mercoledì 20 febbraio 2019

“Niente ergastolo per Battisti”, c’è un accordo del 2017 firmato da Orlando (Pd)


La notizia dell’arresto di Cesare Battisti è uscita da poche ore e già scoppia il caso: «L’Italia si è impegnata per garantire che non sarà applicato l’ergastolo all’ex terrorista», spiega l’ex direttore degli Affari di Giustizia del ministero, Raffaele Piccirillo, che seguì direttamente il caso quando ministro era Andrea Orlando.

Il no all’ergastolo sarebbe previsto dall’accordo, della cosiddetta ‘condizione accettata’, concluso il 5 e 6 ottobre del 2017, quando il ministro della giustizia era Orlando. Per cui a Battisti, una volta estradato, sarà applicata la pena massima di 30 anni».

Questo perché in Brasile non c’è l’ergastolo, è vietato dalla Costituzione. «L’autorità che doveva concedere l’estradizione, ossia il Brasile, ha apposto la condizione legata all’ergastolo e il ministro della Giustizia l’ha accettata», afferma Piccirillo, spiegando che questo è legato all’asimmetria tra il sistema giudiziario brasiliano, che «non prevede l’ergastolo e anzi lo considera incostituzionale e quello italiano, dove invece l’ergastolo è formalmente ancora previsto», anche se di fatto non trova più concreta applicazione.

Senza questa intesa, il via libera all’estradizione, il cui iter era già stato espletato, si sarebbe arenato. «Trent’anni – aggiunge Piccirillo – sono il tetto sanzionatorio accettato dal Brasile e su cui c’è l’impegno».

Un tetto che potrebbe essere rivisto al ribasso? «Sul piano tecnico – spiega il magistrato – si potrà valutare se Battisti può usufruire dei benefici penitenziari, come la liberazione anticipata prevista dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario.

Quest’articolo, però, è entrato in vigore dopo la condanna di Battisti, che in ogni caso potrà beneficiarne dopo aver scontato metà della pena, quindi ritengo non ci sia nulla di immediato, si parla di almeno 15 anni di tempo». www.ilmessaggero.it

Rai,il Governo fa sul serio. Bloccato il contratto del servo dei servi Bruno Vespa


In vista delle elezioni europee, e del ribaltone ormai certificato dai sondaggi tra Lega e M5s, in Rai sono in corso le grandi manovre per mettere in atto i nuovi piani industriale e di informazione. Il primo sarebbe sulla scrivania dell’Ad Fabrizio Salini, finora tenutosi lontano dai riflettori scegliendo quindi di muoversi con discrezione.

Ben più rumorosa invece si preannuncia l’azione del presidente Marcello Foa che, secondo il Fatto quotidiano, avrebbe tutte le intenzioni di mettere in pratica il piano di informazione, già fallito ai tempi della Rai renziana, mettendo nel mirino alcuni pezzi da 90 di viale Mazzini, a cominciare da Bruno Vespa. Il contratto per la prossima stagione di Porta a porta per il momento non è stato rinnovato.

L’idea di Foa, già anticipata in Commissione Vigilanza, è quella di tagliare ancora i compensi e razionalizzare le risorse, quindi la speranza del presidente Rai è di sedersi a un tavolo con Vespa per rimettere tutto in discussione.

Le novità potrebbero riguardare innanzitutto lo stipendio del conduttore, oggi di 1,2 milioni di euro, oltre che il numero delle puntate settimanali, che al momento sono tre. C’è ancora chi si illude di costringere Vespa ad accettare il tetto di 240 mila euro imposto ai giornalisti Rai, ma di sicuro Foa punta a una riduzione del suo stipendio, anche per tranquillizzare i malumori grillini.

“I Renzi vanno arrestati o non si fermeranno” Ecco le carte che hanno obbligato il tribunale ha dato l’ok ai domiciliari


Per Matteo Renzi “chi ha letto le carte e ha un minimo di conoscenza giuridica sa che privare persone della libertà personale per una cosa come questa è abnorme”. Secondo l’ex premier, insomma, gli arresti domiciliari per i suoi genitori, accusati di bancarotta fraudolenta e false fatture dalla Procura di Firenze, sono un provvedimento esagerato.

