci sarà la sintesi», aveva promesso a ottobre. A fine anno era stato categorico: «Prima delle Europee il governo comunicherà in modo trasparente la decisione». Invece si è appena scoperto, senza alcuna sorpresa, che il 26 maggio non si saprà proprio nulla, perché la mozione approvata l' altro giorno serve proprio a rimandare ogni decisione a giugno, o a quando sarà. Un anno buttato. Ieri, per cavarsi d' impaccio dinanzi ai cronisti, pur di non rispondere alle domande Conte ha provato a scherzarci sopra: «Tav o non Tav?». Ma non c' è nulla da ridere, stiamo per perdere miliardi di euro, migliaia posti di lavoro e una fetta di futuro. E l' effetto di una persona seria come lui che cerca di buttarla in caciara è patetico. Nel faldone delle grandi incompiute è entrata ufficialmente l' autonomia che lo Stato dovrebbe concedere a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Anche qui, lo stallo è figlio della paura dei Cinque Stelle, che non possono perdere la faccia dinanzi agli elettori meridionali. Così la faccia la perde Conte, che a fine gennaio si era impegnato con gli italiani del Nord: «Confidiamo di rispettare il termine del 15 febbraio per arrivare a una bozza da discutere». Si è smentito clamorosamente due giorni fa, dicendo che ci vorranno «mesi» per venire a capo della faccenda.

VIVE DI RENDITA Il copione ormai è chiaro: Conte vive di rendita sul fatto di essere sconosciuto al grande pubblico e su un' immagine di serietà accademica che certo non hanno né Di Maio né Salvini. Pure Sergio Mattarella gli aveva concesso credito, ma il modo in cui il Capo dello Stato è intervenuto per rammendare lo strappo con la Francia rivela che non si fida più del personaggio. È lo stesso percorso che Conte ha fatto con gli imprenditori: tanti gli avevano creduto, quando nel discorso d' insediamento si era impegnato a «favorire le imprese che innovano, che assumono nuovo personale, che rispettano le regole della libera competizione». È durata fin quando, su pressione dei compagni a Cinque Stelle, il governo ha approvato il "Decreto dignità", utile alle aziende come un calcio nei denti.

L' ultima promessa Conte l' ha fatta agli italiani: sarà un 2019 «bellissimo» e non servirà «alcuna manovra correttiva». Parole da conservare, perché con l' aria che tira sui conti pubblici rischiano di segnare il passaggio definitivo di Conte dall' eletta schiera dei "nuovi", quelli di cui ci si può fidare, al gruppone dei professionisti della politica, bugiardi per definizione. di Fausto Carioti

Ong, la porcheria che vogliono nascondere i nemici di Salvini: sette ex dipendenti li smascherano


Per essere davvero buoni sembra sia necessario dimostrarsi anche abbastanza stronzi. O almeno così si direbbe, valutando il gran numero di scandali che stanno infangando la reputazione delle maggiori associazioni internazionali che si occupano della difesa dei diritti umani.

Un anno fa toccò ad Oxfam finire travolta dalle accuse di abusi sessuali ad Haiti, poi per lo stesso motivo fu la volta di Medici senza frontiere. Stavolta non c' entra il sesso ma gli addebiti sono di bullismo sul posto di lavoro.

E a finire sotto accusa è Amnesty International. Sette membri dello staff direttivo dell' organizzazione fondata dall' avvocato inglese Peter Benenson nel 1961 hanno presentato le dimissioni dopo che un rapporto aveva denunciato il clima di lavoro «tossico» e il diffuso bullismo all' interno dell' organizzazione. In una lettera indirizzata al segretariato generale Kumi Naidoo, il gruppo leadership di Amnesty ammette che «sono stati fatti errori» e prende su di sè la responsabilità per il «clima di tensione e sfiducia» creatosi.

