sabato 23 febbraio 2019

Denaro contante e regali di lusso: incastrata la Pezzopane! E’ lei l’indagata PD del giorno


“Non so nulla, non ho ancora ricevuto niente, tuttavia ho fiducia nella magistratura – afferma la senatrice dem -. Mi dispiace che i magistrati debbano lavorare spesso su cose del genere, mi sembra un grande calderone che alla fine si chiarirà”

La senatrice aquilana del Pd Stefania Pezzopane è indagata con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti assieme ad Angelo Capogna, imprenditore che si occupa di illuminazione pubblica e che l’ha accusata nel corso di due interrogatori in relazione a una campagna elettorale degli anni scorsi. Originario del Frusinate, Capogna è amministratore della Saridue Srl e con le sue denunce nei mesi scorsi ha originato una maxi inchiesta nei confronti di politici e funzionari di Comuni marsicani, descrivendo un sistema di “tangenti sui lampioni”.

La Pezzopane, 57 anni, senatrice dal 2013, è stata anche assessore e presidente del Consiglio in Comune, presidente della Provincia dell’Aquila e assessore e vice presidente del Consiglio regionale. “Non so nulla, non ho ancora ricevuto niente, tuttavia ho fiducia nella magistratura – afferma la senatrice Pezzopane -. Mi dispiace che i magistrati debbano lavorare spesso su cose del genere, mi sembra un grande calderone che alla fine si chiarirà”.

A interrogare Capogna, che ha descritto un sistema di ‘tangenti sui lampioni’ con contanti e regalie in cambio di commesse nel suo settore, un’indagine di cui questo nuovo filone è uno stralcio, i sostituti procuratori della Repubblica di Avezzano (L’Aquila) Maurizio Cerrato e Roberto Savelli, che tra le sue parole hanno riscontrato un’autonoma fattispecie di delitto che coinvolgerebbe la Pezzopane, in violazione della legge numero 195 del 1974, quella che regola appunto il finanziamento ai partiti. Per questo è stato aperto un fascicolo autonomo e lo scorso 11 aprile le carte sono state trasmesse alla competente procura aquilana, dal momento che il fatto sarebbe avvenuto nel capoluogo.

Nelle scorse settimane, in un secondo interrogatorio fiume, il principale indagato, nonché accusatore, è stato sentito dagli agenti della squadra Mobile aquilana, in particolare della prima sezione diretta dal sostituto commissario Sabatino Romano, Mobile che ha da poco cambiato dirigente, da Gennaro Capasso a Tommaso Niglio. Secondo quanto appreso da fonti investigative, anche in questo filone si starebbe verificando la possibile sussistenza di ipotesi accusatorie di corruzione. L’inchiesta nata dalle denunce di Capogna è sfociata nel marzo 2016 in perquisizioni e acquisizioni di documenti nei confronti di 25 indagati, che sono diventati 36 fin qui noti pochi giorni fa, quando sono stati notificati gli avvisi di conclusione delle indagini.

Roberto Formigoni, condanna a 5 anni e 10 mesi in Cassazione: l’ex governatore lombardo dovrà andare in carcere


L'ex governatore della Lombardia condannato in via definitiva per corruzione nel processo per il crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele. Pena abbassata rispetto ai 7 anni e 6 mesi inflittigli in appello. Per effetto della cosiddetta legge Spazzacorrotti, il reato è stato inserito tra quelli cosiddetti "ostativi", che impediscono di chiedere misure alternative. Per il "Celeste", quindi, si aprono le porte della prigione

Roberto Formigoni, ex presidente della Lombardia e già senatore, è stato condannato in via definitiva a 5 anni e 10 mesi per corruzione nel processo per il crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele. Lo ha deciso la Cassazione, che ha respinto anche gli altri ricorsi dei coimputati. I giudici di piazza Cavour hanno abbassato la pena rispetto ai 7 anni e 6 mesi inflitti in appello perché hanno preso atto che una parte delle accuse, in particolare quelle relative al San Raffaele, erano prescritte. I magistrati hanno anche confermato la condanna a 7 anni 7 mesi per Costantino Passerino, ex direttore generale della Fondazione Maugeri, e a 3 anni e 4 mesi per l’imprenditore Carlo Farina.

