sabato 23 febbraio 2019

Milioni rubati all’Africa? Scovata una parte del bottino spazzolato: indovinate in quale cassa si trova


Famiglia Renzi, i 38 mila euro per l’Africa ancora in cassa Il caso finisce in Portogallo –

Parte dei soldi sono stati usati dalla società del parente Conticini per immobili a Lisbona di Marco Lillo per Il Fatto quotidiano

La signora Laura Bovoli, mamma di Matteo Renzi, è una persona cortese. Quando la contattiamo per capire che fine abbiano fatto i soldi versati nella società di famiglia nel 2011 da Alessandro Conticini (indagato dai pm insieme al fratello, Andrea Conticini, il marito della figlia Matilde Renzi e all’altro fratello, Luca) la signora non ci prende a male parole, come pure era lecito attendersi, ma ci risponde. La domanda era un po’ rude: signora Renzi, perché la società di famiglia non regala all’Unicef i soldi incassati nel 2011 da Alessandro Conticini, visto che i pm sostengono che li avrebbe distolti dai fini previsti, insomma ‘rubati’ all’Unicef stessa e ad altre organizzazioni?

Per i pm, Alessandro Conticini, 42 anni, come titolare della Play Therapy Africa Ltd e poi dell’Ida S.a. e dell’Ida Ltd, avrebbe incassato 10 milioni di dollari in gran parte da Unicef (3 milioni e 882 mila euro) e dalla Fondazione Ceil and Michael E. Pulitzer (5,5 milioni di dollari) per portare il sorriso sulla bocca dei poveri bambini africani. Invece di fare la terapia del gioco, secondo i pm, Conticini avrebbe fatto passare i soldi sui suoi conti di Bologna e Capo Verde.

Secondo i pm l’appropriazione indebita sarebbe pari a 6 milioni e 600 mila euro. Il rivolo più velenoso del fiume di soldi è rappresentato dai 133 mila e 900 euro finiti nel periodo 21 febbraio-7 marzo 2011 alla società Eventi6, di cui Matteo Renzi è stato un dirigente in aspettativa fino al 2014, mentre la mamma e le sorelle di Matteo sono socie. Nel 2011, quando Eventi6 non se la passava bene, Conticini fece un finanziamento per 130 mila euro e un aumento di capitale con sovraprezzo per 50 mila euro.

La mamma di Matteo Renzi replica sul punto: “La nostra società ha restituito totalmente ad Alessandro Conticini il finanziamento infruttifero ricevuto l’otto marzo 2011”. Poi prosegue: “La prima e la seconda rata, ciascuna di 26 mila euro, tramite Unicredit Banca il giorno 11 marzo del 2013. La terza rata di 28 mila, con la stessa modalità il giorno 26 giugno 2013. La quarta rata di 10 mila euro il 4 luglio 2013. La quinta rata sempre di 10 mila euro il 12 novembre 2013. Il giorno 24 marzo del 2014, con l’ultimo bonifico di 30 mila euro, il finanziamento è stato azzerato”.

Un mese dopo il giuramento di Matteo Renzi la famiglia del premier aveva chiuso i conti con il finanziamento contestato dalla Procura di Firenze ad Alessandro Conticini e Andrea, il marito di Matilde Renzi. Andrea – quale procuratore del fratello – è accusato di avere impiegato parte del provento criminoso nella società dei Renzi. I pm contestano solo il finanziamento soci per 133.900 euro.

Al Fatto, però, risulta che Conticini entra nella società dei Renzi partecipando a un aumento di capitale e versa il 21 febbraio 2011 altri 50 mila euro per comprare una quota che ha un valore nominale di 12 mila euro, con il meccanismo del sovraprezzo. In pratica il capitale passa da 10 mila a 60 mila euro ma a pagare per l’aumento è solo un socio: Conticini. Alla fine lui avrà solo il 20 per cento della società, mentre le sorelle, senza tirar fuori un euro, avranno il 36 per cento a testa (di un capitale di 60 mila) e la mamma di Matteo l’8 per cento.

Quando Conticini esce nel 2013 però retrocede a Matilde Renzi la sua quota al prezzo nominale di 12 mila euro. Quindi nel capitale della società restano i 38 mila euro di differenza. Alla signora Bovoli abbiamo chiesto: “Perché non donate i 38 mila euro rimasti all’Unicef?”. Inizialmente ha tentato di sostenere che non c’era la differenza. Dopo avere ricevuto via Whatsapp la foto dell’atto, ha corretto il tiro: “Grazie del consiglio ma scelgo da sola (…) domani con l’aiuto del commercialista risolvo il resto”.

Il Fatto intanto ha seguito la pista portoghese. I pm indagano Alessandro e l’altro fratello, Luca Conticini, perché sostengono che un milione e 965 mila euro dal novembre 2015 all’aprile del 2017 è stati distolto dalle iniziative a favore dell’Africa per finire in “un investimento immobiliare in Portogallo”. Ieri La Verità ha scoperto la società immobiliare Cosmikocean Ltd, creata nel gennaio del 2017 di cui è stato gestore Alessandro Conticini a Lisbona. Ora il gestore è Alessandro Radici, un dirigente della Safilo in Portogallo. La società ha sede in rua Santa Marta 66, in un vecchio palazzo in ristrutturazione.