«Siamo veramente dispiaciuti che la maggioranza dei colleghi si senta sottostimata e non sostenuta e vogliamo fare tutto il possibile per cambiare la situazione», si legge nella lettera al segretario generale, come riportato dal Guardian. «Nell' interesse di Amnesty International, ognuno di noi è pronto a dimettersi», continua la missiva. Naidoo - il quale ha già avvertito che potrebbe non accettare tutte le dimissioni - dovrebbe delineare un piano di riforma entro marzo, che coinvolge anche decisioni sulla leadership.

Una recente ricerca sull' ambiente di lavoro nell' organizzazione, che fra l' altro ha vinto il premio Nobel per la pace nel 1977, ha denunciato che bullismo e nepotismo minacciano la credibilità dell' organizzazione, simbolo della difesa dei diritti umani nel mondo. Il rapporto, promosso dal KonTerra Group - che ha sede a Washington - e condotto da alcuni psicologi, era stato commissionato dopo i suicidi di due dipendenti l' anno scorso, almeno uno dei quali motivato da stress sul lavoro. Alcuni dipendenti hanno anche parlato di discriminazioni basate su genere sessuale e razza e di favoritismi nelle assunzioni.

I sette funzionari che hanno rassegnato le dimissioni sono: Anna Neistat, direttore senior per le ricerche; Thomas Schultz-Jagow, direttore senior delle comunicazioni; Colm Ò Cuanachàin, direttore senior dell' ufficio del segretario generale; Julie Verhaar, direttore senior per la raccolta fondi; Minar Pimple, direttore senior delle operazioni globali; Richard Eastmond, direttore senior dei servizi e Tawanda Mutasah, direttore senior per le questioni legali. Amnesty, che ha una seziona italiana, è stata molto critica del decreto sicurezza voluto dal ministro degli Interni Matteo Salvini, come del resto la maggior parte delle Ong internazionali e, in comune con le altre organizzazioni, condivide tutta una serie di debolezze politiche sinistrorse.

È del mese di gennaio ad esempio la polemica con Israele e la richiesta avanzata a quattro grandi compagnie di prenotazioni - Airbnb, Booking.com, Expedia e TripAdvisor - di boicottare le località turistiche ebraiche negli insediamenti in Cisgiordania, e anche a Gerusalemme est, perché situate in «territori palestinesi occupati». Da notare che la sede di Amnesty a Tel Aviv - in via Kibbutz Galuyot - è l' unica di tutto il Medioriente.

sabato 23 febbraio 2019

RETROSCENA DI PALAZZO voci sul piano di Sergio Mattarella per azzerarla e far cadere il governo


Sulla manovra incombe l’incubo dell’esercizio provvisorio: se non venisse approvata entro il 31 dicembre scatterebbe il regime in questione, che prevede lo stop ad ogni attività economica (lo Stato si dovrebbe limitare alle spese ordinarie).

Mario Monti teme che quella del regime provvisorio sia una possibilità concreta: “Se mai si riuscirà ad evitare…”, ha affermato sibillino.

Nel caso, Sergio Mattarella – sottolinea Dagospia – avrebbe argomenti validi per dare una spallata al governo di Lega e M5s. Nelle ultime ore, fonti vicine al Colle, hanno riferito dello “stupore” e dello “sconcerto” del capo dello Stato per quanto accaduto nelle ore che hanno preceduto l’ok al Senato della legge di bilancio.

 Ma c’è di più. Sabato, tra leghisti e pentastellati, in molti si chiedevano se dietro ai ritardi non ci fosse davvero una “manina”, il cui obiettivo, appunto, sarebbe arrivare all’esercizio provvisorio e, dunque, magari far crollare l’esecutivo. Se questo scenario clamoroso si realizzasse, ci sarebbe già il nome del futuro premier: Mario Draghi.

 “C’è chi vuole renderci la vita difficile, azzopparci in vista delle prossime elezioni europee e magari sperare nell’esercizio provvisorio per far saltare il banco”, confida un grillino a Dagospia. Staremo a vedere. Per certo, Draghi è popolarissimo tra gli italiani: secondo un recente sondaggio Gpf, infatti, il 33% lo vorrebbe come prossimo premier.