Ora la decisione della Suprema Corte sarà trasmessa alla procura generale di Milano per l’esecuzione della pena. Per effetto della cosiddetta legge Spazzacorrotti, il reato di corruzione è stato inserito tra i cosiddetti reati “ostativi” che impediscono di chiedere misure alternative. Per il “Celeste”, quindi, si aprono le porte del carcere. Non appena verrà trasmesso il dispositivo, il sostituto pg Antonio Lamanna, titolare del fascicolo, emetterà l’ordine di esecuzione della pena. Ordine che verrà immediatamente eseguito a meno che, come probabile, Formigoni non si costituisca spontaneamente.

All’ex presidente della Regione Lombardia è contestata una corruzione fatta di cene, viaggi e gite in barca. Divertimenti e anche un acquisto agevolato di una villa in Sardegna. Tutto pagato con i soldi fuoriusciti dalla casse dell’istituto Maugeri di Pavia e dell’ospedale San Raffaele di Milano. Per questo il pm di Milano Laura Pedio durante il processo di primo grado ricordò come “70 milioni di euro” erano stati “tolti ai malati per i suoi sollazzi”. Una “serie di utilità” per favorire i due enti lombardi con delibere di giunta per circa 200 milioni di rimborsi pubblici.

Il pg: “Attenuare la pena sarebbe come calpestare la legge” Il pg della Cassazione Luigi Birritteri, chiedendo la conferma della pena inflitta in appello a 7 anni e mezzo, durante la requisitoria aveva contestato un “imponente baratto corruttivo… tenuto conto del suo ruolo e con riferimento all’entità e alla mole della corruzione, che fanno ritenere difficile ipotizzare una vicenda di pari gravità“. Il rappresentante dell’accusa aveva chiesto anche di non attenuare la pena per Formigoni ed evitare “che la legge possa essere calpestata con grida manzoniane. Per il magistrato la mole delle prove era “imponente” ed è stata “ulteriormente corroborata” dal concordato in appello di Daccò e Simone. L’ex numero uno del Pirellone è stato condannato sia in primo che in secondo grado con una pena più dura rispetto a quella inflitta dal Tribunale.

“A Formigoni utilità per 6,6 milioni” – Secondo quanto hanno ricostruito dagli investigatori della Guardia di Finanza, tra il 2001 e il 2011, dalle casse della Fondazione Maugeri e del San Raffaele (reato ormai prescritto) sono usciti rispettivamente 70 milioni e 8-9 milioni di euro. Un fiume di denaro che poi era transitato attraverso i conti di società “schermate” con sede all’estero, per poi tornare nella disponibilità dell’imprenditore e faccendiere Pierangelo Daccò e l’ex assessore regionale Antonio Simone (entrambi hanno patteggiato in appello, ndr) ed essere messi a disposizione di Formigoni e degli allora vertici del Pirellone. Per lui e per il suo entourage Daccò e Simone avevano organizzato vacanze ai Caraibi, o su yacht in Costa Azzurra e in Sardegna, cene in ristoranti stellati e hanno fatto recapitare intere casse champagne.

A questi benefit si aggiungono diverse migliaia di euro di contributi elettorali e una villa in Costa Smeralda venduta da Daccò all’amico storico del Celeste, il commercialista Alberto Perego, a un prezzo decisamente inferiore a quello di mercato. Proprio il professionista si era offerto di acquistare l’immobile che è stato sequestrato dopo la sentenza di primo grado. In cambio, il Pirellone aveva approvato diverse delibere di giunta, modificato la legge sul no profit e riconosciuto fondi per le funzioni non tariffabili, per favorire la Maugeri e il San Raffaele con oltre rimborsi pubblici. Il meccanismo si è interrotto con i problemi finanziari dell’ospedale fondato da Don Verzè, che era quasi fallito, dal quale sarebbero emerse prove “di pagamenti costanti di utilità a Formigoni per 6 milioni e 600 mila euro per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio”. Formigoni ha sempre negato le accuse. Ma dai suoi conti correnti nel corso degli anni sono usciti pochi soldi e per importi bassi, né è stato mai in grado di presentare scontri o ricevute di pagamento.

venerdì 22 febbraio 2019

Regionali Sardegna, PD senza vergogna: tra i candidati il senegalese che ha fatto i milioni con i centri d’accoglienza illegali


La Sardegna è attraversata in queste ore da vibranti proteste che, iniziate dai pastori per via del prezzo del latte ritenuto nocivo per la propria attività, mostrano comunque una situazione generale dell’isola dove monta la tensione in vista delle regionali.

Proprio dalla provincia ritenuta al momento epicentro della protesta, ossia quella di Sassari, arriva una storia che non sta mancando di agitare politica ed opinione pubblica locale durate questa delicata campagna elettorale.