Nel giugno scorso la società ha presentato una domanda urbanistica al comune. Sui siti di agenzie immobiliari di lusso come Sotheby’s si scopre che nel palazzo di rua Santa Marta 66 sono in in vendita almeno quattro appartamenti. Si va da un prezzo di 980 mila euro fino a un milione 390 mila euro. Sui siti ci sono le foto degli interni. Sono le stesse pubblicate da un operatore specializzato in disegni architettonici e foto che attribuisce le case fotografate a “Conticini/Radici”. Contattato dal Fatto, l’autore dice di avere conosciuto Conticini per il lavoro anche se ha ricevuto l’incarico da un’agenzia. Abbiamo chiesto ieri inutilmente ad Andrea Conticini, di rintracciare Alessandro per chiedergli delucidazioni. Andrea ha declinato.

È proprio necessario costringere gli Italiani a rottamare le loro auto Euro4? No, perché in Germania si potranno ammodernare installando nuovi filtri più efficienti finanziati dallo Stato! Siamo solo noi ad essere coglioni?


Mentre in Italia si obbligano i cittadini a cambiare l’auto Euro4, in Germania si stanziano soldi per evitarlo installando nuovi filtri più efficienti!

Il sole 24ore ci informa precisamente di quanto sopra. Ma non nel titolo, fra le righe dell’articolo, alla fine. In tutto questo, giova ricordarlo, ormai è chiaro che:

– l’auto elettrica allo stato attuale inquina più di un mezzo diesel.

– il diesel emette meno CO2 di quasi tutti i cicli termici tradizionali.

Parallelamente, ormai penso tutti abbiate capito che le leggi di blocco del diesel nei centri superiori a 30’000 abitanti sono la traslazione di imposizioni europee da applicare per disposizione dell’EUropa, pena multe all’Italia. Di fatto il risultato è che un cittadino con un’auto Euro3 o Euro4 che deve usarla per lavoro nelle città medio-piccole e nelle metropoli è costretto a cambiare l’auto. Leggasi, sebbene la crisi morda e si sia tutti in crisi bisogna spendere soldi! Ne abbiamo parlato

La cosa interessante è che, come cita il sole24ore.com nel corpo del suo articolo, al contrario dell’Italia in Germania – che è sempre nell’UE, almeno per ora – vengono stanziati soldi per migliorare i filtri esistenti delle auto inquinati in modo da evitare di costringere la gente a cambiare l’auto. E’ risaputo infatti che esistono riconosciute tecnologie relativamente semplici ed a basso costo in grado di ridurre le PM10 praticamente a zero iniettando idrogeno in camera di combustione (costo: qualche centinaio di euro per installazione, più 10 euro per 10’000 km circa).

Cito, dall’articolo del Sole24ore.com, dal titolo “Auto diesel, blocchi del traffico con scatola nera solo su base volontaria“, del 14.11.2018:

“…L’azione legale conta sulla collaborazione di Ugo Taddei, avvocato specializzato in materia perché lavora per ClientEarth, organizzazione che ha già portato avanti iniziative analoghe con risultati in Germania, Regno Unito, Francia e Polonia. Ma solo in Germania la combinazione tra blocchi del traffico imposti dalle amministrazioni locali e pressioni della politica ha inditto i costruttori a stanziare una cifra considerevole (si parla di 3.000 euro) per montare su ogni vettura diesel già circolante filtri e aggiornamenti che consentano di ridurne realmente le emissioni di polveri sottili e biossido di azoto. …”

In Italia invece no, nessun aiuto, gli italiani devono spendere e magari indebitarsi per cambiare l’auto pena multe da sanguisuga: classico esempio di asimmetria intra-comunitaria, comportanti diversi dello Stato a fronte dello stesso problema! Ovvero oggi in Italia si fa pagare al cittadino il costo di far girare l’economia [ed arricchendo con i poveri soldi dei “consumatori obbligati” sempre i soliti eletti, che però oggi non impiegano più nemmeno così tante persone in Italia per produrre auto, …].

Italia vacca da mungere, i cittadini italiani sono vacca da mungere e dunque devono indebitarsi per cambiare l’auto. Finchè la mucca non muore….

Viene il dubbio – legittimo – che lo scopo di queste leggi EUropee non sia quello di salvaguardare l’ambiente (visto che le auto elettriche, sebbene più inquinati siano esonerate dai blocchi) ma espressamente di costringere i cittadini italiani a SPENDERE PER CAMBIARE L’AUTO! [per volere – ed interesse – EUropeo, ndr]

Per inciso, quanto sopra rappresenta il classico sintomo del colonialismo imperante con cui gli italiani dovranno abitarsi a convivere negli anni a venire, se non si uscirà dall’EU. Per inciso, se ancora non lo avete capito, i colonizzati siete voi che mi leggete.

Renzi fa censurare le Iene e il servizio su di lui nonm va in onda



Il servizio era già pronto. Tagliato, confezionato e approvato per la messa in onda lunedì 23 novembre. Poi il dietrofront: Mediaset decide che non deve andare.

E così sparisce anche il post che sulla pagina ufficiale delle Iene aveva annunciato nuove rivelazioni sugli scontrini di Matteo Renzi. “Anteprima del servizio ‘Gli scontrini di Renzi #escili’ di Iena Dino – Dino Giarrusso in onda questa sera #LeIene“, si leggeva online. Oggi, cliccando su quel post, il risultato è una pagina vuota in cui si legge: “Spiacenti, questo contenuto non è al momento disponibile”.

Sulla vicenda degli scontrini di Renzi sindaco (2009-2014) oggi si è pronunciata la Corte dei Conti, che ha archiviato l’inchiesta. Stesso destino anche per quella che riguardava le spese quando era presidente della Provincia (2004-2009).