A leggere l’ordinanza del gip Angela Fantechi la realtà è ben diversa. Le date, in questo caso, sono fondamentali per comprendere la ratio della misuracautelare. La richiesta di arresti da parte dei pm titolari dell’inchiesta è datata 26 ottobre 2018: il giorno prima la procura di Cuneo aveva chiesto il rinvio a giudizio per Laura Bovoli (madre dell’ex Rottamatore), accusata di concorso in bancarotta fraudolenta per il crac della Direkta srl.

Indagando sui conti di quest’ultima società, gli inquirenti piemontesi hanno scoperti alcuni intrecci con aziende legate ai Renzi, tra cui la Delivery Service e, soprattutto, la capofila Eventi 6, su cui i magistrati fiorentini stavano già indagando in altri filoni d’inchiesta.

È l’inizio di un’indagine complessa che passa a Firenze per competenza e coinvolge la gestione di altre società, la Europe Service e, sopratutto, la Marmodiv, per cui i pm avevano già chiesto il fallimento il 4 settembre 2018. Scattano le perquisizioni e il 31 gennaio 2019 la Procura del capoluogo toscano ordina un’ultima consulenza tecnica d’ufficio proprio sulla Marmodiv.

Quest’ultimo non è un particolare di poco conto: non si tratta di una situazione già chiusa, ma assolutamente in divenire. E che determina la scelta del gip di concedere gli arresti domiciliari a quattro mesi dalla richiesta del pm (istanza presentata il 26 ottobre, firmata il 13 febbraio). Nell’ordinanza del giudice Fantechi la decisione è spiegata con dovizia di particolari: “Sussiste il concreto ed attuale pericolo che gli indagati commettano reati della stessa specie di quelli per cui si procede (tributari e fallimentari), ciò emerge dalla circostanza che i fatti per cui si procede non sono occasionali e si inseriscono in un unico programma criminoso in corso da molto tempo, realizzato in modo professionale con il coinvolgimento di numerosi soggetti nei cui confronti non e stata avanzata richiesta cautelare e pervicacemente portato avanti anche dopo l’inizio delle indagini“.

Quindi: “Unico programma criminoso in corso da molto tempo”, “pervicacemente portato avanti anche dopo l’inizio delle indagini”. Il dato cronologico, a leggere il provvedimento del gip, diventa determinante proprio quando si parla della Marmodiv: “Attualmente, è in corso di compimento, da parte di Renzi Tiziano e Bovoli Laura, la fase dell’abbandono della Marmodiv ed è del tutto verosimile ritenere che, ove non si intervenga con l’adozione delle richieste misure cautelari, essi proseguiranno nell’utilizzo di tale modus operandi criminogeno, coinvolgendo altre cooperative, risulta poi pendente la richiesta di fallimentodella Marmodiv avanzata dal P.M.”.

 Domanda: ma non bastava l’interdizione all’attività imprenditoriale? Per il giudice Fantechi evidentemente no. E lo spiega così: “Sul punto occorre rilevare che avendo gli stessi rivestito ruoli di amministratori di fatto e avendo gli stessi agito tramite ‘uomini di fiducia’ non è possibile ritenere sufficiente una misura quale il divieto di esercitare uffici diretti di persone giuridiche ed imprese, atteso che essa consentirebbe di impedire agli indagati di rivestire solo cariche formali, lasciandoli invece liberi di agire con condotte assai più subdole e pericolose perché di più difficile accertamento“.

Provvedimento esagerato, quindi? Sarà il tribunale del Riesame a dirlo. Fatto sta che il giudice per le indagini preliminari non ha avuto dubbi, tanto è vero che non ha neanche concesso la sospensione della pena a causa della “gravità concreta dei reati per cui si procede e la loro esecuzionein un contesto temporale rilevante”. Riferendosi a Tiziano Renzi e Laura Bovoli, poi, il gip Fantechi parla di “condotte volontarie realizzate non per fronteggiare una contingente crisi di impresa, quanto piuttosto di condotte imprenditoriali finalizzate a massimizzare il proprio profitto personale con ricorso a strategie di impresa che non potevano non contemplare il fallimento delle cooperative”. Insomma: Tiziano e Laura andavano fermati subito. Che piaccia o no e a prescindere da quel cognome importate.