Tutto parte da un nome: Cheikh Diankha. Ai più forse non dice molto, ma tra Sassari e Porto Torres è ben conosciuto e la sua nomina rimanda al business dell’accoglienza di migranti. Diankha è senegalese e nel giugno del 2016 è al centro di diversi articoli della stampa locale, in cui si spiega il valore dell’iniziativa di un centro d’accoglienza posto tra Sassari e Porto Torres: il nome della società che gestisce il centro è Janas, situato nella località di Li Lioni. Parole, quelle di Cheikh Diankha, che parlano di un’integrazione riuscita. Gli ospiti del centro infatti, tornano a fare il lavoro già svolto in patria prima di approdare in Italia, ossia i contadini. Le terre, racconta all’epoca Diankha, vengono coltivate dai migranti ospitati a Li Lioni.

Il senegalese parla come responsabile del centro Janas, le sue parole vengono riferite anche all’Ansa. Da qui una grande attenzione mediatica, che spinge una troupe dell’americana Pbs fino in Sardegna. Ma ecco che iniziano le amare sorprese. Il responsabile del centro d’accoglienza non risponde alle chiamate, nelle terre dove in teoria dovrebbero esserci i migranti al lavoro nella pratica non si trova nessuno. Malcolm Brabant, autore del reportage, pubblica il suo articolo su questa vicenda il 16 settembre 2016. Il giornalista statunitense afferma di essere arrivato in Sardegna proprio per mostrare un esempio di integrazione riuscita, a fronte di dati che parlano di un 80% di donne nigeriane costrette alla prostituzione appena giunte in Europa. Ma quella che riprende con i suoi operatori, è una situazione del tutto diversa da quanto prospettato alla vigilia e dagli articoli di alcuni mesi prima.

Dopo una settimana di presenza nel nord della Sardegna, Cheikh Diankha non risponde alle chiamate ed allora i giornalisti della Pbs decidono di andare a trovare il senegalese direttamente nel centro di Li Lioni. Qui la situazione appare ancora più grave di quanto si potesse immaginare. Il centro definito poche settimane prima “modello”, altro non è che una ex discoteca denominata “Kiss Kiss” chiusa per presunti giri di prostituzione nell’ambito di un blitz delle forze dell’ordine chiamato “Moulin Rouge”. La struttura, tra le altre cose, si trova in piena campagna e per raggiungerla occorre percorrere una strada sterrata adiacente o quasi alla Ss 131, la statale cioè che collega Porto Torres con Sassari. Il contesto viene ritenuto piuttosto squallido: non vengono evidenziati, in particolare, lavori di ristrutturazione tali da trasformare un ex locale notturno in centro di residenza.

La troupe della Pbs non è comunque l’unica ad interessarsi al caso. In quei mesi raggiunge Li Lioni anche l’Ong “LasciateCIEntrare”, che si batte per facilitare controlli all’interno delle strutture di accoglienza. Gli attivisti denotano le stesse criticità evidenziate dai giornalisti americani, per di più nel loro report di luglio 2016 descrivono la situazione come poco consona all’accoglienza, anche per via della lontananza del centro dai più prossimi centri abitati. Nell’ottobre 2016, scoppia anche una mega rissa tra nigeriani e somali ospiti di Janas, nei mesi successivi vengono riportate dai media locali altri episodi di tensione ed in almeno un caso alcuni migranti occupano la vicina Ss 131.

La situazione è quindi tutt’altro che tranquilla. Il responsabile della struttura non appare molto tenero con gli attivisti dell’Ong sopra citata. Più di una volta Cheikh Diankha, come si legge su La Verità, allontana infatti coloro che provano a parlare con lui. Nei primi mesi del 2017, questi episodi raccolgono l’attenzione di alcuni politici locali. Vengono predisposte visite ad opera di delegazioni di consiglieri regionali e consiglieri comunali. Uno di questi, Maurilio Murru del M5S, a La Verità dichiara le impressioni già riportate dalla troupe americana e dalla Ong.

Vengono realizzati sul centro di Li Lioni alcuni dossier parlamentari. Si scopre, tra le altre cose, che nonostante le critiche ed i report poco lusinghieri, la Janas espande le proprie attività di accoglienza e nel 2017 incassa 2.150.000 Euro per la gestione dei suoi centri che comprendono, oltre a quello di Li Lioni, anche le strutture di Campanedda e La Corte, sempre in provincia di Sassari. Si scopre inoltre che la sede legale della Janas corrisponde all’indirizzo di uno dei soci e che, soprattutto, il senegalese Cheikh Diankha non sembra avere incarichi ufficiali all’interno della società.