Cifre con cui stacca anche Matteo Salvini, al 24%, e Luigi Di Maio, al 22,5 per cneto

"Matteo, elimina Saviano". Salvini reagisce alle grida, ma la sinistra lo attacca


Ancora polemiche per la visita ad Afragola di Matteo Salvini. Dopo il baciamano, ora la sinistra attacca per le parole di un uomo su Roberto Saviano

La visita ad Afragola (Napoli) tra la folla che lo attendeva è minata di polemiche per Matteo Salvini. 

Prima il baciamano, criticato da alcuni. Poi il grido contro Saviano. Ma lui, il ministro dell'Interno, sembra farsi scivolare addosso le polemiche.

L'ultima riguarda Roberto Saviano e a sollevarla è il quotidiano Repubblica. Mentre stringeva le mani ai sostenitori scesi in piazza per salutarlo, alle orecchie del leader della Lega è arrivato un grido ripetuto tre volte. A urlare è un giovane: "Elimina Saviano. Elimina Saviano".

Il riferimento, ovviamente, è all'autore di Gomorra che col ministro dell'Interno è in "guerra" aperta tra polemiche, accuse, insulti e querele. Secondo Repubblica a quelle parole contro Saviano, Salvini non avrebbe risposto "ci si aspetterebbe da un uomo delle istituzioni che ascolta una frase minacciosa lanciata all'indirizzo di un autore che rischia la pelle da più di dieci anni".

 In realtà il leader del Carroccio ha prestato attenzione a quelle grida e le ha fatte tacere: "No, lunga vita a Saviano", ha detto in direzione del ragazzo. Eppure quelle parole, quel "togligli la scorta, la paghiamo noi", per alcuni è bastato a creare un caso politico

“Cagati addosso, ma che voce hai?” così Mario Giordano demolisce Gino Strada, costringendolo a rispondere come un bambino di terza elementare


Duro scontro, costellato di insulti, ieri 12 febbraio a CartaBianca tra il capo di Emergency Gino Strada e Mario Giordano. Si parlava di migranti, sbarchi e ong.

“Lei pensa che gli africani vogliano tutti venire in Italia? Pensa che vogliano quello? Ma che idea si è fatto? Ciascuno ha la sua storia”, dice Strada. “Adesso i nostri giovani migrano dall’Italia, se li immagina se venissero espatriati”, aggiunge il dottore, evidentemente scollegato da ogni logica. Mario Giordano replica: “In tutti gli stati del mondo esistono regole d’accesso.

Altrimenti teorizziamo l’abolizione dei confini. Finché esiste uno stato, può decidere”. Interviene la conduttrice Bianca Berlinguer che dice che effettivamente l’Italia non si può fare carico di tutto. Parla Gino Strada: “La migrazione è un valore.

Nel passato pensiamo a Freud, Einstein, quanti ne perdiamo in fondo al mare per la nostra ottusità mentale. Se uno chiede aiuto è disumano e criminoso non darglielo. Il clima si surriscalda. Giordano incalza: “Non possiamo accogliere tutti”. “Tanti hanno fatto soldi su accoglienza”.

“Sono cag**”, ribatte il fondatore di Emergency, “io non riesco a discutere con questo grillo parlante, tra l’altro con la voce sgradevole“. Inizia a imitarlo. “Bravo faccia l’imitazione”, replica Giordano, “si è ridotto al livello di Sgarbi”. E ancora lo imita. “E’ come discutere con la friggitrice”, dice Strada, che fa un siparietto con la Berlinguer fingendo di non conoscere il giornalista.

“Ma dove l’avete trovato? Non l’avevo mai visto, ma scrive?”. Il dibattito prosegue con Giordano che spiega: “Vorrei che le navi non governative non fossero nel Mediterraneo”. Strada: “Cioè la cosa più umana è impedire alle ong di salvare persone? Ma vada dalla guardia psichiatrica“. Ci vada lei, no lei. La rissa è totale. I toni, ormai, irrimediabili.