Taglio stipendi ai parlamentari, la Mussolini sbava di rabbia: "Se lo fate ci ammazziamo"


Il taglio dei vitalizi è un argomento caldo che ha riscosso e continua a riscuotere tantissime proteste da entrambi i rami del Parlamento.

L’idea è quella di ricalcolare tutti i vitalizi percepiti sulla base del sistema contributivo e se molti vedono la ‘sforbiciata’ come un decisivo un passo avanti per dire “addio alla casta”, l’onorevole Alessandra Mussolini è di avviso opposto.

La nipote di Benito Mussolini è infatti una tra i più grandi oppositori della proposta di abbassare le indennità a 5000 euro e si è schierata in prima linea contro il taglio. “È come se ci mandassero nudi per strada.

Poi è ovvio che uno si ammala, prende l’influenza, si aggrava, arriva la polmonite e quindi…”, ha detto a Tommaso Labate in un’intervista al settimanale “A”. Per lei, insomma, il taglio dei vitalizi sarebbe “un’istigazione al suicidio”. E “per colpa di pochi, quelli che si sono arricchiti con la politica e i soldi sottobanco, paghiamo tutti”, ha proseguito.

“Per i cittadini soffriamo ancora poco. Vogliono vederci soffrire ancora di più. Se abbassassero i nostri stipendi a 1. 000 euro al mese, la gente ci vorrebbe veder prendere 500 euro”, ha aggiunto la Mussolini.

“I membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge”, recita l’articolo 61 della Costituzione italiana e spetta agli Uffici di Presidenza delle Camere il compito di determinare l’ammontare dell’indennità mensile. Entrando nel dettaglio, i deputati hanno diritto a un’indennità lorda di 11.703 euro.

Al netto sono 5.346,54 euro mensili più una diaria di 3.503,11. Impossibile dimenticare il rimborso per spese di mandato pari a 3.690 euro. A questi numeri che da sé fanno rabbrividire, si aggiungono 1.200 euro annui di rimborsi telefonici e da 3.323,70 fino a 3.995,10 euro ogni tre mesi per i trasporti. I senatori invece ricevono un’indennità mensile lorda di 11.555 euro.

Al netto la cifra è di 5.304,89 euro, più una diaria di 3.500 euro cui si aggiungono un rimborso per le spese di mandato pari a 4.180 euro e 1.650 euro al mese come rimborsi forfettari fra telefoni e trasporti. Dunque a conti fatti, i senatori guadagnano ogni mese 14.634,89 euro contro i 13.971,35 euro percepiti dai deputati.

martedì 19 febbraio 2019

Paolo Savona: “Se ci attaccano, addio Bce. Ecco il piano contro il golpe finanziario


Tra le fila del governo si aspetta autunno con l’elmetto in testa, nella convinzione che prima o poi una tempesta finanziaria potrebbe scatenarsi sull’economia italiana e con l’impennata dello spread, mettere in difficoltà la prossima manovra economica. Giancarlo Giorgetti da settimane agita lo spauracchio del “bunker anti-atomico” da preparare, Matteo Salvini e Luigi Di Maio gli fanno eco, fermi sulla linea di voler insistere sull’introduzione di flat tax e quel che si potrà del reddito di cittadinanza.

Ma i conti comunque dovranno tornare. Il ministro delle Politiche europee Paolo Savona ha le idee chiarissime su cosa si dovrà mettere in pratica per fronteggiare la tempesta. Dal faccia a faccia con il governatore della Bce, Mario Draghi, è emerso chiaro che in quel caso dovrà essere Francoforte ad aprire il portafoglio acquistando titoli italiani. Ma Draghi ha anche provato a convincere Savona che quella mossa della Bce giustificherebbe un vero e proprio attentato alla stabilità dell’Eurozona.