Cosa c’entra tutto questo con le regionali del 24 febbraio? Semplice: il senegalese che parla a nome della Janas pur non avendo ruoli specifici sulla carta, è candidato con la lista del Pd. La circostanza, secondo diverse fonti locali, avrebbe messo in imbarazzo gli stessi vertici del partito. Addirittura, come riferisce ancora La Verità, la segreteria cittadina del Pd avrebbe dichiarato di non conoscere Cheikh Diankha. Una presa di distanze che si giustifica con il fatto che quel reportage girato nel 2016 dalla Pbs, oggi è virale in provincia di Sassari. E mette in difficoltà ovviamente il Pd.

Ignazio Mangrano riesce ad intervistare telefonicamente Diankha, il quale respinge le accuse ed afferma che il centro di Li Lioni è regolarmente autorizzato. Ma questo non placa le polemiche. E, a pochi giorni da voto, rischia di essere un vero boomerang per la parte politica che decide, nonostante tutto, di inserirlo in lista.

Moscovici attacca, "È un cretino, un provocatore e un fascista"


Il commissario europeo per gli affari economici, il francese Pierre Moscovici, ha chiamato l'eurodeputato italiano Angelo Ciocca "fascista", che ha criticato le sue note al Parlamento europeo martedì scorso.

"È un cretino, un provocatore e un fascista", ha detto in un'intervista al canale televisivo CNews in risposta al gesto di Ciocca al termine di una conferenza stampa a Strasburgo a Moscovici per discutere del rifiuto della Commissione del bilancio italiano per 2019, con un deficit molto più alto di quanto promesso in precedenza.

Oltre a questo incidente, Moscovici ha ricordato i motivi per cui è stato chiesto all'esecutivo italiano di presentare un nuovo budget tra oggi e il 13 novembre.

Alla domanda se Bruxelles prenderà provvedimenti aggiuntivi prima o dopo le elezioni europee del prossimo maggio, Moscovici ha rifiutato di rispondere e ha semplicemente insistito: "faremo progressi nello stesso modo, a sangue freddo".

Ha spiegato che la proposta di bilancio presentata dal governo è "una deviazione senza precedenti" del deficit e ha evitato di rispondere alle critiche dei due vicepresidenti esecutivi, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Infatti, ha detto che parla con il capo della finanza, Giovanni Tria.

Precisamente Tria è stato ieri a Parigi, dove ha incontrato il suo omologo francese, Bruno Le Maire, e ha affermato che "l'Italia non è un problema" per l'Unione europea e che il suo bilancio non è "una minaccia" per la zona euro.

"L'Europa può trarre vantaggio dalla nostra strategia", ha aggiunto Tria, che ha ripetuto che l'Italia non vuole lasciare l'Unione, dicendo: "Anche noi italiani abbiamo costruito questa casa, non vogliamo andarcene".

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Ecco il vergognoso piano della Merkel che va contro l'Italia...


La migrazione porta prosperità", parola di Angela Merkel.

La cancelliera sarà anche dimissionaria ("lascio la politica", ha detto), ma non fa passi indietro e si (ri)prende la scena politica internazionale cavalcando l'accordo di Marrakech sulle migrazioni.

Un balzo in avanti che tira in ballo l'Italia, il governo Conte e in particolare il ministro Salvini.

Per riaffermare una certa centralità tedesca in Europa, Merkel non poteva che sfruttare il Global Compact di cui è sempre stata grande sponsor. "Le migrazioni - ha sottolineato di fronte ai 163 delegati dell'Onu - quando sono legali sono anche una cosa positiva". Non è un caso se, proprio nel giorno in cui le Nazioni Unite hanno adottato il patto sul "diritto a migrare", Berlino e Parigi abbiano presentato (l'ennesimo) piano comune per la riforma del regolamento di Dublino.

L'ultimo tentativo era naufragato sotto i colpi del blocco di Visegrad e dell'Italia. Anche la Merkel fu costretta ad alzare bandiera bianca, ma ora torna all'attacco e insieme alla Francia sottopone agli Stati membri dell'Ue alcune modifiche ai trattati sulla gestione dei richiedenti asilo. "Il meccanismo di solidarietà - si legge nel documento fatto trapelare in questi giorni a Bruxelles - dovrebbe essere basato sui ricollocamenti come regola (al fine di creare prevedibilità e certezza per gli Stati membri in prima linea) con la possibilità per uno Stato membro, su base giustificata, di derogare non ricollocando e mettendo in opera misure alternative di solidarietà".