La mancata messa in onda è stata rilanciata anche da diversi utenti su Twitter, specie dopo l’intervento – riportato anche da Dagospia – di Giuseppe Cruciani, conduttore de la Zanzara su Radio 24. “Perché ieri sera non è andato in onda il servizio delle Iene di Dino Giarrusso sugli scontrini di Renzi quando era sindaco e presidente della Provincia? – ha detto durante la trasmissione del 24 novembre – Sul sito Facebook del programma era uscita persino un’anteprima di trenta secondi in cui si annunciavano nuove rivelazioni imbarazzanti per il premier. E il pezzo era regolarmente in scaletta. Cosa è successo?”. E prosegue ancora: “E’ intervenuta una manina dall’alto o l’ufficio legale Mediaset ha bloccato tutto per fare ulteriori verifiche? Nel servizio si parlava di una cena familiare di Renzi al ristorante da Lino interamente rimborsata dalla Provincia, con tanto di fattura”.

Cruciani, si legge sul sito di Radio 24, rivela anche il contenuto del servizio: “La iena aveva scoperto – ho poi saputo da altre fonti – che Renzi si sarebbe fatto pagare dalla provincia di Firenze una cena familiare da 80 euro, con la moglie che era incinta della terza figlia (nata nel 2006, ndr). Hanno pure scoperto che la scusa ridicola del sindaco Nardella di non rendere trasparente le spese di Renzi al comune – c’è un’inchiesta della Corte dei Conti – non regge da un punto di vista legislativo”.

Matteo Salvini mostra la mappa che incastra le Ong: immigrazione, una prova schiacciante


Matteo Salvini ha pubblicato la mappa della situazione attuale nel Mediterraneo su Twitter: "Cartina aggiornata", scrive il ministro dell'Interno, che nota: "Senza navi delle Ong davanti alle coste della Libia, guarda caso da quindici giorni non parte più neanche un barcone, e non muore più nessuno". "Coincidenze?", si chiede ancora Salvini.

 Solo ieri 3 febbraio il vicepremier della Lega aveva dato le cifre del Viminale sugli sbarchi: "2 febbraio 2018: 4.566 sbarchi. 2 febbraio 2019: 202 sbarchi. Variazione 2019/2018: meno 95 per cento". Ma c'è di più, sottolinea il leader della Lega: "Con 482 espulsioni, per la prima volta superiori agli sbarchi (più del doppio). Altri chiacchieravano, noi facciamo. Dalle parole ai fatti".


Matteo Salvini, la lezione a Renzi sull'arresto dei suoi genitori: cosa devono imparare i piddini


Fino a martedì insulti reciproci e battutine velenose.

Le classiche schermaglie tra rivali in politica. Ma da martedì sera tra Salvini e Renzi sono cambiati i toni. L' arresto dei genitori dell' ex premier non ha spinto il ministro dell' Interno a fare il gesto delle manette come un grillino qualsiasi. Anzi, il Matteo leghista ha dato una lezione di civiltà, umanità e garantismo ai tanti democratici (si fa per dire) che hanno passato anni a invocare la ghigliottina per Berlusconi, per Bossi e i suoi familiari, e per Salvini a causa della famosa storia dei 49 milioni che sarebbero spariti dalle casse del Carroccio.

Leggete queste frasi. Martedì sera, a caldo, dopo la notizia dei domiciliari per Tiziano Renzi e Laura Bovoli, rispettivamente padre e madre dell' ex Rottamatore: «Io gioisco quando vengono arrestati i terroristi, i delinquenti, i mafiosi, gli spacciatori. Quando vengono arrestati due 70enni, genitori di un avversario politico, magari qualcuno ha motivo per festeggiare io proprio no. Poi - ha proseguito - rispetto il lavoro dei giudici. Se lo hanno fatto, avranno i loro motivi però non è motivo per festeggiare o brindare alcunché, perché le battaglie politiche le voglio vincere con le idee non con gli arresti».

Concetto ribadito dal leader del Carroccio il giorno dopo: «Lo dico anche se qualcuno a sinistra pagherebbe per vedermi in galera. Le battaglie politiche le voglio vincere con le idee, senza aiutini e quando tirano in ballo le famiglie mi incazzo».

Ieri mattina la dichiarazione più forte: «Spero che mamma e papà tornino liberi il prima possibile». L' atteggiamento di Salvini, di superiorità nei confronti dei compagni di Renzi, non ha avuto il risalto mediatico come altre espressioni rivolte magari verso immigrati delinquenti.

Ma come mai l' uomo che invoca ruspe e porti chiusi, si scopre poi garantista verso un avversario? Forse galeotta fu la cena di Firenze, organizzata dalla regina del garantismo italiano, ovvero Annalisa Chirico. All' evento parteciparono magistrati, dirigenti, politici (compresa Maria Elena Boschi) e, come da copione, si scatenò una polemica. C' era chi addirittura vaneggiava di incontri segreti tra i due Matteo. Invece, semplicemente, la presenza di Salvini era solo una delle tante tappe del percorso che sta compiendo il segretario leghista: quello da leader di lotta a potenziale capo del governo. Non si può infatti stare a Palazzo Chigi se hai tutti contro.

IL PERCORSO Intendiamoci. Non è che ora il vicepremier sia diventato di sinistra. Ci mancherebbe altro. Infatti mentre da una parte commentava negativamente la misura a carico di babbo Renzi, dall' altra non risparmiava accuse al figlio dell' arrestato. Quando l' ex sindaco di Firenze ha parlato di «voto di scambio» tra la Lega che rinuncia alla Tav e i Cinque Stelle che salvano il vicepremier dal processo per il caso Diciotti, il ministro dell' Interno ha commentato così: «È una fesseria.

Renzi di giustizia deve lasciare parlare altri. Questa ipotesi del mercato è veramente squallida». E ieri sera, durante un comizio a Cagliari in vista del voto di domenica, Matteo ha attaccato il candidato presidente della Regione di centrosinistra, Massimo Zedda: «Una piazza così mi dà l' energia per andare avanti come una ruspa. Da qui diamo l' avviso di sfratto al centrosinistra», gli ha fatto eco il candidato del centrodestra Christian Solinas.