L’alternativa secondo Savona è “esterna”, per esempio sottoforma di una garanzia russa, un’ipotesi che riporta un retroscena della Stampa il governo “sta valutando”. In caso di attacco all’economia italiana, sarebbe un fondo sovrano di Mosca a tutelarci. Savona però ammette che la mossa creerebbe “seri problemi di politica estera”, considerando che l’Italia è un paese ancora ben ancora all’Occidente e strettamente legato ai parametri dei Paesi nell’area euro.

Savona insiste che l’economia italiana non sia in disequilibrio strutturale, anche se c’è chi lo contesta numeri alla mano. L’offensiva dei mercati produrrebbe uno sbilanciamento della liquidità, facilmente rintuzzabile dalla Bce. Il premier Contee il ministro dell’Economia Giovanni Tria sperano ancora di seguire la linea più difficile, ma meno guerrigliera, dell’equilibrio di bilancio, cercando magari nuove entrate e riducendo le spese. Ma nella maggioranza del governo l’attrazione per Mosca potrebbe prendere il sopravvento.

Falsificava i grafici pur di favorire Renzi? Nominato direttore di Rete4: così si fa carriera in Italia


Nominato il primo direttore di Forza PD, Naturalmente in Mediaset. Non poteva essere diversamente, con l’avvicinamento più che evidente fra il partito di Tajani, ex Berlusconi e quello di Renzi.

Il nominato poi è un esempio di garanzia al supporto del realizzando progetto politico Piddin-Forzitaliota, perchè è Gerardo Greco, già conduttore di Agorà su RaiTre, garanzia assoluta di omologazione ai poteri forti, che passò alla storia nel 2016 per il famoso, anzi celeberrimo, “INTORTAMENTO DELLA TORTA” statistica a favore di Renzi.

Sondaggio: IL GOVERNO RENZI E’ AMICO DELLE LOBBY
44% SI 31% NO, 25% NON SA.

Però il grafico dietro il giornalista mostra il NO come prevalente. ed il SI relegato ad una fettina minima, pur essendo in realtà la maggioranza, ed anche di un bel po’. Un bel modo di fare informazione, nevvero? Data a sua assoluta ed immarcescibile fedeltà a Renzi era ovvio che fosse il candidato perfetto per guidare l’informazione in Mediaset. Avremo SICURAMENTE un’informazione obiettiva, ed indipendente, che ci mostrerà anche il numero degli Asini Volanti in atterraggio a Linate!

Matteo Renzi infierisce su Federica Mogherini, quello che non dice: "Il suo gravissimo errore"


Ha "deluso le attese". Matteo Renzi usa queste parole nel suo ultimo libro Un'altra strada. Idee per l'Italia per massacrare Federica Mogherini, l'esponente Pd che lui stesso, da premier, ha fatto eleggere in quota Italia nella Commissione Ue in una delle posizioni chiave, quella di Alto rappresentante. È talmente deluso, Renzi, da consigliare ad Angela Merkel se sarà ancora al potere dopo le europee di maggio a concentrarsi subito sulla sostituzione della invisibile Lady Pesc.

 L'impatto della Mogherini sulla politica estera comunitaria, infierisce Renzi, "è stato prossimo allo zero". Un pentimento tardivo, visto che l'inconsistenza della dem era evidente fin dal suo insediamento. Ma al tempo, l'allora premier aveva preferito piazzare una pedina forse fin troppo facile da manovrare (male).

E l'errore, per arroganza politica, spiega il Corriere della Sera, fu a monte: quello di non voler piazzare in Commissione Enrico Letta, appoggiato da Merkel e Hollande ma troppo ingombrante per il rottamatore che lo aveva appena pugnalato.

Giuseppe Conte, la sfida a Unione europea, noi siamo per gli italiani!


"Questo non è un messaggio all'Europa, non siamo in una contrattazione, è un messaggio agli italiani". Giuseppe Conte sfoggia l'orgoglio dei giorni migliori dopo l'incontro organizzato a Palazzo Chigi tra governo e imprenditori.