Uscendo dal linguaggio burocratico, si tratta di un compromesso che non accontenta nessuno e che rischia di ritorcersi nuovamente contro il Belpaese. Il governo italiano, come noto, da tempo chiede che venga messo nero su bianco l'obbligo di redistribuzione dei migranti sbarcati nei Paesi di primo approdo. Diversi Stati Ue si oppongono e ancora non si è arrivati ad una sintesi. La proposta franco-tedesca renderebbe i ricollocamenti obbligatori una "regola", ma manterrebbe viva una scappatoia per chi non intende farsi carico dei profughi. Basterà "motivare" la richiesta di deroga e assicurare alternative "significative", fermo restando che l'Ue deve assicurarsi che "un gruppo sufficiente di Stati membri prendano parte ai ricollocamenti obbligatori". Senza contare che il paese di primo ingresso dovrebbe comunque assumersi la responsabilità degli stranieri per un periodo di 8 anni. Otto anni. Quindi redistribuzione sì, ma solo in un futuro (molto) incerto.

Tra gli obiettivi di Berlino e Parigi c'è anche quello di "salvare" la missione Sophia. L'operazione navale rischia di saltare il 31 dicembre: forse verrà prorogata per tre mesi, ma Salvini continua a chiedere la revisione delle regole di ingaggio. Se così non sarà, Sophia chiuderà i battenti. È (anche) su questo punto che il progetto firmato Merkel-Macron troverà probabilmente le resistenze del Viminale: per i profughi salvati in mare da navi che partecipano a una missione Ue, infatti, il piano prevede che "gli sbarchi" debbano "avvenire nel porto sicuro più vicino". Quindi Malta o l'Italia.

Roma aveva chiesto (senza successo) di scindere tra "porto sicuro di sbarco" e Stato "competente ad esaminare le richieste di asilo", ma la proposta franco-tedesca non va in questa direzione. Anzi. L'Italia si ritroverebbe comunque meta di sbarco sia degli immigrati salvati dalle navi europee (anche se sono una minoranza) che di quelli recuperati da altri natanti (Ong, Guradia costiera, mercantili). Inoltre, se passasse la riforma di Berlino, il governo nostrano dovrebbe poi assumersi la responsabilità dei migranti per otto lunghi anni senza la certezza di ottenerne la redistribuzione in Ue. Tradotto: una fregatura.

Il mondo è in fiamme, ma a noi viene nascosto. I Gilet Gialli CI INVIDIANO IL NOSTRO GOVERNO


Non sono parole al vento queste, ma sono parole di verità che squarciano il muro di mascherata e finta informazione quanto di effettivo silenzio che è stato costruito attorno alle manifestazioni di Parigi, Bruxelles, Amsterdam.

Non cercate informazioni accurate nei giornaloni italiani e relativi siti web o nei telegiornali RAI, Mediaset o La7. Troverete informazioni volutamente superficiali che mirano a nascondere la reale portata degli eventi in Francia, Belgio e Olanda.

In Francia le manifestazioni che si ripetono per il quarto sabato consecutivo assumono una rilevanza che sta addirittura portando a ipotizzare le dimissioni del primo ministro Edouard Philippe e a ipotizzare elezioni anticipate.

Ecco il bollettino di guerra.

Parigi :’Per il quarto sabato consecutivo, in Francia hanno protestato i cosiddetti gilet gialli. In strada sono scese 125’000 persone, 10’000 a Parigi. Il bilancio dei disordini e degli scontri con la polizia è di 118 feriti. Sono state identificate 1385 persone e 974 sono in stato di fermo’.

Bordeaux e Tolosa: La protesta si estende sempre di più in tutta la Francia. In particolare ci sono stati degli scontri nel sud-ovest della Francia. E’ successo a Bordeaux e a Tolosa, dove diverse migliaia di persone sono state allontanate dal centro della città con i gas lacrimogeni e hanno eretto e incendiato delle barricate.

Si tratta di una vera e rivolta contro lo stato di povertà di milioni di francesi. Si trovano in situazione di sopravvivenza, vivono di stenti ogni fine mese – i più fortunati tra gli sfortunati, beninteso – aspettando, come Godot, che quanto di triste e insopportabile stanno sopportando abbia a cessare.