Che giravolta. La sinistra ha passato la vita a tifare giudici e arresti, senza curarsi della correttezza dei provvedimenti, ma soprattutto senza approfondire le varie vicende processuali. E adesso balbetta... Prima girotondi, manifestazioni e campagne mediatiche insopportabili. Ora imbambolati. Ha ragione Salvini che, sempre da Cagliari, ha ironizzato sui compagni: «Fanno simpatia, i comunisti. Sono banali... Questi vedono i marziani: quando non sanno cosa dire dicono "fascista" e "razzista". Riempitevi la casa di clandestini, dategli da bere e da lavorare, coi vostri quattrini e non rompete le p... agli altri sardi». Però, ha concluso, «i comunisti li trattiamo bene, perché sono una specie in via di estinzione. Faremo un parco naturale in Sardegna per tutelarli».

SCANDALO UNICEF, SCOVATO IL CONTO MILIONARIO: non solo un villone a Cascais, adesso spunta un’intera palazzina in centro a Lisbona


VILLE COMPRATE CON LE DONAZIONI PER I BAMBINI: LE CARTE INGUAIANO I CONTICINI, FAMILIARI DI RENZI – DAL CONTO SU CUI ARRIVANO I SOLDI PER L’UNICEF, PARTE UN BONIFICO PER IL PORTOGALLO, E IL COGNATO DI RENZI DIVENTA PROPRIETARIO DI UNA VILLONA A CASCAIS – NON MANCA IL PARADISO FISCALE DI GUERNSEY, ISOLA DELLA MANICA DOVE PASSA CHI VUOLE PAGARE POCHE TASSE ED ESSERE POCO TRACCIABILE

La saga dei 6,6 milioni di dollari, che alcuni parenti di Matteo Renzi avrebbero sottratto ai fondi per i bambini africani, si arricchisce di un nuovo capitolo grazie ad alcuni documenti di cui La Verità è entrata in possesso.

Le carte sembrano dimostrare come siano stati utilizzati i soldi inviati all’ estero da un conto corrente della Cassa di risparmio di Rimini riconducibile ai Conticini e sottoposto all’ attenzione della Procura. Alessandro e Luca sono accusati di appropriazione indebita e autoriciclaggio, mentre il fratello Andrea, il cognato dell’ ex premier, è indagato per riciclaggio.

Come abbiamo già riferito, i Conticini avrebbero effettuato, via bonifico, investimenti immobiliari in Portogallo tra il 17 novembre 2015 e il 4 aprile 2017. La Procura però, negli avvisi di garanzia, non specifica quali, anche perché non ci risulta siano state effettuate rogatorie nel Paese lusitano.

Ma La Verità ha scoperto che il 23 novembre 2015, alle 17 e 18 minuti, sei giorni dopo l’ invio del bonifico del 17 novembre, nel registro immobiliare della Conservatoria di Cascais è stato annotato l’ acquisto della spettacolare «villa Pandana» in Travessa Sao Carlos, 200 metri di area coperta e 1.215 di area scoperta. Gli acquirenti sono Alessandro Conticini e la moglie francese Valérie Quéré, i quali, ci informa l’ atto, hanno scelto come regime patrimoniale la comunione dei beni.

A vendere sono Fernando Carlos Rodrigues Martins, un docente di storia medioevale, e la consorte Maria Helena. A quanto risulta alla Verità l’ acquisto è stato fatto «cash», cioè senza l’ accensione di mutui. Dunque parte dei soldi provenienti dall’ Italia e che, secondo la Procura, arrivavano dalle donazioni dell’ Unicef e della Fondazione Pulitzer (che ammontavano in tutto a circa 10 milioni di dollari) sarebbero serviti per acquistare una sontuosa magione divenuta la residenza dei Conticini.

Grazie a un altro documento recuperato dalla Verità in Portogallo, emerge in modo inconfutabile che un altro immobile, un’ elegante palazzina di Rua de Santa Marta 66 a Lisbona, appartiene («piena proprietà», si legge nel certificato urbanistico dell’ Autorità fiscale e doganale, la nostra Agenzia delle entrate) alla società anonima Cosmikocean che, come già raccontato, è di Alessandro Conticini, della moglie e di altri due soci italiani. L’ edificio è in via di ristrutturazione ed è suddiviso in quattro lussuosi loft di circa 150 metri quadrati l’ uno, in vendita a un prezzo complessivo di 4.360.000 euro.

Anche in questo caso, considerata l’ accuratezza delle rifiniture, l’ affare immobiliare non pare avere lo scopo di ospitare piccoli denutriti o comunque in disgrazia, ma dà più l’ idea di una speculazione immobiliare destinata a far realizzare sostanziose plusvalenze.

Tra le contestazioni dei magistrati Luca Turco e Giuseppina Mione anche la sottoscrizione di obbligazioni della società Red Friar private equity limited Guernsey per 798.000 euro. Guernsey è una delle isole della Manica che gode di una tassazione privilegiata. È un «baliato» (complicato e arcaico sistema di governo retto da un «balivo») che dipende direttamente dalla Corona britannica, e non dal Regno Unito.

Caratteristica di queste isole sono i pascoli (a Guernsey esiste anche una razza bovina autoctona) e una tassazione bassissima, in alcuni casi azzerata. Per questo aziende, imprenditori e celebrità spostano capitali sull’ isola e molti dei loro nominativi sono emersi nei Paradise paper, come quelli del cantante degli U2 Bono Vox o della Apple, che ha trasferito su questo isolotto dalla superficie di 78 chilometri quadrati diversi uffici, dopo che l’ Irlanda ha inasprito il proprio regime fiscale agevolato.