Il premier, insieme ai suoi vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio ha chiesto una collaborazione fattiva in termini di investimenti e assunzioni per far lievitare la crescita, ma i commenti a caldo dei tre protagonisti suonano soprattutto come un messaggio a Bruxelles, alle agenzie di rating e pure al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, tutti spaventati a vario titolo dalla manovra finanziaria di Lega e M5s.

"Dagli imprenditori abbiamo avuto un giudizio positivo sulla manovra e siamo pronti a mettere in campo un programma di investimenti aggiuntivo da 15 miliardi in 5 anni", ha spiegato Conte ai giornalisti, subito dopo il summit. Al suo fianco Salvini e Di Maio, entrambi apparsi decisi e soddisfatti.

"È molto importante che gli imprenditori ci abbiano garantito che con il superamento della Fornero le assunzioni aumenteranno", ha aggiunto il leader leghista e ministro degli Interni, mentre il collega grillino, titolare dello Sviluppo e Welfare, ha rinfocolato la polemica: "Il nostro obiettivo è quello di essere promossi dai cittadini e non dalle agenzie di rating".

Roberto Fico, Filippo Facci: "Deve a Matteo Salvini la sua poltrona ma continua ad attaccarlo"


Che succede a Roberto Fico? Diciamo meglio: che succede al cervello quando si diventa presidenti della Camera? No, perché da dieci anni, anzi undici, chiunque sia diventato terza carica dello Stato è stato preso da tic e riflessi progressivi che l'hanno trasformato in qualcos'altro da ciò che era o credevamo che fosse, soprattutto da ciò per cui era stato votato.

Gli ultimi tre sono stati Gianfranco Fini, Laura Boldrini e Roberto Fico.

Fini, figurarsi, già si diceva che «strabordava» (cioè travalicava la sua funzione) e oggi in confronto sembra Churchill. Poi è arrivata la personaggia più tracotante, proterva, spocchiosa e strabordante che la Seconda Repubblica abbia portato con sé: una che doveva badare al funzionamento della Camera (una capostazione istituzionale, come all' estero) ma che era solita intestarsi battaglie politiche che poi ammazzava regolarmente tanto era divisiva.

Ora persino Roberto Fico detto «lo scialbo» (l' aggettivo più ricorrente off the records) comincia a far girare il suo diesel e forse anche altre cose.

BASTIAN CONTRARIO - Detto in tre parole, Fico fa facendo apertamente politica contro la Lega (più che dal suo scranno solenne, lo fa da Fabio Fazio) e cioè contro i voti che hanno contribuito ad eleggerlo; se non vogliano personalizzare, allora diciamo che fa politica contro i temi che i sondaggi indicano come il collante che tiene in piedi questo governo e gli hanno dato popolarità, tipo il piglio intransigente su immigrazione, sicurezza e anche la famigerata «quota cento», a quanto pare. Altri temi paiono popolari a favore (tipo il Tav) ma non sappiamo quanto contribuiscano alla legislatura.

Se invece vogliamo personalizzare, aggiungiamo che dal medesimo scranno istituzionale - da Fabio Fazio - l'altra sera Roberto Fico ha detto di essere favorevole all'autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini (caso Diciotti) e che pregherebbe la Camera di dare l' autorizzazione «senza se e senza ma», due congiunzioni che i grillini tendono a non usare perché rendono le frasi complicate.

Ovviamente Fico ha parlato «personalmente», fingendo d' ignorare che il «personalmente» lui può scordarselo per l' intera legislatura e anche di più - può usarlo coi suoi amici - perché ogni cosa che dirà verrà interpretata in virtù della carica che gli è stata concessa: non è per l' ipocrita «personalmente» che lo invitano da Fazio. Già che c' era, il punto è anche che c' era: gli piace andare in tv (la prima volta che andò da Fazio era l' ottobre 2013) è spesso anche a La7 e da Lucia Annunziata: fortuna che la tv era morta.