Ma finora hanno aspettato invano. Anzi Macron intendeva ancor più aggravare il loro già grave e pesante disagio con l’aumento del carburante. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. E che ha portato a dire a sé stessi e agli altri conoscenti, colleghi di lavoro o compagni di disoccupazione: mo’ basta!

Si sono quindi convocati da sé stessi in tutte le piazze della Francia, fino a culminare nella oceanica manifestazione di 4 settimane fa a Parigi, la prima di quattro manifestazioni.

Ormai la protesta dei francesi emarginati non si ferma più fino a quando non otterranno fatti concreti che rappresentino un reale cambiamento in meglio per loro e per le loro famiglie. È un modo distorto e fuorviante di raccontare quanto sta succedendo quando si mette in evidenza che la protesta riguarda l’aumento dei prezzi del carburante. Ma sin dalle prime manifestazioni quella di impedire l’aumento dei prezzi per l’utilizzo dell’auto, nella Francia profonda l’unico mezzo a disposizione, era solo la parte delle richieste da ottenere immediatamente. Di ben più importanti e decisive richieste reclamano i Gilet Gialli.

Qui potete trovare le otto rivendicazioni da loro portate avanti, un manifesto politico che può rappresentare un programma di governo. Impressionano i punti in comune con il programma politico dei 5 Stelle e con il Contratto di Governo firmato da 5Stelle e Lega.

Che la situazione sia fuori del controllo dei Lor Signori d’oltralpe lo testimonia quanto ha fatto sapere ieri sera Macron tramite Le Maire secondo quanto titola La Stampa: ‘Gilet gialli una “catastrofe”, Macron pronto a cambiare rotta: “Ho fatto cavolate” ‘.

Macron ha capito ieri sera quanto non aveva capito fino ad avantieri sera: le proteste non si fermeranno con parole o contentini per fare fessi e contenti i Gilet Gialli.

Anche la Francia si avvia a un radicale cambiamento che sta travolgendo l’Ancien Regime di Sarkozy, Hollande, Macron, i quali sono stati messi a custodia degli interessi delle grandi multinazionali francesi. Qui sta il vero potere, di cui Macron è un semplice servo, pure inetto.

Nella storia francese è già successo che i cittadini inferociti abbiano fatto un repulisti anche truculento. Speriamo che questa volta ci sia il cambiamento senza arrivare a quegli eccessi.

La storia ai capataz francesi, cioè ai veri detentori del potere che detengono anche immense ricchezze, lancia un pesantissimo ammonimento cui è bene che prestino la massima attenzione.

Senza trascurare l’ammonimento a quelli italiani: anche loro hanno da stare attenti.

Ostacolare in ogni modo il cammino del Governo Conte è una scelta suicida.

Cercare di creare divisione all’interno dei 5 Stelle promettendo a singoli deputati o senatori chissà cosa, non porta da nessuna parte. Anzi aggrava l’esasperazione di coloro la cui unica speranza che è rimasta è che il Movimento possa realizzare quanto ha promesso dalla sua nascita e poi confermato nel programma presentato prima delle elezioni e che fa parte del Contratto Di Governo.

Cercare di generare contrapposizione tra Movimento 5 Stelle e Lega, oltre che essere improduttivo, rivela un modo di fare politica indisponente in quanto punta a ribaltare con manovre di palazzo il risultato elettorale.

Non riescono a immaginare i Lor Signori italiani come reagirà il nostro popolo di fronte a questi tentativi? Lo stanno già vedendo: il Consenso al Governo Conte si rafforza giorno dopo giorno!

La Sea Watch ancora abusivamente al "lavoro": l'Ong recupera altri 47 immigrati. Salvini: "No sbarchi in Italia"


Salvini: "No sbarchi in Italia"

Qualche giorno dopo il caso Sea Watch e Sea Eye ferme al largo di Malta ed ecco che lo spettro di una nuova crisi "diplomatica" rischia di investire il Mediterraneo.

Twitter Sea Watch La Ong tedesca ha infatti recuperato altri 47 migranti al largo delle coste libiche ed ora sono tutti a bordo.

La notizia è stata diffusa dalla stessa Sea Watch a poche ore dal naufragio in cui hanno perso la vita 117 migranti, tra cui anche donne e bambini. "Abbiamo appena concluso il soccorso di 47 persone da un gommone in distress - scrive l'Ong sui profili social - Questa mattina @alarm_phone e #Moonbird avevano informato la nave e le autorità competenti di un possibile caso; #SeaWatch si è recata sul posto e li ha soccorsi. Ora sono tutti a bordo, al sicuro". Alarm Phone è un'organizzazione indipendente di soccorso telefonico, mentre il Moonbird è l'aeroplano dell'ong utilizzato per pattugliare il mare.