Soldi nostri per pagare i ricorsi dei clandestini! Umbria, così la governatrice del PD spende i soldi della sua gente


La Lega insorge: “Impensabile sottrarre 70mila euro di risorse pubbliche destinate agli umbri”. Salvini: “Pd pensa a spendere soldi per gli immigrati”

È partita sfida dell’Umbria al decreto Sicurezza di Matteo Salvini. Il tema è sempre quello degli immigrati. “La Regione stanzia un fondo per i primi 70 profughi che escono dal programma d’accoglienza in seguito al Decreto Salvini”, denuncia Marco Squarta, consigliere regionale di Fratelli d’Italia.

La giunta guidata da Catiuscia Marini starebbe infatti pensando di destinare “1000 euro ai Comuni per ogni profugo” colpito dal dl Sicurezza. “Uno schiaffo ai 5mila umbri che non possono permettersi di comprare i farmaci, alle madri costrette ad indebitarsi per assistere il figlio disabile e in generale alle migliaia di umbri che vivono in povertà“, attacca Squarta.

L’intenzione della giunta regionale, secondo quanto riportano i media locali, sarebbe quella di destinare un fondo di risorse in favore dei migranti coinvolti nella riforma del sistema di accoglienza. Da Palazzo Donini arriverebbero almeno mille euro per ogni straniero, soldi da destinare ai Comuni. “Impensabile sottrarre 70mila euro di risorse pubbliche destinate agli umbri e finanziare progetti di assistenza per gli immigrati”, attacca a Umbriajournal il commissario della Lega a Terni, nonché deputata leghista, Barbara Saltamartini.

“La Regione Umbria prosegue nella sua personale battaglia politica contro il Decreto Sicurezza di Matteo Salvini – spiega l’onorevole – ma ad esserne penalizzati sono ancora una volta i cittadini che non hanno servizi essenziali, che non hanno un lavoro, che viaggiano su strade dissestate, che attendono anni per una visita specialistica“.

Uno scontro a viso aperto tra “la sinistra” la cui “priorità è dare soldi per assistere gli immigrati” e la Lega che intende “sostenere le piccole e medie imprese che stanno chiudendo, le comunità locali e le famiglie in difficoltà, promuovere occupazione giovanile“. Sul caso interviene anche il ministro dell’Interno. “Niente, non ce la fanno, perseverano – scrive su Facebook Matteo Salvini – Nell’Umbria amministrata (ancora per poco) dal Pd si pensa a spendere soldi per gli sbarcati anziché per gli italiani! Ma come si fa?“

Luigi Di Maio, un "comitato centrale" per riorganizzare il Movimento 5 Stelle


Di sinistra lo sono già, almeno su tanti temi. Ora che Luigi Di Maio sta pensando di imprimere una svolta organizzativa radicale al Movimento 5 Stelle, non possono riecheggiare nella testa le parole pronunciate qualche giorno fa da Silvio Berlusconi, che ha definito i 5 Stelle "il male assoluto, persino peggio dei comunisti". Già, i comunisti.

Chissà se è da loro che il leader M5S ha mutuato l'idea di costituire una sorta di "comitato centrale" (quello che nei partiti tradizionali si chiama "direzione") affiancato da una serie di comitati tematici verticali?

 La svolta dovrebbe avviarsi già martedì, il giorno dell'assemblea dei deputati pentastellati cui seguirà una serie di voti sulla piattaforma Rousseau per ratificare (o meno) le proposte.

Quel che è certo è che Di Maio intende, con quei comitati, rabbonire gli "inquieti", i cosiddetti "dissidenti" assegnandogli cariche di rilievo, seguendo quel che a livello istituzionale era stato fatto per Roberto Fico.