Restando all' altro giorno, però, già che c' era, Fico ha ritenuto di dover precisare che Lega e Cinque Stelle sono molto diversi (e non c' è dubbio) e che ci sono molte cose che possono portare a divergere, con la certezza che lui non se ne farà sfuggire neppure una.

MALEDETTA SICUREZZA - Già che c'era, l'ha fatto lì, e ha detto che non bisogna «far rimanere a lungo le navi fuori dai porti», poi ha messo nel mirino il decreto sicurezza di Salvini, ha difeso le ong «demonizzate quasi quotidianamente» e piuttosto ha proposto «un tavolo ong-governo». Già che c' era, ha detto no al Tav e ha chiarito che «su questa questione non è possibile tornare indietro», e qui non ci ha aggiunto neanche un «personalmente».

L'intervista a Fazio è recentissima, e ci fa comodo perché riassume tutte le uscite di Fico da quando è presidente della Camera: senza aver chiaro neppure lui, tuttavia, che cosa sia un presidente della Camera. Uno, ossia, che dovrebbe far rispettare il regolamento; che giudica i testi, mantiene l' ordine e modera la discussione; altre cose, più tecniche, Fico può ripassarsele leggendo l' articolo 55 della Costituzione, anche se la Carta non regolamenta le interviste rilasciate a Fazio e non cita neanche la facoltà di invadere il campo della rappresentanza. La Costituzione non cita la facoltà di intestarsi battaglie su temi politici che spetterebbero agli organi democraticamente eletti. Che poi, nel caso dei singoli grillini, quel «democraticamente eletti» suona un po' forte. La Costituzione non precisa, neppure, che non esiste «personalmente» per chi non è persona ma istituzione: ma forse dovrebbe precisarlo.

BATTAGLIE PERSONALI - In questo modo, forse, Fico si premurerebbe di non farci sapere urgentemente - come ha fatto - di essere a favore dello jus soli e delle adozioni gay. Forse, ecco, potrebbe occuparsi di calendarizzare una discussione parlamentare sul suicidio assistito e sull' eutanasia, visto che la Corte Costituzionale ha chiesto di farlo entro l' autunno: e non parlava «personalmente», la Consulta.

Detto questo, notizia: la presidenza della Camera non è un palcoscenico donato dal cielo per vivere politicamente di rendita. Rendita da poltrona, s' intende. Perché la rendita vera, in realtà, a Fico deriva dall' aver fondato la prima cellula grillina a Napoli, ed essere comunque nella manica di Grillo. Deriva dall' essere subentrato a una come Laura Boldrini. Deriva da quell' arietta da disoccupato napoletano che s' arrangia - ciò che sostanzialmente era - anche se definì «master» un banale corso finanziato dal ministero del Lavoro. Deriva dalle patetiche passerelle mediatiche con sua fotografia mentre va alla Camera in autobus, salvo chiedere poi i rimborsi dei biglietti e soprattutto dei taxi. Ci ha fatto una campagna social. Non in tv: la tv è morta. Poi ci va. Non sui giornali: i giornali sono morti. Allora li chiudono.

Sardegna, l’azienda che compra latte dalla Romania? E’ sufficiente questa foto per farti capire chi la possiede


E la visita di Renzi PD di appena un anno fa al caseificio Pinna di Thiesi in Sardegna, proprio col gruppo di industriali che ha messo in ginocchio l’economia lattiero casearia sarda e gli allevatori, importando il latte dalla Romania e dalla Bulgaria spacciandolo poi per formaggio prodotto con latte Sardo, e che ha deciso il misero prezzo di 0.60 centesimi di euro a litro di quest’anno agli allevatori, ve la ricordate? Vi ricordate come festeggiavano felici insieme i fratelli Pinna e gli esponenti del PD? Eravamo nel novembre 2017