Non è ancora chiaro se l'evento di Sar sia stato coordinato dalla Guardia costiera italiana, da quella libica o da nessuna delle due. Se l'Ong avesse deciso di operare da sola, allora si riaprirebbe una situazione di stallo come quella successa per Sea Eye e Sea Watch. È infatti possibile che Malta e Italia non diano l'autorizzazione allo sbarco alla nave, se il coordinamento delle operazioni non era stato autorizzato dai Roma o La Valletta. La Libia, come noto, è fuori discussione visto che le Ong non intendono riportare a Tripoli gli immigrati.

Migranti, Salvini contro le Ong: "Più ne partono più muoiono"

Immediata, su Facebook, è arrivata la replica del ministro Salvini: "Una delle navi ha recuperato altre persone - dice su Facebook - Si scordino di ricominciare la solita manfrina. No, in Italia no. Si scordino di ricominciare come a Natale il solito ritornello: 'aprite, spalancate, accogliete': No, no, no. In Italia i porti erano, sono e restano chiusi. La difesa dei sacri confini è un dovere".


SOLDI DA UN DELINQUENTE: PADOAN, ARRIVA LA FINANZA! Così finanziava la campagna elettorale il burattino della massoneria bancaria



Si muove la Guardia di Finanza per fare luce su un finanziamento sospetto usufruito dall’ex ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan proveniente dall’imprenditore Antonio Moretti, agli arresti domiciliari dal 26 novembre con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata all’autoriciclaggio.

Nel mirino dei finanzieri, riporta il Fatto quotidiano, un appuntamento elettorale – Padoan alle ultime elezioni si è candidato nel collegio di Siena – che si è tenuto a Foiano della Chiana il 22 febbraio scorso. Il sospetto è che in quell’incontro fu proprio Moretti a pagare il catering. Nessuno dei due, né Padoan né Moretti, è indagato.

Ma è intorno a loro che ruota l’indagine: nell’informativa la Gdf sottolinea il “presunto avvicinamento” di “Moretti – direttamente o per il tramite della compagna Paola Santarelli (anche lei non indagata, ndr) – nei confronti di alcuni esponenti di istituzioni pubbliche”.

Tra questi, Padoan e l’avvocato Giuseppe Fanfani, ex sindaco di Arezzo e all’ epoca membro laico del Csm”.

Travaglio lancia un siluro a Renzi: "Arresti abnormi? Dovevano finire in galera!"


Marco Travaglio nel suo editoriale di oggi commenta le dichiarazioni di Matteo Renzi sull’arresto dei suoi genitori, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatturazioni insieme all’imprenditore ligure Mariano Massone.

 L’ex premier ieri si è sfogato dicendo: “I domiciliari per i miei genitori sono abnormi”. Travaglio osserva sul Fatto Quotidiano: “E ha ragione: due persone normali, con quelle accuse, sarebbero in galera”.

 Il giornalista scrive anche che “Renzi apprendeva dell’arresto dei genitori e strillava al complotto a orologeria dei magistrati per eliminarlo per via giudiziaria (come se non ci avessero già pensato più volte gl’italiani per via elettorale) e impedirgli di ‘cambiare l’Italia’, senza neppure pagare il copyright al titolare di quelle parole d’ordine'”.

 Ovvero Silvio Berlusconi, il quale “gli manifestava la piena solidarietà, rammentandogli però che con la sua ‘riforma della giustizia’ certe sconcezze – tipo l’arresto di due sospettati di più bancarotte fraudolente con 724 mila euro di fatture false o gonfiate – non accadrebbero più”.

 Travaglio ne ha anche per il Partito Democratico, che “si autoimbavaglia sulla loro svolta impunitaria pro Salvini, impegnato com’è a difendere non un ministro indagato per una scelta di governo, ma due privati cittadini fermati dai gendarmi per evitare che continuassero a costruire società fittizie, intestarle a prestanome, svuotarle e poi farle fallire”.

La Chiesa: gli italiani devono ospitare i migranti


ROMA – Dopo le dichiarazioni di Papa Francesco sull’immigrazione, sottolineando come anche Gesù fosse un migrante, ora si muovono anche preti e vescovi italiani. Il loro ragionamento è molto semplice: le strutture della Chiesa Cattolica, essendo al collasso e non avendo più spazio, chiedono una sorta di “collaborazione” con i cittadini italiani.