Diciotti, il grillino Patuanelli svela il patto con Salvini: "Se non lo salvavamo si tornava al voto e noi..."


È un big grillino a svelare il terrore del Movimento 5 Stelle e il motivo per cui i vertici pentastellati hanno tifato per il "salvataggio" di Matteo Salvini sul processo per il caso Diciotti.

"C'era il rischio di andare ad elezioni anticipate", confida a chiare lettere Stefano Patuanelli, presidente dei senatori M5s intercettato da Augusto Minzolini, nel suo retroscena sul Giornale. 

Patuanelli è esponente dell'ala governativa vicina a Luigi Di Maio, e per questo le sue parole sono ancora più illuminanti e pesanti: "Dare l'autorizzazione al processo al leader leghista avrebbe equivalso a staccare la spina e ad aprire la strada per le urne, con il rischio di prendere meno del 20%. Per cui, tra grandi travagli, abbiamo scelto il no.

In cambio Salvini, che è uomo di parola, andrà avanti in questa esperienza di governo", trovando una mediazione su Tav e autonomie. Ma con quale forza contrattuale riuscirà Di Maio a reggere il gioco?

“I popoli devono rimanere nelle loro terre”. Mons. Crepaldi si schiera con Salvini e la Dottrina Sociale della Chiesa contro la politica immigrazionista di Bergoglio


“La dottrina sociale della Chiesa è chiara: i popoli devono rimanere nelle loro terre.

La politica decide se accogliere o no, la religione deve annunciare Cristo. Ma forse qualcuno se n’è scordato…“

A parlare è Monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio cardinale Van Thuan sulla dottrina sociale.

E’ chiaro che sono parole in netto contrasto con la linea di Bergoglio.

Bergoglio che continuamente sostiene l’immigrazione e condanna il nostro Governo che chiude i porti.

Bergoglio che fa politica invece di preoccuparsi di evangelizzare Cristo.

Bergoglio che vuole arrivare ad un’unione tra le religioni senza tener conto delle differenze sostanziali che le dividono.

Vediamo ora di analizzare le discrepanze tra l’operato di Bergoglio e quanto afferma la dottrina della Chiesa secondo l’arcivescovo Crepaldi.

Prima di tutto Crepaldi, nell’affrontare il problema dei flussi migratori, afferma che bisogna tener conto “del bene comune non solo degli immigrati ma anche della nazione che li accoglie“. Bisogna “interrogarsi sulle reali possibilità di integrazione. Non solo i bisogni di chi chiede l’accoglienza. La politica deve regolare l’accoglienza in modo strutturale nella tutela del bene di tutti“. E riferendosi all’Italia non sottovaluta i problemi legati all’immigrazione: “Combattere la criminalità organizzata e non scaricare tutta la responsabilità sull’Italia” .

Dichiarazioni che suonano nuove per noi cattolici abituati a sentire Bergoglio che non perde occasione per incentivare l’accoglienza di tutti gli immigrati.

Chiediamo quindi a Bergoglio: accogliendo nel nostro Paese uomini forti africani che non scappano da guerre ma entrano irregolarmente con il solo scopo di portare la malavita impadronendosi anche di Paesi come Castel Volturno in mano alla mafia nigeriana, si fa il bene dell’Italia?

Chiediamo a Bergoglio: favorendo con l’immigrazione la criminalità organizzata si fa il bene di uomini, donne, bambini che, una volta entrati nel nostro Paese, non solo vengono costretti a prostituirsi ma macellati per togliere organi vitali e venderli?

Chiediamo a Bergoglio: questi uomini forti, robusti con cellulari all’ultima moda che una volta messo il piede sul territorio italiano si impongono, hanno solo pretese, non rispettano regole di convivenza, vogliono realmente integrarsi nel nostro Paese?

L’integrazione prima di tutto esige il rispetto per il Paese che ospita. I fatti dimostrano che sono gli italiani a subire!!!