Ovviamente la storia del latte rumeno era gia’ stata denunciata ai tempi del PD, con Martina ministro dell’agricoltura:

di Romano Satolli- Unione Nazionale Consumatori Sardegna: 27 giugno 2017 Ho saputo del sequestro del formaggio rumeno dalla stampa toscana, prima che dall’Unione. Telefonai subito ad un amico dirigente dell’ICQRF del Mipaaf, il quale non sapeva nulla, cosi come all’ICQRF di Cagliari e Sassari. Già da subito, però, immaginai che il latte provenisse dal caseificio dei F.lli Pinna di Timisoara, in Romania. Oggi leggo che era destinato al loro stabilimento di Thiesi. A parte la dichiarazione del titolare che il latte rumeno è migliore di quello sardo, per cui certe dichiarazioni gridano vendetta se pronunciate da un sardo, che ripete ancora una volta che non era un formaggio DOP e che non hanno mai importato latte rumeno in Sardegna, i nostri pastori ringraziano commossi. In occasione della costruzione del loro caseificio in Romania, scrissi che le mie parole non sarebbero state tenute in considerazione, laddove appariva la pubblicità del “Brigante” (guarda il caso di certi nomi!).

Scrissi allora, e ripeto oggi, che ci mancava altro che vendessero dalla Romania formaggi DOP sardi ottenuti da latte rumeno e bulgaro, ma chiesi perché quei formaggi venivano venduti con nomi italiani, invece che Rumeni! Non era una domanda oziosa!

Denunciai anche il fatto che quel caseificio in Romania era stato finanziato con i fondi del nostro Ministero dell’Agricoltura che poteva meglio investirli in Sardegna per aiutare i nostri pastori! Un altro fatto scandaloso era che in quei tempi il Pinna era presidente del Consorzio di Tutela del Pecorino sardo! Un difensore del nostro DOP che gli fa concorrenza con formaggi da lui prodotti in Romania, dove notoriamente il costo del lavoro e della materia prima sono notevolmente più bassi.

Ora leggo che la Coldiretti scende in piazza, con la solita sfilata di trattori e bandiere gialle, un’altra bella occasione di pubblicizzarsi davanti ai consumatori e dare un contentino agli allevatori incazzati che versano ogni anno la quota per essere tutelati. Poiché il pecorino di Sardegna DOP certificato è meno del 10% della produzione totale, perché non convincono i produttori ad aumentare la quota del certificato, e far capire che la DOP certificata non è una spesa, ma in grado di dare un valore aggiunto che remunera i loro sacrifici, convincendo i consumatori a scegliere solo quello certificato? Tra l’altro, il consorzio di tutela non ha nemmeno un ispettore che vada sul mercato a fare i controlli, cosi come fanno gli ispettori dei vari Parmigiano, Emmenthal, Caciocavallo, Fontina ecc.?

La questione del sequestro, a quanto pare, è stata superata, ma si poteva risolvere con una contravvenzione. La mancanza di etichette, come riportato dalla stampa, non era necessaria in quanto il formaggio era destinato ad un altro stabilimento e non al consumo. Era sufficiente una lettera di vettura con le caratteristiche del prodotto: formaggio di latte di pecora o pecorino da grattugia, per esempio.

Il Signor Pinna dovrebbe però spiegare ai consumatori che non credono più alle favole, per quali motivi questa partita di formaggio, invece di essere esportata direttamente dalla Romania, deve passare prima in Sardegna: forse per fargli prendere l’aria isolana? In vista del TTIP che il nostro governo si appresta a firmare e dare la mazzata definitiva alla nostra agricoltura, credo che questi nostri “capitani coraggiosi” siano quelli che avranno più da guadagnarci! Ho letto che oggi alla Sella & Mosca ci sarà un convegno sui formaggi DOP con tutto il gotha dell’industria casearia. Cosa dirà la nostra Assessora all’Agricoltura di questo fatto? Ci sarà anche il signor Pinna, quale maggior industriale dell’industria casearia sarda e rumena?

Francia Germania La Merkel getta la maschera: si spartisce l’Europa con Macron


Francia e Germania si spartiscono l’Europa.

E se non lo fanno del tutto, quantomeno vogliono essere loro a deciderne il destino. A pochi giorni dall’accordo sulla firma dell’accordo di Aquisgrana, che avverrà il 22 gennaio, Angela Merkel fa delle dichiarazioni molto nette sul futuro dell’Unione europea. E per la Cancelliera, le due potenze che dovranno trainare l’integrazione europea saranno sempre loro: Francia e Germania.