Il primo ragionamento è: dove si mangia in 3 si può mangiare in 4. Sono le testuali parole di un prete in Sicilia in un’omelia domenicale esortando i fedeli a fare un po’ di spazio a casa per ospitare chi arriva dall’Africa. Molto spesso poi si appellano al fatto che nelle case c’è sempre una mezza stanza libera.

Un prete, in una piccola parrocchia della Puglia, faceva notare come spesso i suoi fedeli sono possessori di un divano-letto e che potrebbe essere sfruttato per dare un tetto per la notte a qualche migrante.

L’ultimo ragionamento in questione riguarda anche lo spazio in casa. Secondo tantissimi preti e vescovi, gli italiani vivono in case troppo grandi per loro e sovradimensionate per il numero di persone che ci abitano. In parole povere, se vivete in 4 in un appartamento per 6 persone potreste ospitare un paio di migranti per ogni casa. Il tutto senza nessuna collaborazione sulle spese, giusto una benedizione.

E mentre i deputati cattolici stanno presentando un disegno di legge che “obbligherebbe” chi ha stanze in disuso o peggio case sfitte ad ospitare i migranti senza fissa dimora, la Chiesa Cattolica fa sapere che la maggior parte delle risorse derivanti dall’ 8 per mille delle dichiarazioni dei redditi, saranno indirizzate alle strutture per i migranti. Il tutto mentre ci sono sempre più italiani in coda alle mense o alle strutture notturne della Caritas.

Salvini sempre piu popolare,tanti risultati tra cui sbarchi meno 65% e i politici europei iniziano a copiarlo


Salvini naviga nello tsunami politico europeo. E si sente a suo agio. La sua linea discorsiva, supportata dai fatti, sembra "dargli ragione" tra gli elettori, e ha iniziato a espandersi all'interno del blocco comunitario.

Salvini: l'Italia non tollererà il discorso delle Nazioni Unite sulla migrazione

"In questi cento giorni in carica quello che è successo è che Matteo Salvini ha vinto la partita di entusiasmare gli italiani. Egli è riuscito a operare bene politicamente in particolare nel panorama dei media, è molto più presente rispetto ad altri.

E la Francia è una conferma vivente che questo clima di inclemenza in politica attraversa tutte le difese del blocco comunitario e diventa la sua forza in diversi protagonisti del vecchio continente. Marine Le Pen ha preso nota di ciò che sta accadendo in Italia e lo ha trasferito al suo elettorato all'inizio del corso, e con un occhio alla prossima primavera.

Nella città meridionale di Frejus, il leader del Rally Nazionale (RN con il suo acronimo francese), ha ritenuto statistiche dei loro vicini: "Il numero di richiedenti asilo in Italia dopo l'avvento al potere di Salvini è sceso del 65%. [...] si deve imporre una politica di immigrazione deterrente in Italia ", ha detto tra gli applausi.
E non solo ha brandito la Lega Salvini come esempio. Lo ha fatto anche con l'FPÖ dell'Austria, sottolineando che la forza delle loro idee lì è già diventata carne al potere, così come in Ungheria e Polonia, e ha richiamato l'attenzione su ciò che è accaduto nelle recenti elezioni in Svezia.

Né chi è al potere sembrano collaborare nel difendere stiva della diga. E 'stato proprio il presidente della Francia, Emmanuel Macron, che è tornato a generare rifiuto alla classe politica piena e la società del paese in generale. In una giornata aperta al Palazzo dell'Eliseo, nella preoccupazione disperata di un cittadino disoccupato di 25 anni per trovare lavoro, Macron ha risposto: "attraversare la strada e si trova un lavoro."

"Non può un capo di stato ad avere questo atteggiamento rimproverare un disoccupato che è colpa loro non avere un lavoro. Che arroganza può costare caro," capisce Dromundo, spiegando che "Macron non è stato popolare da quando è diventato presidente . ha promosso una serie di riforme che non sono state accettate da una larga parte della popolazione, [che] ha portato numerose manifestazioni contro".

Come se le cose non fossero già abbastanza rivolte, il palazzo che ha ricevuto il presidente dell'Ungheria la scorsa settimana nel discorso sullo stato dell'Unione, è stato monumentale. Il processo disciplinare votato contro di lui per le sue politiche sull'immigrazione ha scosso la famiglia del Partito popolare europeo e li ha lasciati come un pollo senza testa.

Baldaccini Daniele
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