Ma perché i Conticini hanno puntato proprio su Guernsey? L’ isola deve essere ben conosciuta alla famiglia di Valérie, che è originaria della Bretagna e precisamente di Morlaix, cittadina a circa 130 chilometri a Sudovest dell’ isola. I coniugi, poi, prima di trasferirsi in Portogallo, risultavano residenti a Guimaëc, un villaggio con meno di mille abitanti, ancora più vicino in linea d’ aria a Guernsey (120 chilometri). La famigliola ha investito in una società che ha la sede a St Peter, il capoluogo dell’ isola, dove a ogni cassetta postale corrispondono numerose società.

La Red Friar fa parte di un gruppo diretto da un australiano residente a Guernsey con la passione per le moto (è l’ editore di una rivista specializzata). Il suo nome è Warren Malschinger e risiede a Guernsey. Il quartiere generale è nell’ ottocentesca Warwick House dove ha sede dal 1921 il locale Sporting club e si trova proprio di fronte all’ Elizabeth college. Warren è l’ amministratore delegato di Equity bridge asset management e vanta «oltre 20 anni di esperienza nel campo della finanza aziendale e degli investimenti internazionali». Il manager è direttore di più fondi onshore e offshore, tra cui il Red friar («Frate rosso»).

Dalle carte apprendiamo che i Conticini non avrebbero scommesso solo su questo piccolo paradiso fiscale, ma acceso anche conti correnti in Paesi in cui il segreto bancario è abbastanza ben custodito: a Capo Verde (Banco Caboverdiano De Negòcios) e alle Seychelles (Barclays bank).

Nel 2013 l’ Unicef deve aver sentito puzza di bruciato e ha messo alla porta i Conticini e la loro Play therapy Africa. Ha, invece, continuato a finanziarli, almeno sino al 2016, Cecille Stell Eisenbeis, un’ anziana filantropa, moglie di Michael Edgar Pulitzer, la quale, dagli Stati Uniti ha preso le loro difese, sebbene dica di averne perso le tracce tre anni fa.

L’ avvocato degli indagati, Federico Bagattini, raggiunto dalla Verità, risponde dal luogo di vacanza, che accidentalmente è il Portogallo.

Scherzando gli domandiamo se sia volato a Lagos, nell’ Algarve, per cancellare le prove contro i suoi clienti, e lui sta al gioco.

Poi però precisa: «Alessandro Conticini ha usato un suo conto corrente e non deve provare che i soldi erano suoi. È la Procura che deve provare che non lo erano, e che non ne poteva disporre. Io qui ho delle persone offese che dicono che hanno fatto i controlli e che per loro è tutto regolare. Punto».

Nel frattempo Alessandro e Valérie sembrano aver cambiato decisamente vita. Per esempio nel villone di Cascais, ad aprile, la signora aveva organizzato la nuova edizione del programma Clear1, una specie di corso pratico per accrescere l’ autostima e raggiungere i propri obiettivi.

«Qualunque sia il livello di avanzamento del tuo nuovo progetto (professionale o personale), desiderio profondo, percorso o progetto appena avviato, Clear porterà chiarezza per agire concretamente nella giusta direzione» si legge nella brochure di presentazione. Lo stage, di 32 ore, aveva la finalità di «delineare l’ obiettivo; sviluppare la visione; ascoltare l’ intuizione; accedere alle risorse; superare gli ostacoli; impostare la strategia e il piano d’ azione». Una lezione che i coniugi Conticini, secondo l’ accusa, devono aver introiettato con profitto. La signora risulta essere anche «professionista Ho’ oponopono», un’ antica pratica hawaiana di risoluzione dei problemi attraverso la riconciliazione. Letteralmente significa «metti le cose al posto giusto» e il mantra dei sacerdoti guaritori in Occidente è stato così semplificato: «Mi dispiace, ti prego perdonami, ti amo, grazie». Chissà se tanto basterà ai magistrati.

Straordinario! Il Governo va all'attacco dell'UE sul Fiscal compact che ha inginocchiato l'Italia e gli italiani


Le regole europee vanno riviste perché furono “approvate in fretta” ma “non rispondono all’esigenza di far fronte al veloce rallentamento” in corso.

Un rallentamento che “per l’Italia significa recessione” ma che coinvolge “tutte le grandi economie”. Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, all’inaugurazione dell’anno accademico all’università Tor Vergata, propone una revisione del Fiscal compact Ue, attaccando a distanza Jean-Claude Juncker. E avverte: “Non ricostruiremo mai la fiducia con i tecnicismi“.

Le regole vanno riviste perché “non consentono di tenere conto della mutevolezza delle condizioni economiche, in tal modo impediscono aggiustamenti discrezionali delle politiche finendo con l’agire in direzione prociclica se non strutturalmente deflattiva”.

Ma Tria è entrato in dettaglio anche sulla posizione italiana in merito ai paletti Ue: “L’Italia si è espressa favorevolmente al Fiscal compact quando tutto sembrava sgretolarsi con la crisi – ricorda il ministro – Ma quelle sono regole che funzionano con una crescita sostenuta e non consentono di rispondere alle esigenze della situazione corrente”.

 “Per fare fronte ai momenti di crisi “quello che sto suggerendo – continua Tria – non è non avere regole ma che nelle politiche economiche i tecnicismi non dovrebbero avere lo stesso peso politico delle ragioni fondamentali del cooperare tra nazioni”.