Chiediamo a Bergoglio: come “capo” (presunto) della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, perché porta avanti l’obiettivo di costruire un’unica religione mondiale? Come poter accogliere e condividere “prassi contrarie al bene dell’uomo“?

L’arcivescovo Crepaldi proprio riferendosi all’integrazione afferma: “Non bisogna sottovalutare la religione delle persone che vengono accolte. In questo caso l’Islam. Non bisogna far finta che nella teologia islamica non ci siano elementi che rendono difficile l’integrazione“. Aggiunge: “Una società multireligiosa non è un bene in sè. Ci sono religioni che propongono e impongono prassi contrarie al bene dell’uomo, come la superiorità del maschio sulla femmina o le mutilazioni genitali“.

Anche qui doverose sono le domande da rivolgere a Bergoglio.

Chiediamo a Bergoglio: accogliendo tutti questi uomini prevalentemente di religione islamica non c’è il pericolo che l’Italia perda la sua identità di Paese con radici cristiane cattoliche?

Chiediamo a Bergoglio: come mai, invece di continuare ad evangelizzare Cristo, per rispetto verso gli immigrati e per non offenderli, ha appoggiato sacerdoti che si sono posti contro i presepi e hanno chiuso la Chiesa nel giorno del Santo Natale in segno di protesta verso un governo che chiude i porti per il bene del Paese?

Chiediamo a Bergoglio: come mai invece di difendere la religione cattolica non si è pronunciato quando nelle scuole hanno cercato di sostituire il nome di Gesù e Maria nelle canzoncine di Natale per non ferire bambini di religione islamica?

Chiediamo a Bergoglio: perché questi uomini forti, robusti che non scappano da guerre non rimangono nei loro Paesi per aiutare nello sviluppo, nella crescita? Hanno forse l’obiettivo, come del resto dimostrato, di destabilizzare il nostro Paese?

Chiediamo a Bergoglio: come mai è così appoggiato dalla Massoneria internazionale che arriva anche a ringraziarla pubblicamente?

Da non sottovalutare sono anche le posizioni dei vescovi africani che invitano i loro giovani a non emigrare sostenendo la Dottrina Cattolica della Chiesa che al riguardo dice: “Esiste prima di tutto un diritto a non emigrare e a rimanere nella propria nazione e presso il proprio popolo“.

Manovra, l'Ue attacca di nuovo chiede altri tagli all'Italia: ​"Servono ancora tre miliardi"!


Per l'Europa mancano all'appello ancora tre miliardi. Di fatto dopo l'invio dello schema della manovra con le correzioni apportate dall'esecutivo, a quanto pare la situazione versa ancora in una fase di stallo.

Stallo che però potrebbe trasformarsi presto in un procedimento di infrazione. Il dialogo tra Tria e i Commissari Ue continua sulla linea di nuove limature. Ma da Roma i due vicepremier, Salvini e Di Maio, fanno sapere che il dialogo è chiuso e che il deficit/Pil deve restare al 2,04. La Commissione ha chiesto venerdì scorso un taglio di altri 3,5 miliardi di euro.

Tria non è riuscito nell'impresa di trovarli. La soluzione su questo fronte, come sottolinea il Corriere, tarda ad arrivare e adesso è corsa contro il tempo. L'Ue si prepara all'ultima riunione prima di Natale, poi dovrebbero arrivare le raccomandazioni per l'Italia con cui andranno corretti i conti nei prossimi anni.

Non ci sono ancora indicazioni definitive ma dall'Ue trapela la convinzione che i tagli promessi dall'Italia sono poco credibili. Il verdetto Ue comunque potrebbe arrivare il mese prossimo dai capi di Stato e di governo nel corso delle riunioni di Eurogruppo e Consiglio europeo.

In quei vertici si decideranno le sorti dell'Italia.

Per il momento il dialogo prosegue, ma non è esclusa ancora del tutto la possibilità che su Roma arrivi la richiesta di varare una manovra correttiva entro maggio o addirittura entro marzo.

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