Berlino e Parigi vogliono rafforzare i rapporti bilaterali. Il trattato prevede che entrambe le cancellerie promuovano un’area economica comune esclusiva fra i due Stati. E si punta a fare in modo che le diplomazie di entrambi i Paesi vadano nella direzione di un ingresso della Germania nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite come membro permanente. Una vera e propria rivoluzione per l’Europa e per il mondo, dal momento che l’Unione europea avrebbe i due Stati dell’asse franco-tedesco come unici rappresentati al Consiglio Onu.

E su quest’asse, sia la Merkel che Macron pensano che si possa costruire l’Europa del futuro: “Stiamo lavorando in Europa, vogliamo dare nuovo impulso all’unità europea“, ha affermato nel suo video-messaggio settimanale. E quest’impulso, a detta della Cancelliera, sarà dato dal trattato del 22 gennaio, che sostituirà il trattato dell’Eliseo firmato nel 1963 dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer e dal presidente francese Charles de Gaulle. Ma è un’amicizia che, secondo la Merkel, “non è così ovvia come sembra”. “Il mondo è cambiato, quindi è necessario un nuovo trattato in cui anche la cooperazione vicino al confine assumerà un ruolo importante”, ha affermato la Cancelliera.

Una dichiarazione che tende a marcare due concetti. Il primo, che Francia e Germania sono potenze amiche, ma non per questo perfettamente alleate. E le ultime derive di Macron in tema di conti pubblici non sono piaciute alla Cancelliera. E ha tenuto a ribadirlo più volte, soprattutto all’altro francese che detiene i conti dell’Unione europea: Pierre Moscovici. Quelle cene all’Eliseo fra il commissario europeo e Macron non sono piaciute dalle parti di Berlino, soprattutto perché tendono ad are un’immagine di due Paesi che vanno in direzioni opposte, quando invece da un punto di vista strategico si punta a una totale sintonia, almeno in apparenza.

Ma il secondo concetto è che, al netto delle divergenze, i due governi devono per forza dialogare, poiché ormai sono gli unici a pensare l’Europa in un certo modo. E l’idea di spartirsi l’Unione europea (o ciò che ne resta) è sempre rimasta nei cuori e nelle menti dei leader francesi e tedeschi. Tanto che per molti decenni i ruoli sono stati sempre netti: alla Francia la guida militare, alla Germania la guida economica, e la politica in coabitazione. Anzi, in questo momento, con la Gran Bretagna potenzialmente fuori dai giochi, la Francia resta l’unica potenza nucleare dell’Unione europea. mentre la Germania l’unica potenza commerciale che siede al tavolo dei grandi nella maggior parte dei consessi internazionali, e che ha ottimi rapporti con la Russia.

Ma non è finita qui. Con le elezioni europee alle porte e con l’inevitabile rivoluzione che può subire l’intera Unione europea, Berlino e Parigi stanno anche capendo come sopravvivere al vento sovranista che spira sull’Europarlamento. E che può cambiare radicalmente il quadro dei rapporti di forza interni all’Europa. Macron e Merkel lo sanno benissimo. E sanno che le loro leadership sono in pericolo. Per limitare i danni, i due devono sedersi introno a un tavolo, possibilmente quello di Aquisgrana, e capire come risolvere la divisione dei ruoli interni all’Ue.

C’è da decidere un futuro presidente della Commissione europea (e Macron e Merkel sono di due partiti diversi), un futuro presidente della Banca centrale europea, e tanti altri ruoli in cui Francia e Germania pensano a una distribuzione fra loro. Del resto le loro alleanze in Europa si stanno riducendo. giorno dopo giorno Italia ed Europa orientale li contrastano, la Spagna di Pedro Sanchez è debole. Restano i Paesi scandinavi, ma a Macron non piace la rigidità nordeuropea in tema di conti. E per questo al presidente e alla Cancelliera non resta che unire le forze. Ma forse, non basterà neanche quello.

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