Tria ha raccontato anche dettagli in merito all’approvazione della Legge di Bilancio, quando sembrava che l’Italia “volesse mettere in discussione le regole tecniche e addirittura la moneta unica, come se l’unico motivo per stare insieme fossero le regole fiscali”.

 “Ma il progetto europeo ha bisogno di puntare a qualcosa di più grande, giocando un ruolo più decisivo per una globalizzazione sostenibile”, evidenzia Tria. E sul rallentamento economico? “Le previsione Ue indicano un rallentamento per tutti”, ha tagliato corto.

Denaro contante e regali di lusso: incastrata la Pezzopane! E’ lei l’indagata PD del giorno


“Non so nulla, non ho ancora ricevuto niente, tuttavia ho fiducia nella magistratura – afferma la senatrice dem -. Mi dispiace che i magistrati debbano lavorare spesso su cose del genere, mi sembra un grande calderone che alla fine si chiarirà”

La senatrice aquilana del Pd Stefania Pezzopane è indagata con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti assieme ad Angelo Capogna, imprenditore che si occupa di illuminazione pubblica e che l’ha accusata nel corso di due interrogatori in relazione a una campagna elettorale degli anni scorsi. Originario del Frusinate, Capogna è amministratore della Saridue Srl e con le sue denunce nei mesi scorsi ha originato una maxi inchiesta nei confronti di politici e funzionari di Comuni marsicani, descrivendo un sistema di “tangenti sui lampioni”.

La Pezzopane, 57 anni, senatrice dal 2013, è stata anche assessore e presidente del Consiglio in Comune, presidente della Provincia dell’Aquila e assessore e vice presidente del Consiglio regionale. “Non so nulla, non ho ancora ricevuto niente, tuttavia ho fiducia nella magistratura – afferma la senatrice Pezzopane -. Mi dispiace che i magistrati debbano lavorare spesso su cose del genere, mi sembra un grande calderone che alla fine si chiarirà”.

A interrogare Capogna, che ha descritto un sistema di ‘tangenti sui lampioni’ con contanti e regalie in cambio di commesse nel suo settore, un’indagine di cui questo nuovo filone è uno stralcio, i sostituti procuratori della Repubblica di Avezzano (L’Aquila) Maurizio Cerrato e Roberto Savelli, che tra le sue parole hanno riscontrato un’autonoma fattispecie di delitto che coinvolgerebbe la Pezzopane, in violazione della legge numero 195 del 1974, quella che regola appunto il finanziamento ai partiti. Per questo è stato aperto un fascicolo autonomo e lo scorso 11 aprile le carte sono state trasmesse alla competente procura aquilana, dal momento che il fatto sarebbe avvenuto nel capoluogo.

Nelle scorse settimane, in un secondo interrogatorio fiume, il principale indagato, nonché accusatore, è stato sentito dagli agenti della squadra Mobile aquilana, in particolare della prima sezione diretta dal sostituto commissario Sabatino Romano, Mobile che ha da poco cambiato dirigente, da Gennaro Capasso a Tommaso Niglio. Secondo quanto appreso da fonti investigative, anche in questo filone si starebbe verificando la possibile sussistenza di ipotesi accusatorie di corruzione. L’inchiesta nata dalle denunce di Capogna è sfociata nel marzo 2016 in perquisizioni e acquisizioni di documenti nei confronti di 25 indagati, che sono diventati 36 fin qui noti pochi giorni fa, quando sono stati notificati gli avvisi di conclusione delle indagini.

Roberto Formigoni, condanna a 5 anni e 10 mesi in Cassazione: l’ex governatore lombardo dovrà andare in carcere


L'ex governatore della Lombardia condannato in via definitiva per corruzione nel processo per il crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele. Pena abbassata rispetto ai 7 anni e 6 mesi inflittigli in appello. Per effetto della cosiddetta legge Spazzacorrotti, il reato è stato inserito tra quelli cosiddetti "ostativi", che impediscono di chiedere misure alternative. Per il "Celeste", quindi, si aprono le porte della prigione

Roberto Formigoni, ex presidente della Lombardia e già senatore, è stato condannato in via definitiva a 5 anni e 10 mesi per corruzione nel processo per il crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele. Lo ha deciso la Cassazione, che ha respinto anche gli altri ricorsi dei coimputati. I giudici di piazza Cavour hanno abbassato la pena rispetto ai 7 anni e 6 mesi inflitti in appello perché hanno preso atto che una parte delle accuse, in particolare quelle relative al San Raffaele, erano prescritte. I magistrati hanno anche confermato la condanna a 7 anni 7 mesi per Costantino Passerino, ex direttore generale della Fondazione Maugeri, e a 3 anni e 4 mesi per l’imprenditore Carlo Farina.

Ora la decisione della Suprema Corte sarà trasmessa alla procura generale di Milano per l’esecuzione della pena. Per effetto della cosiddetta legge Spazzacorrotti, il reato di corruzione è stato inserito tra i cosiddetti reati “ostativi” che impediscono di chiedere misure alternative. Per il “Celeste”, quindi, si aprono le porte del carcere. Non appena verrà trasmesso il dispositivo, il sostituto pg Antonio Lamanna, titolare del fascicolo, emetterà l’ordine di esecuzione della pena. Ordine che verrà immediatamente eseguito a meno che, come probabile, Formigoni non si costituisca spontaneamente.

All’ex presidente della Regione Lombardia è contestata una corruzione fatta di cene, viaggi e gite in barca. Divertimenti e anche un acquisto agevolato di una villa in Sardegna. Tutto pagato con i soldi fuoriusciti dalla casse dell’istituto Maugeri di Pavia e dell’ospedale San Raffaele di Milano. Per questo il pm di Milano Laura Pedio durante il processo di primo grado ricordò come “70 milioni di euro” erano stati “tolti ai malati per i suoi sollazzi”. Una “serie di utilità” per favorire i due enti lombardi con delibere di giunta per circa 200 milioni di rimborsi pubblici.

Il pg: “Attenuare la pena sarebbe come calpestare la legge” Il pg della Cassazione Luigi Birritteri, chiedendo la conferma della pena inflitta in appello a 7 anni e mezzo, durante la requisitoria aveva contestato un “imponente baratto corruttivo… tenuto conto del suo ruolo e con riferimento all’entità e alla mole della corruzione, che fanno ritenere difficile ipotizzare una vicenda di pari gravità“. Il rappresentante dell’accusa aveva chiesto anche di non attenuare la pena per Formigoni ed evitare “che la legge possa essere calpestata con grida manzoniane. Per il magistrato la mole delle prove era “imponente” ed è stata “ulteriormente corroborata” dal concordato in appello di Daccò e Simone. L’ex numero uno del Pirellone è stato condannato sia in primo che in secondo grado con una pena più dura rispetto a quella inflitta dal Tribunale.

“A Formigoni utilità per 6,6 milioni” – Secondo quanto hanno ricostruito dagli investigatori della Guardia di Finanza, tra il 2001 e il 2011, dalle casse della Fondazione Maugeri e del San Raffaele (reato ormai prescritto) sono usciti rispettivamente 70 milioni e 8-9 milioni di euro. Un fiume di denaro che poi era transitato attraverso i conti di società “schermate” con sede all’estero, per poi tornare nella disponibilità dell’imprenditore e faccendiere Pierangelo Daccò e l’ex assessore regionale Antonio Simone (entrambi hanno patteggiato in appello, ndr) ed essere messi a disposizione di Formigoni e degli allora vertici del Pirellone. Per lui e per il suo entourage Daccò e Simone avevano organizzato vacanze ai Caraibi, o su yacht in Costa Azzurra e in Sardegna, cene in ristoranti stellati e hanno fatto recapitare intere casse champagne.

A questi benefit si aggiungono diverse migliaia di euro di contributi elettorali e una villa in Costa Smeralda venduta da Daccò all’amico storico del Celeste, il commercialista Alberto Perego, a un prezzo decisamente inferiore a quello di mercato. Proprio il professionista si era offerto di acquistare l’immobile che è stato sequestrato dopo la sentenza di primo grado. In cambio, il Pirellone aveva approvato diverse delibere di giunta, modificato la legge sul no profit e riconosciuto fondi per le funzioni non tariffabili, per favorire la Maugeri e il San Raffaele con oltre rimborsi pubblici. Il meccanismo si è interrotto con i problemi finanziari dell’ospedale fondato da Don Verzè, che era quasi fallito, dal quale sarebbero emerse prove “di pagamenti costanti di utilità a Formigoni per 6 milioni e 600 mila euro per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio”. Formigoni ha sempre negato le accuse. Ma dai suoi conti correnti nel corso degli anni sono usciti pochi soldi e per importi bassi, né è stato mai in grado di presentare scontri o ricevute di pagamento.

venerdì 22 febbraio 2019

Regionali Sardegna, PD senza vergogna: tra i candidati il senegalese che ha fatto i milioni con i centri d’accoglienza illegali


La Sardegna è attraversata in queste ore da vibranti proteste che, iniziate dai pastori per via del prezzo del latte ritenuto nocivo per la propria attività, mostrano comunque una situazione generale dell’isola dove monta la tensione in vista delle regionali.

Proprio dalla provincia ritenuta al momento epicentro della protesta, ossia quella di Sassari, arriva una storia che non sta mancando di agitare politica ed opinione pubblica locale durate questa delicata campagna elettorale.

Tutto parte da un nome: Cheikh Diankha. Ai più forse non dice molto, ma tra Sassari e Porto Torres è ben conosciuto e la sua nomina rimanda al business dell’accoglienza di migranti. Diankha è senegalese e nel giugno del 2016 è al centro di diversi articoli della stampa locale, in cui si spiega il valore dell’iniziativa di un centro d’accoglienza posto tra Sassari e Porto Torres: il nome della società che gestisce il centro è Janas, situato nella località di Li Lioni. Parole, quelle di Cheikh Diankha, che parlano di un’integrazione riuscita. Gli ospiti del centro infatti, tornano a fare il lavoro già svolto in patria prima di approdare in Italia, ossia i contadini. Le terre, racconta all’epoca Diankha, vengono coltivate dai migranti ospitati a Li Lioni.

Il senegalese parla come responsabile del centro Janas, le sue parole vengono riferite anche all’Ansa. Da qui una grande attenzione mediatica, che spinge una troupe dell’americana Pbs fino in Sardegna. Ma ecco che iniziano le amare sorprese. Il responsabile del centro d’accoglienza non risponde alle chiamate, nelle terre dove in teoria dovrebbero esserci i migranti al lavoro nella pratica non si trova nessuno. Malcolm Brabant, autore del reportage, pubblica il suo articolo su questa vicenda il 16 settembre 2016. Il giornalista statunitense afferma di essere arrivato in Sardegna proprio per mostrare un esempio di integrazione riuscita, a fronte di dati che parlano di un 80% di donne nigeriane costrette alla prostituzione appena giunte in Europa. Ma quella che riprende con i suoi operatori, è una situazione del tutto diversa da quanto prospettato alla vigilia e dagli articoli di alcuni mesi prima.

Dopo una settimana di presenza nel nord della Sardegna, Cheikh Diankha non risponde alle chiamate ed allora i giornalisti della Pbs decidono di andare a trovare il senegalese direttamente nel centro di Li Lioni. Qui la situazione appare ancora più grave di quanto si potesse immaginare. Il centro definito poche settimane prima “modello”, altro non è che una ex discoteca denominata “Kiss Kiss” chiusa per presunti giri di prostituzione nell’ambito di un blitz delle forze dell’ordine chiamato “Moulin Rouge”. La struttura, tra le altre cose, si trova in piena campagna e per raggiungerla occorre percorrere una strada sterrata adiacente o quasi alla Ss 131, la statale cioè che collega Porto Torres con Sassari. Il contesto viene ritenuto piuttosto squallido: non vengono evidenziati, in particolare, lavori di ristrutturazione tali da trasformare un ex locale notturno in centro di residenza.

La troupe della Pbs non è comunque l’unica ad interessarsi al caso. In quei mesi raggiunge Li Lioni anche l’Ong “LasciateCIEntrare”, che si batte per facilitare controlli all’interno delle strutture di accoglienza. Gli attivisti denotano le stesse criticità evidenziate dai giornalisti americani, per di più nel loro report di luglio 2016 descrivono la situazione come poco consona all’accoglienza, anche per via della lontananza del centro dai più prossimi centri abitati. Nell’ottobre 2016, scoppia anche una mega rissa tra nigeriani e somali ospiti di Janas, nei mesi successivi vengono riportate dai media locali altri episodi di tensione ed in almeno un caso alcuni migranti occupano la vicina Ss 131.

La situazione è quindi tutt’altro che tranquilla. Il responsabile della struttura non appare molto tenero con gli attivisti dell’Ong sopra citata. Più di una volta Cheikh Diankha, come si legge su La Verità, allontana infatti coloro che provano a parlare con lui. Nei primi mesi del 2017, questi episodi raccolgono l’attenzione di alcuni politici locali. Vengono predisposte visite ad opera di delegazioni di consiglieri regionali e consiglieri comunali. Uno di questi, Maurilio Murru del M5S, a La Verità dichiara le impressioni già riportate dalla troupe americana e dalla Ong.

Vengono realizzati sul centro di Li Lioni alcuni dossier parlamentari. Si scopre, tra le altre cose, che nonostante le critiche ed i report poco lusinghieri, la Janas espande le proprie attività di accoglienza e nel 2017 incassa 2.150.000 Euro per la gestione dei suoi centri che comprendono, oltre a quello di Li Lioni, anche le strutture di Campanedda e La Corte, sempre in provincia di Sassari. Si scopre inoltre che la sede legale della Janas corrisponde all’indirizzo di uno dei soci e che, soprattutto, il senegalese Cheikh Diankha non sembra avere incarichi ufficiali all’interno della società.

Cosa c’entra tutto questo con le regionali del 24 febbraio? Semplice: il senegalese che parla a nome della Janas pur non avendo ruoli specifici sulla carta, è candidato con la lista del Pd. La circostanza, secondo diverse fonti locali, avrebbe messo in imbarazzo gli stessi vertici del partito. Addirittura, come riferisce ancora La Verità, la segreteria cittadina del Pd avrebbe dichiarato di non conoscere Cheikh Diankha. Una presa di distanze che si giustifica con il fatto che quel reportage girato nel 2016 dalla Pbs, oggi è virale in provincia di Sassari. E mette in difficoltà ovviamente il Pd.

Ignazio Mangrano riesce ad intervistare telefonicamente Diankha, il quale respinge le accuse ed afferma che il centro di Li Lioni è regolarmente autorizzato. Ma questo non placa le polemiche. E, a pochi giorni da voto, rischia di essere un vero boomerang per la parte politica che decide, nonostante tutto, di inserirlo in lista.

Moscovici attacca, "È un cretino, un provocatore e un fascista"


Il commissario europeo per gli affari economici, il francese Pierre Moscovici, ha chiamato l'eurodeputato italiano Angelo Ciocca "fascista", che ha criticato le sue note al Parlamento europeo martedì scorso.

"È un cretino, un provocatore e un fascista", ha detto in un'intervista al canale televisivo CNews in risposta al gesto di Ciocca al termine di una conferenza stampa a Strasburgo a Moscovici per discutere del rifiuto della Commissione del bilancio italiano per 2019, con un deficit molto più alto di quanto promesso in precedenza.

Oltre a questo incidente, Moscovici ha ricordato i motivi per cui è stato chiesto all'esecutivo italiano di presentare un nuovo budget tra oggi e il 13 novembre.

Alla domanda se Bruxelles prenderà provvedimenti aggiuntivi prima o dopo le elezioni europee del prossimo maggio, Moscovici ha rifiutato di rispondere e ha semplicemente insistito: "faremo progressi nello stesso modo, a sangue freddo".

Ha spiegato che la proposta di bilancio presentata dal governo è "una deviazione senza precedenti" del deficit e ha evitato di rispondere alle critiche dei due vicepresidenti esecutivi, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Infatti, ha detto che parla con il capo della finanza, Giovanni Tria.

Precisamente Tria è stato ieri a Parigi, dove ha incontrato il suo omologo francese, Bruno Le Maire, e ha affermato che "l'Italia non è un problema" per l'Unione europea e che il suo bilancio non è "una minaccia" per la zona euro.

"L'Europa può trarre vantaggio dalla nostra strategia", ha aggiunto Tria, che ha ripetuto che l'Italia non vuole lasciare l'Unione, dicendo: "Anche noi italiani abbiamo costruito questa casa, non vogliamo andarcene".

©Riproduzione riservata Leggila Oggi

Iscriviti alla Newsletter

Ricevi aggiornamenti e le migliori guide direttamente nella tua inbox.